Ecumene

Domenica, 08 Agosto 2004 15:09

La pazzia e la saggezza. L'uomo davanti il creato

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di Vladimir Zelinskij

La crescente crisi ecologica in cui viviamo è un momento particolare nella storia dell'uomo. Dopo aver superato - almeno nel mondo occidentale - le tentazioni delle guerre tribali, religiose, ideologiche ed altro - l'uomo di oggi è sempre più coinvolto nella guerra contro le conseguenze del suo dominio, e addirittura deve difendersi anche dalle proprie "creazioni". Più grande si fa il suo potere sul mondo creato, allargandosi il suo "ambiente" umano, più minaccioso e instabile diventa la sua dimora sulla terra. Il progresso nella cosiddetta "umanizzazione del mondo" è gravido di pericoli per l'uomo stesso. Così il lavoro dell'uomo entra sempre più spesso in contraddizione con il lavoro di Dio, con tutto ciò che Dio ha fatto.

"L'uomo, e solo l'uomo, - scrive il teologo ortodosso Ioannis Ziziulas, metropolita di Pergamo, - nel creare il proprio mondo può andare molto spesso contro la razionalità inerente alla natura, al mondo datogli" (1) e, aggiungiamo, può imporre con violenza la propria razionalità che crea un suo universo denso e chiuso, come coagulo della sua energia intenzionale. Il "mondo" creato da noi è più calcolato, sfruttato, razionalizzato, strumentalizzato, e questa trasformazione è un segno del potere dell'uomo di ri-creare se stesso, di fare del mondo la propria continuazione.

Tale è il paradosso dell'ambiente: più intensiva diventa l'azione e la presenza umana nel creato, più disumano diventa il mondo, usato come officina o luogo della produzione e dello scarico degli avanzi della produzione. Come se l'uomo, malgrado la sua volontà, fosse predestinato a lavorare contro se stesso. Ma, forse, non l'uomo, ma la sua vecchia natura carica di una selvaggia, malcelata e indomita volontà. Di questa discordia dice San Paolo : "quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me" (Rom.7,17).

Ma cos'è il peccato nel senso primordiale ed ontologico? Rispondiamo con le parole del grande teologo russo Pavel Florensky : "Il peccato è nel non-desiderio di uscire dallo stato di autoidentità "io = io" o piuttosto "Io"! Tutti gli altri peccati sono trasformazione di questo auto-persistenza... Il peccato... è questa voglia radicale dell"io"... che fa di questo "io" il punto di partenza per tutta la realtà" (2).

Oggi "tutta la realtà" - o "l'ambiente" inteso in un significato più ampio - diventa una parte preponderante dell'io. L"io" dell'umanità cresce impetuosamente e vede il tutt'altro come il suo "non-io" da conquistare. Ma il "non-io" resiste in modo discreto. E così inizia la lotta finora nascosta fra loro. L"io" avanza, passa all'offensiva, il "non-io" sfugge, scivola via, talvolta mette a segno un colpo dal suo rifugio. Il pensiero e l'azione - le due mani dell'"io" - sono indirizzati sempre alla conquista di tutto ciò che rimane fuori dal suo dominio, all'assoggettamento del creato come tale... Questo "io" collettivo cerca fino al limite senza rendersi conto di assoggettare Dio stesso.

Nella mia esperienza personale ho visto come funziona nell'ambito sociale questo meccanismo della dominazione, riguardo al comunismo. L'utopia di questo sistema era nient’altro che un tentativo di impadronirsi della storia, sulla base di una decifrazione del suo segreto economico. Il segreto indovinato è stato trasformato nell'ideologia scientifico-statale. Questa ideologia ha formato il suo mondo, dove quasi tutto era immaginato, e questa invenzione é stata imposta alla realtà umana. Un'altra realtà è nata dalla testa dell'ideologia e il regime basato su di essa è diventato un spettacolo noioso, interminabile e violento. Era un palcoscenico ufficiale e il grande spazio sotto la scena - il famoso Gulag, che è un nome simbolico - dove erano buttati tutti i rifiuti umani che non erano riusciti ad obbedire all'aspettativa, alle regole del gioco imposto dal regime o piuttosto che erano sospettati di infedeltà a queste regole.

