Ecumene

Martedì, 10 Agosto 2004 22:31

L'irriducibile originalità delle Chiese d'oriente

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di Christian Cannuyer

Man mano che la Chiesa, nel IV e soprattutto nel V secolo, diventa maggioritaria, accentra la sua organizzazione modellandola sulle strutture amministrative civili. Il processo in Asia avviene prima che altrove. A partire dal III secolo, il vescovo della capitale di una provincia imperiale acquisisce una certa giurisdizione sugli altri vescovi di questa stessa provincia, ne controlla l'elezione, presiede alla loro consacrazione, e convoca concili provinciali nascono così le sedi metropolitane o arcivescovili. A partire dal concilio di Nicea (325), diritti e dignità superiori vengono riconosciuti alle grandi sedi di Roma, di Alessandria e di Antiochia, cui si aggiunge nel 381 Costantinopoli, che sottrae il secondo posto ad Alessandria. Lo stesso statuto sarà riconosciuto a Gerusalemme nel 451 dal concilio di Calcedonia. La presenza di queste sedi dipende più dall'importanza economica, culturale e politica della città in cui si trovano che dalla loro fondazione apostolica, talora inventata di sana pianta, come nel caso di Costantinopoli, per le necessità del momento. Nel VI secolo si generalizza il titolo di "patriarca" attribuito ai titolari di queste sedi. Attraverso la loro comunione, i vescovi della "pentarchia patriarcale" esprimono l'unità della Chiesa nella diversità.

Legami di fedeltà e Chiese indipendenti

I vescovi dei territori asiatici dell'impero d'oriente dipendono così, a partire dal 451, da tre patriarcati: Costantinopoli (Asia Minore e Ponto), Antiochia (Siria, Transgiordania) e Gerusalemme (Palestina). Tuttavia si sono sviluppate comunità cristiane al di fuori dell'impero. Esse hanno dapprima intrattenuto legami di fedeltà - abbastanza abili e poco definiti - con le loro sedi fondatrici: la Chiesa d'Armenia con Cesarea di Cappadocia, le Chiese di Georgia e di Mesopotamia-Persia con Antiochia. Ma assai presto queste Chiese "esterne" tendono a diventare indipendenti, sia in materia disciplinare sia in quella dottrinale, dal momento che solo raramente sono invitate ai concili detti "ecumenici", poiché l'oikumene (letteralmente. "il mondo abitato") si confondeva di fatto, nello spirito occidentale, con l'orbis romanus (il mondo romano). Dal 373 la Chiesa di Armenia si affranca da ogni dipendenza nei confronti di Cesarea di Cappadocia, e resiste meglio che può ai tentativi per incorporarla nella zona d'influenza di Costantinopoli. La Chiesa di Georgia, pur conservando un legame formale con Antiochia, diventa in realtà quasi autocefala. Per quanto riguarda la Chiesa di Mesopotamia-Persia (la Chiesa d'Oriente), i concili "nazionali" del 410 e del 424 ne consacrano la totale autonomia. Questo movimento trova il suo prosieguo nel processo di rottura che porterà in seguito due di queste Chiese, quella di Mesopotamia-Persia e quella di Armenia, a rifiutare, la prima il concilio di Efeso (431), la seconda quello di Calcedonia (451). I capi di queste Chiese indipendenti adottarono progressivamente il titolo di Catholicos, che sembra rinviare ad una specifica percezione del termine "cattolico". Se in Occidente, l'aggettivo "cattolico" designa il carattere "universale" della Chiesa (kath'olcn ton kosmon, "nell'intero universo"), in Oriente esprime piuttosto il fatto che ogni Chiesa locale, riunita intorno al suo vescovo nella comunione eucaristica, è essa stessa l'intera Chiesa (kath'olou, "secondo il tutto, integralmente"), anche se è geograficamente lontana dalle altre Chiese cristiane e dalle grandi sedi storiche. Attraverso questo titolo di catholicos, i capi delle Chiese di Armenia, di Georgia e dell'Oriente sembrano aver voluto esprimere la pienezza ecclesiale delle loro comunità benché fossero periferiche, o al di fuori dell'impero romano, che si tendeva eccessivamente, in Occidente, a far coincidere con lo spazio cristiano per eccellenza. Si vede così innescarsi molto presto la tensione tra una "cattolicità" confusa con la "romanità" (e molto più tardi, dopo il grande scisma d'Oriente del 1054, con la "latinità") ed una "cattolicità" rispettosa del modello ecclesiologico di Ignazio di Antiochia, secondo il quale ogni Chiesa, dovunque si trovi, rappresenta la pienezza del corpo mistico ecclesiale.

