Ecumene

Martedì, 10 Agosto 2004 21:33

Quando la gioia vince il calendario

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di Enzo Bianchi

La festa centrale della fede cristiana che dà senso a ogni altra festa, la celebrazione attorno alla quale ruota l’intero anno liturgico, è la Pasqua, giorno della risurrezione del signore, giorno di gioia in cui la luce del risorto irrompe a infrangere le tenebre che non hanno sopraffatto la Vita.

Eppure, proprio in questa festa in cui i cristiani proclamano nella gioia il Vangelo per eccellenza, la buona notizia della vittoria definitiva della Vita sulla morte, i cristiani sono divisi e non riescono a celebrare insieme l’evento che solo li caratterizza. Alle soglie del terzo millennio è questa la controtestimonianza che noi cristiani continuiamo a dare a un mondo che ci chiede conto della speranza che è in noi.

L'uomo ha bisogno di definirsi anche a partire dalla memoria, dal patrimonio di eventi che lo abitano, e proprio la memoria comune crea la comunità, il riconoscersi membri di una stessa famiglia perché memori dello stesso passato e protesi verso un unico futuro. L'identità musulmana, anche in Paesi non islamici, è rafforzata dal rispetto del mese di ramadan e delle ricorrenze dell’Egira, l'identità ebraica rimasta viva anche nella diaspora grazie alla comune osservanza della Pasqua, del giorno dell’espiazione e delle altre festività annuali. Solo i cristiani sembrano sottovalutare l'importanza di celebrare in un unico giorno la resurrezione del loro unico Signore.

Eppure non è un caso che discussioni e divisioni circa la data della Pasqua siano iniziate a sorgere fin dai primi secoli, proprio quando i cristiani hanno voluto differenziarsi dagli ebrei discostandosi anche dal loro calendario per calcolare la festa delle feste, il passaggio del loro Signore dalla morte alla vita, il cui il passaggio del Mar Rosso (celebrato nella Pasqua ebraica) era prefigurazione. Un'identità costruita "contro" gli altri, nella differenziazione, nella distinzione. Oggi è giunto il momento in cui i cristiani devono interrogarsi pena la loro stessa visibilità, la credibilità del loro messaggio, la trasparenza della loro predicazione - su come sia possibile continuare ad annunciare divisi (perfino nel calendario!) l'unico Signore delle loro vite. Giovanni Paolo II, nella sua intensa ricerca ecumenica, aveva chiesto che le Chiese divise trovassero un accordo per celebrare insieme la Pasqua a partire dall’anno del giubileo, segnando anche visibilmente una tappa decisiva nel cammino di riconciliazione. Così non è stato, E anche quando, come nel 2001, gli astri e i complicati calcoli dei calendaristi hanno consentito a tutti i cristiani di festeggiare la Pasqua in un unico giorno, non si è potuto cogliere l’occasione per prolungare definitivamente la fortuita coincidenza.

È forse proprio questo l’aspetto che più caratterizza la celebrazione della Pasqua nella comunità monastica ed ecumenica di Bose: il fatto di poterla celebrare insieme fratelli e sorelle di diverse confessioni cristiane, d’Oriente e d’Occidente. È vero, infatti, che tutta la liturgia della settimana santa, dalla Domenica delle Palme ai vespri del giorno di Pasqua, cerca di celebrare la gloria della fede cristiana, seguendo Gesù il giusto nella sua passione, nella sua morte e nella sua risurrezione. È vero che l’intera liturgia delle ore - dal canto delle Lamentazioni di Geremia alle antifone e ai responsori tratti dai Vangeli della Passione, dalla lettura delle profezie alla memoria dell’Esodo dalla schiavitù alla libertà – accompagna il credente durante i santi giorni di un itinerario di interiorizzazione delle vicende di Gesù che ha amato i suoi amici fino a dare la vita per loro. È vero che la liturgia della lavanda dei piedi dei fratelli compiuta dal priore ricorda a quanti esercitano un ministero di unità nelle comunità cristiane il loro essere a servizio dell’unico Signore che ha voluto farsi nostro servo fino a deporre la propria vita nella libertà e per amore. È vero che la processione verso il Signore crocefisso che regna sulla croce, a cui ha dato un senso con la sua morte, porta ciascuno a sentire impressa nella propria carne la somiglianza con l’uomo Gesù di Nazaret. È vero che un’altra processione verso una pietra che ricorda quella rotolata davanti al sepolcro per sigillarlo, permette ai fratelli e alle sorelle della comunità come agli ospiti di segnarsi con l’olio aromatico che simboleggia il diffondersi del "soave profumo di Cristo". È vero, ancora, che l’irrompere della "luce di cristo" simboleggiata dal fuoco che prende a divampare al cuore del buio, illumina i volti dei fedeli e corre verso le porte della chiesa passando da una candela all’altra fino a inondare l’intera navata che esplode nel canto di gioia Cristo è risorto! È veramente risorto!

Sì, tutto questo è vero, ma è il fatto di poterlo vivere e celebrare insieme, cattolici, protestanti e ortodossi, che rende la celebrazione pasquale un’anticipazione di quel giorno radioso in cui anche le nostre chiese sapranno riabbracciarsi pienamente riconciliate nel rendimento di grazie a Colui che è la nostra pace e che ha fatto dei due un popolo solo abbattendo ogni muro di separazione, fino a poterci presentare gli uni agli altri in un solo Spirito (cf. EF 2,14-18).

Sapremo utilizzare i santi giorni della Pasqua per compiere passi decisivi verso la piena unità dei discepoli di Cristo, a cominciare dall’accordo sulla data della Pasqua? Sapremo porre fine a quella babele di calendari che pare più tenace di qualunque babele di lingue? Potremo finalmente annunciare gli uni agli altri e di fronte al mondo, con un solo cuore e una sola voce, la buona notizia che dà senso alle nostre vite e a ogni vita? Sì, Cristo è risorto! È veramente risorto! Annunciamolo insieme!

 

 

 

 

Letto 2158 volte Ultima modifica il Domenica, 01 Aprile 2012 18:45
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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