L'utopia, della quale noi abbiamo visto il funerale, era in sé nient’altro che la proiezione gigantesca dell'uomo astratto – di una certa persona collettiva – sulla storia. E questa persona (il cosiddetto "popolo", il partito o lo stato – che non erano cose diverse, ma assolutamente identiche – e la loro identità è spesso stata incarnata nella figura mitica e carismatica del capo) aveva il suo "io" ideologico, completamento chiuso, che si comportava come se il mondo fosse suo possesso.

L'utopia ideologica dell'Oriente, l'utopia consumistica dell'Occidente (che è un po' più dolce da vivere, ma anch’essa può essere implacabile per l'uomo e per la natura) hanno le stessi radici: la volontà di potere, di possesso e la rivalità con il Creatore. I risultati, per quanto riguarda la situazione dell'uomo nel cosmo e nel creato, sono davanti ai nostri occhi. Ma il punto non è qui; le utopie nascono e muoiono, ma lo spirito che le fa nascere – la vecchia proposta: "diventerete come Dio" – è sempre presente, sempre in azione. Questo spirito agisce ogni volta in modo diverso e più furbo, ma sempre nella stessa direzione : sostituire la creazione, assoggettarla, metterla sotto il proprio dominio.

Allora nel fondamento delle utopie di questo mondo si trova una prima, antichissima utopia, quella della conoscenza. Il sistema dell'escatologia immanente del comunismo esprimeva questo progetto di razionalizzare il mondo per farlo totalmente umano. Ma in questo progetto l'uomo sparisce, diventa la propria ombra, la funzione di qualcos’altro che lo sopprime, lo sostituisce, gli impone la sua anonima personalità e che agisce, pensa, crea al suo posto.

E anche oggi, come senza dubbio domani, sotto altre maschere, il progetto rimane lo stesso : la ricerca del potere dell'uomo sul creato, ottenuta tramite il segreto strappato e sradicato dalla creazione. Ma le forze liberate da questo segreto sempre più spesso schiacciano il loro liberatore. E ogni volta, in ogni scoperta scientifica, si svolge un dramma fra Dio e il suo ribelle. Dio lascia la sua opera inerme e indifesa davanti al possesso e all'attacco dell'uomo, Dio dà all'uomo la possibilità di impadronirsi della sua opera, della sua creazione, ma nello stesso tempo dà all'uomo la possibilità di provare il frutto della sua vittoria e tutto il peso del suo potere. La storia biblica sui frutti dell'albero del bene e del male non appartiene al passato mitico, essa si ripete, si riproduce ogni volta che l'uomo riconquista un pezzo della realtà nascosta. Ma il suo potere talvolta diventa una trappola, una minaccia per se stesso.

La conoscenza non è una cosa neutra, essa porta in sé, in forma cifrata, il contenuto del nostro spirito o, se noi facciamo ricorso alla lingua di Martin Buber, il nostro atteggiamento iniziale verso il "Tu" personale o verso l"Esso" impersonale e spesso ostile. La nostra conoscenza può avere il carattere del dialogo o del monologo, che può trasformarsi nella dettatura...

Note


1. Ioannis Zizioulas, Il creato come Eucarestia, Qiqajon,1994.
2. P.Florensky, La colonna e l'affermazione della verità, Mosca,1914 (in russo).

Siamo arrivati nel momento in cui le radici stesse della nostra conoscenza devono essere ripensate dall'inizio. La conoscenza attuale è basata sul cogito di Descartes che mette tutto il contenuto del mondo nel suo cogitatum, in tutto ciò che è abbracciato o posseduto dal pensiero. Tutto il creato diventa lo spazio del cogitatum eventuale, dunque, del mondo trasformato nel pensiero razionalistico e conquistante. Ciò significa una dilatazione del soggetto, dell'"Einzige" con la sua "Eigentum (nel senso di Stirner), dell'unico padrone (o nella persona dell'"io" collettivo) e che non esclude un certo "senso religioso" e perfino Dio – ma un Dio così lontano, tenuto a buona distanza dal nostro mondo, nascosto nei "buchi neri" della nostra conoscenza. Questo Dio profugo, che si è celato nei "buchi", nell'incomprensibile, nel tutto ciò che non è stato ancora scoperto, come notò Bonhoeffer, finisce per sparire. Come l'uomo stesso.

La natura o l'ambiente non resistono alla violenza dell'uomo, anzi, il creato con i suoi segreti scoperti regala frutti sempre più invidiabili, ma gli stessi frutti possono essere mortalmente avvelenati e avvelenati dallo spirito stesso. Le forze che l'uomo scioglie si possono indirizzare contro di lui.

Oggi è già chiaro che il prossimo totalitarismo non sarà quello ideologico, ma piuttosto quello bioetico, perché il potere sulla vita e sulla morte è un potere proprio della divinità. "Essere come Dio" è una cosa che l'uomo vuole da sempre per sé. La manipolazione biologica darà un grande vantaggio all'umanità, cioè la regolazione della natalità, la possibilità di scegliere il sesso di un bambino, di proteggerlo dalle malattie già nella fase fetale, di cambiare il suo codice genetico, anche di aumentare le sue capacità intellettuali. Ma a chi toccherà questo potere incredibile? Il buon senso, la buona morale, la legge giusta, il consenso sociale, i club degli uomini di buona volontà? Chi lo crede? Tutti sanno che per il demonio del potere – riguardo al segreto dell'apparizione della vita, della corrente della vita – questo recipiente, o questo limite, sono troppo fragili, instabili e malfermi. L'opinione pubblica sarà preparata e manipolata dai mass media, il parlamento voterà leggi sempre più permissive (nel nome della libera scelta o nel nome dell'abbassamento delle tasse per l'assistenza medica, non importa!), il vicino stato terroristico, roso dalla sua povertà e dal suo complesso d'inferiorità nei confronti dell'Occidente cercherà di trasformare il codice genetico in una nuova arma di guerra, e gli altri saranno costretti a reagire...

E così via.

Ma nel quadro della logica di questa pazzia la guerra sarà di sicuro la guerra delle invenzioni umane, dei prodotti del cervello sempre più sofisticati, contro l'umanità stessa. E questa guerra non è una cosa del futuro, essa si sta svolgendo davanti nostri occhi, e - come dice Heidegger - nella sua ultima intervista : "Gott allein kann uns retten".

Solo Dio può salvarci.

"Solo Dio..." Ma, anzitutto, dobbiamo rivalutare questo nome, pronunziato invano nella nostra cultura cento, mille volte al giorno. Dio chi è? Dio non è oggetto del pensiero che Lo confina nella prigionia speculativa. La prima definizione di Dio che noi abbiamo ci unisce con i nostri fratelli ebrei e musulmani : Dio è fuori delle nostre immagini, delle nostre idee, degli nostri concetti, Dio trascende tutto, ma per trovarLo dobbiamo andare alla fonte della nostra esistenza stessa, all'inizio della vita cosmica, alla profondità del cuore.

Dio è come il nocciolo invisibile, intangibile di tutto questo miracolo che è la creazione e di tutto questo mistero che è la vita. La creazione e la vita, insieme con tante cose (anzitutto con l'amore), sono i luoghi sacri dell'incontro. "L'incontro con Dio, dice Martin Buber, avviene non perché l'uomo si occupa di Dio, ma affinché l'uomo confermi che il creato è pieno di senso" (3). E questo senso non è un concetto, ma un segno che Dio ci lascia, una presenza che Egli ci rivela o, semplicemente, un "messaggio". E lì, dove l'idea fallisce, la testimonianza dell'incontro, il "messaggio ricevuto e confermato" possono servire come due scintille che dissipano il buio.

Facciamo attenzione a questo incontro e al suo messaggio. Porgiamo l'orecchio alla testimonianza della fede che scorre e non si inaridisce attraverso i secoli. Non conosco conferma più autentica della presenza divina nel creato quale la preghiera che, nella Chiesa ortodossa, precede il battesimo. Questa preghiera inizia con la confessione che tutto ciò che è chiamato ad essere, viene dalle mani del Signore. Ascoltiamo :

"... Tu, Signore, hai voluto trarre dal nulla
all'esistenza tutte le cose,
e con la Tua provvidenza costruisci il mondo.
Dinanzi a Te trepidano le potenze dei cieli,
a Te inneggia il sole,
Te glorifica la luna.
Le stelle sono tornate a Te,
la luce Ti ascolta.
Al Tuo cospetto tremano gli abissi
e per Te le sorgenti lavorano.
Hai steso il cielo come una tenda
e reso stabile la terra sulla acque.
Tu infatti, Dio indescrivibile,
senza principio e inesprimibile,
sei venuto sulla terra,
hai assunto la forma di un servo
e sei diventato simile all'uomo.
Nella tua infinita misericordia, Signore,
non hai sopportato di vedere il genere umano
tormentato dal demonio,
ma sei venuto e ci hai salvati."

Davanti a noi il vecchio inno bizantino. Nella pratica ecclesiale questo inno ha un uso molto concreto : esso serve come preghiera che il sacerdote legge per la benedizione dell'acqua. Nella Chiesa ortodossa il rito della benedizione si svolge non soltanto nel tempio, ma anche all'aria aperta. L'acqua è sempre stata e rimane ancora un simbolo della vita, una prima materia del mondo : "Lo spirito di Dio aleggiava sulle acque", come dice il secondo versetto della Bibbia. E lo stesso spirito è riflesso sulle acque come spirito dell'esistenza fisica – poiché l’acqua è il suo simbolo – poi come spirito del castigo e del giudizio (la storia del diluvio) e finalmente come spirito della purificazione, della rigenerazione, della vita nuova.

L'uomo prende l'acqua come materia, e la fa simbolo nel senso primordiale, cioè legame fra il mondo visibile ed invisibile. Così l'uomo diventa il sacerdote dell'acqua, dell'elemento cosmico, che ci riporta agli elementi principali della rivelazione di Dio, commemorati durante il battesimo. La memoria sacra della creazione, del peccato originale, della redenzione, della morte e della risurrezione nel Cristo e con Cristo fa nascere attraverso la benedizione dell'acqua che è "corpo materiale" del sacramento. Ogni sacramento è la manifestazione di una realtà dello "spirito di Dio", dell'epifania dell'invisibile e la preghiera che noi abbiamo citato è anche, nella Chiesa ortodossa, una preghiera della festa dell’Epifania.

Questa festa, invisibile ma anche visibile, è sempre in corso in questo mondo, nel quale il Dio Vivente dà i segni della Sua presenza, della Sua grazia. E la prima risposta dell'uomo è lo stupore, l'ammirazione, la glorificazione e poi la "simbolizzazione" del creato. Perché il compito dell'uomo è sacerdotale : sentire il Verbo che era "in principio" in ogni cosa ed esprimerlo nella sua preghiera, nel suo sacramento. Tutto può fare il sacramento, il luogo della Sua gloria, della Sua epifania: acqua, sole, stelle, luna, sorgenti, abissi... Poiché far rinascere una memoria sacra, servire un legame, un annunciatore del mistero della creazione è "naturale" per ogni opera creata. Ma questo mondo è tormentato dal demonio, colpito dal peccato, perché il peccato ha colpito non soltanto l'uomo, ma, tramite l'uomo, anche il creato, e anche la materia soffre a causa delle forze nemiche che s'impadroniscono dall'uomo.

"Secondo la concezione del mondo cristiano, scrive il teologo ortodosso Aleksandr Schmeman, la materia non è mai neutra. Se essa non è correlata con Dio, non è usata come mezzo di comunicazione con Dio, come modo di vivere in Lui, essa diventa la portatrice e l'abitazione delle forze diaboliche. Non per caso il rifiuto di Dio si identifica con il materialismo, che si proclama l'ultima verità scientifica... Ma non per caso la pseudospiritualità e la pseudoreligione si fondano sul rifiuto della materia, cioè del mondo stesso, perché materia si identifica con il male che significa la denigrazione della creazione di Dio". (4)

Ma questo inno ci porta alla "storia" vissuta da Dio, alla storia della salvezza, all'anamnesis nel senso liturgico. Non si tratta del ritorno all'avvenimento lontano, perché esso è sempre presente, sempre con noi, nella sorgente della nostra esistenza. L'inno che abbiamo citato descrive i modi della presenza del creato, faccia a faccia con il suo Creatore, il cui volto è sempre nascosto:

Dinanzi a te trepidano le potenze dei cieli
Te incontrano il sole
Te glorifica la luna,
e la luce Ti ascolta...

In questo modo di essere davanti al Creatore ogni creatura esprime il suo modo di essere per Lui e con Lui. Il loro essere stesso è una forma della risposta al "Verbo in principio", cioè alla creazione, o, in altre parole, l'essere come confessione di fede cosmica, di fede rivolta al Verbo. Perché la fede del sole è la luce, la fede della luce è il suo modo di "ascoltare", di stare attento e la fede negli abissi è la trepidazione. La trepidazione, nata dal timore e nell'adorazione, è la risposta alla Parola del Signore, alla Sua presenza nascosta. E il dialogo delle cose con il "Tu" è sempre personale, esso proviene dalla sua "personalità", o, meglio, dal Verbo messo nel suo cuore, come se le anime delle cose parlassero con il loro eterno "Tu".

Note

3. M. Buber, Ich und Du, (in russo), Mosca, 1993.
4. A. Schmeman, Con acqua e con Spirito, Paris, 1983, (in russo).

E l'uomo? Egli si trova in mezzo a tutte le altre creature come loro re, come il capolavoro di Dio. Ma lui ha anche il cuore per rispondere e le parole dove investire la sua risposta. Qual è il suo modo di dire il suo "sì"? O come lui può esprimere la sua identità nella fede, davanti al suo Creatore? La preghiera risponde:

"Confessiamo la grazia,
proclamiamo la misericordia,
non nascondiamo i benefici..."

Con queste parole entriamo nella liturgia cosmica che il creato sta già celebrando con noi – oppure senza di noi. Con noi - quando confessiamo l'amore che ci ha creato e ci ha salvato, l'amore che è sempre da scoprire. Senza di noi - quando vediamo il creato solo come oggetto da usare e da manipolare. La grazia che confessiamo non è la somma di certi aspetti della concezione del mondo, ma il dono ricevuto o la gratitudine come vita, come posizione esistenziale. Vivere e confessare questo dono è il nostro essere davanti al Mistero che ci attira, ci chiama, ci trasforma in un essere credente, conoscente, rispondente, collaborante. E da questa posizione deve venire alla luce la sua conoscenza, la sua scienza o, meglio, la sua saggezza.

Che cos’è la saggezza? Una forma della conoscenza che "non nasconde i benefici", che li vede, li scopre, li confessa, li riveste del lavoro del suo intelletto. Ma di quali "benefici" stiamo parlando? Di tutti le cose, ma avvolte nella luce della creazione, della prima benedizione, quando "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn.1,31).

La saggezza, dunque, è la ricerca di questa "bontà", sempre celata e sempre aperta e spalancata, la ricerca di tutto ciò che Dio vide e benedisse. La saggezza nasce nel cuore, illumina lo sguardo e apprende a vedere l'inizio della creazione nel dialogo con il suo "Tu" e nel mistero dell'amore. La saggezza è la "confessione della grazia" che attraverso la conoscenza ed il ricordo porta fuori dalla profondità il nostro "io" autentico, chiamato alla vita da Dio. Come, per esempio, nel Salmo 139 :

Signore, Tu mi scruti e mi conosci...
Tu mi conosci fino in fondo.
Non Ti erano nascoste le mia ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro."

Dalla "profondità della terra", cioè dalla "polvere del suolo" da cui l'uomo era stato creato, egli torna al segreto, all'inconcepibile mistero della sua creazione. Nella memoria – che possiamo chiamare una memoria eucaristica perché si tratta della comunione vera e propria - l'uomo entra in colloquio con l'amore che Dio ha manifestato ancora prima della sua nascita. Questa memoria è una forma di chiaroveggenza e di riconoscenza, dell'incontro con il Creatore nella trasparenza della fede e nella gioia della lode. Da queste fonti deve provenire, se noi vogliamo un altro tipo di conoscenza (e se vi piace, un altro tipo di "bioetica"), la conoscenza come dialogo con il mistero, come risposta all'amore.

Tutto era scritto nel "Tuo libro", e noi siamo chiamati a leggerlo con il cuore, prima che con l'intelletto, cioè con la saggezza. E nel processo di questa lettura la piccola saggezza umana deve incontrare nella propria fiducia, nella propria preghiera la smisurata Saggezza di Dio, quella "che era con Lui come architetto", "come una artista", (secondo la traduzione russa del libro dei Proverbi) (8,30), e la sua arte deve trasformare in arte anche il proprio pensiero.

Questa arte ci dà le chiavi anche della domanda : come dobbiamo pensare, cos'è che dobbiamo fare per salvare la terra dalle minacce che portiamo dentro di noi e che sono progettate fuori di noi? È chiaro che non c'è nessuna ricetta o codice morale per l'uso dell'ambiente. Ma c'è una possibilità di scelta: una possibilità che esiste finché l'uomo vive, o, piuttosto, la necessità della decisione, prima a livello spirituale, poi a livello pratico, fra il dominio sul creato basato sulla violenza e lo sfruttamento e il dominio come attualizzazione del potere come servizio, come "sinergia" (cioè, opera comune con Signore). L'attività o la creatività umana possono nascere dalla comunione con la Sapienza, con la Saggezza Divina che munisce l'uomo della sua lingua, del suo occhio. E questo nuovo tipo di conoscenza, che può essere un atto pienamente ecclesiale, non è un'altra utopia, ma piuttosto la ri-conoscenza del mistero della "presenza reale" nel creato e la confessione del Verbo che era al suo principio.

"L'uomo può conoscere la natura – scrive il grande pensatore russo del secolo scorso Serghij Bulgakov – e influire su di essa, "assoggetarla", essere il suo "re" solo perché lui porta in sé, in una forma non ancora sviluppata, potenzialmente, il compendio di tutta la natura, e nella misura del suo svelamento, della sua attualizzazione, lui s'impadronisce della natura. La conoscenza è un ricordo, una reminiscenza, come insegnava già Platone, ma non nel senso teosofico, non la reminiscenza di ciò che succedeva nelle fila delle reincarnazioni, ma nel senso metafisico. La conoscenza è la manifestazione di ciò che è già dato, e in questo senso essa non è creazione dal niente, ma soltanto ri-creazione, ri-produzione del già dato, che è diventato il nostro compito... La creatività umana crea non un’"immagine" che esiste, ma la "similitudine" che è prestabilita, essa riproduce nel suo processo di lavoro ciò che eternamente è come un modello ideale. E la ribellione della creatura contro il Creatore si riduce al tentativo di cancellare questa differenza, di diventare "come Dio", di avere tutto per sé. (S. Bulgakov, La Filosofia dell'economia) (5).

Dall'altra parte, nella Kabbala ebrea c'è la parabola dell'angelo custode che al momento della nascita tocca la fronte del bambino non ancora nato e cancella tutta la sua memoria, messa da Dio nell'embrione al momento del concepimento. Questa memoria salvaguarda in sè la conoscenza di tutta la creazione e di tutta la Torà, dalla prima lettera fino all'ultima, e il bambino che diventa uomo adulto, ha come compito di ritrovare questa memoria perduta, di tornare a questa sua ricchezza incredibile, ma smarrita e dimenticata.

Non invano il poeta francese Claude Vigée, un credente ebreo, ha un giorno attirato la mia attenzione su questa tradizione. La fede autentica è unita nelle sue origini con la memoria più profonda, ma da questa fonte nasce anche la vera poesia. La poesia ci ricorda sempre le cose primordiali, che noi abbiamo dimenticato o lasciato, senza farsi scorgere. Da queste due radici - l'anamnesis e la doxa, la memoria e la glorificazione - la nostra civilizzazione può essere ricostruita, rifondata passando dalla civilizzazione della conquista interminabile e dell'usurpazione del potere divino sul creato, alla civiltà della reminiscenza, della ri-creazione di tutto ciò che "in principio" e forse, solo ieri, era "molto buono".

"Tutto era scritto nel Tuo libro". Il compito dell'uomo è di avere "un occhio chiaro", come dice il Vangelo, per saper leggerlo di nuovo.

La civiltà dell'amore non si fa senza gioia (come nella santità francescana o nella santità ortodossa immersa nella preghiera ininterrotta), ma neanche senza "timore di Dio" – questa antica virtù che l'ortodossia ha portato con sé nella sua eredità spirituale. Il timore di Dio, insieme con la memoria e la glorificazione, può dare inizio alla nuova "gaia scienza", non nel senso dato da Nietzsche, ma nella visione della scienza del Santo", come la chiama il libro dei Proverbi.

"Fondamento della sapienza è il timore di Dio,
la scienza del Santo è l'intelligenza" (Pr.9,10).

Fino ad ora abbiamo forzato la serratura del mondo e continuiamo a farlo con velocità crescente. Ma questo forzatura non può essere infinita, siamo arrivati al punto dove il potere terribile conquistato dall'uomo può ricadere sulla sua testa. "La vocazione oppure l'idea particolare che Dio mette in ogni essere morale, individuo o nazione – scrive Vladimir Solöviev – e che si presenta a questo essere come il suo dovere supremo... agisce in due modi opposti: come legge della vita, quando il dovere è eseguito, e come legge della morte... L'essere morale non può liberarsi del potere dell'idea divina, che fa il senso della sua vita e da lui dipende il portarla nel suo cuore come una benedizione o una maledizione". (6)

Pian piano stiamo scoprendo nel mondo in cui viviamo, e in noi stessi, la coscienza della legge della morte che è messa a fondamento della nostra cultura, del nostro pensiero, del nostro modo d'agire. Certo, entrambi le leggi sono in azione e la benedizione che si fa vedere attraverso gli innumerevoli benefici dell'epoca che ci appartiene é inseparabile dalla maledizione dei pericoli e dei danni, non meno numerosi. Ma oggi la contraddizione e la lotta fra queste due leggi, ciascuna delle quali a suo modo manifesta il potere di Dio, ci costringe a compiere una svolta : passare dalla "cultura" delle utopie alla "scienza del Santo", dall'insaziabile desiderio del possesso alla civiltà sacerdotale che fa del creato la comunione con Dio, che celebra il sacramento dell'Eucarestia nella conoscenza della Sua opera, nella memoria della Sua creazione, nella gioia e nel timore davanti alla Sua presenza in ogni cosa.

Note

5. S. Bulgakov, La filosofia dell'economia, Mosca, 1912 (in russo).
6. Vladimir Solöviev, L'idée russe, Paris 1989.

 

 

Letto 2527 volte Ultima modifica il Martedì, 13 Settembre 2011 18:27
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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