Nel 431, frettolosamente e senza sfumature, il concilio di Efeso condanna il patriarca di Costantinopoli, Nestorio, accusato di separare troppo, in Cristo, l'uomo dal Dio e di rifiutare a Maria il titolo di Madre di Dio. Di conseguenza, la Chiesa siro-orientale (Mesopotamia, Persia), che considerava Nestorio, e soprattutto il suo maestro, Teodoro di Mopsuestia, come grandi dottori, rifiutò le decisioni di Efeso; si finì col qualificarla come nestoriana benché essa esistesse ben prima di Nestorio e benché questi non avesse mai posto piede al di là dell'Eufrate; questa Chiesa inoltre non ha mai professato la cristologia separativa (eresia che separava l'umanità e la divinità in Gesù Cristo) che si è per lungo tempo attribuita a Nestorio. Nel 451 il concilio di Calcedonia scaglia l'anatema contro il monaco Eutiche, accanito nella difesa di una teologia eccessivamente centrata sulla formula cara a Cirillo di Alessandria: "Una è la natura del Verbo di Dio incarnato", che sembrava insistere esageratamente sulla divinità di Cristo, a detrimento della sua umanità. I sostenitori della formula di Cirillo, disapprovando Calcedonia, si costituirono in Chiese separate e furono chiamati, dai calcedonesi, monofisiti. Si tratta, in Asia, delle Chiese siro-occidentale (detta, più tardi giacobita, perché fu riorganizzata nel VI secolo da Giacomo Baradai) e armena, in Africa della Chiesa copia d'Egitto e della sua figlia, la Chiesa d'Etiopia. I calcedonesi, da parte loro, furono indicati dai loro avversari col soprannome di melchiti (dal siriaco malkô, "re"), cioè "realisti" perché le formulazioni del concilio di Calcedonia erano difese e imposte dagli imperatori bizantini. La maggior parte di questi termini poco qualificanti e teologicamente poco appropriati sono oggi da evitare, ma sono stati molto usati sino ad un passato recente.

Di fronte all'islam

A partire dalla seconda metà del VII secolo, la maggior parte delle Chiese dell'Asia e in particolare le grandi sedi di Antiochia e di Seleucia-Ctesifonte si trovano integrate nell'impero musulmano, quello degli Omayyadi di Damasco (650-750), poi quello degli Abbasidi di Baghdad (750-1258). La conquista è stata meno violenta di quanto non si pensi. Culturalmente, quindi religiosamente, gli Arabi erano meno estranei ai cristiani d'Oriente di quanto non o fossero i Greci o i Persiani. Nello spazio musulmano, cristiani ed ebrei godevano del particolare statuto della dhimma, o "tariffa di protezione", che era loro accordata, in via giurisprudenziale, ad imitazione dei rapporti che aveva intrattenuto il profeta Maometto con i cristiani del Nedjrân e degli accordi conclusi tra il califfo Omar e le Chiese di Gerusalemme, di Damasco ed altre. Questo statuto garantiva ai non musulmani una larga autonomia religiosa, giuridica e civile, mediante il pagamento annuale di una tassa personale (la jizya) abbastanza modesta. A questa si aggiungeva un imposta fondiaria particolare (il kharâdj) per i proprietari terrieri. I monaci erano, almeno all'inizio, esentati dalla jizya. Nei primi tempi si può dire che questo statuto fu, nelle linee generali, rispettato dalle autorità musulmane, preoccupate di osservare il precetto coranico "nessuna coercizione in materia religiosa" (Corano, sura 2,256). Così, l'islamizzazione delle popolazioni cristiane progredì piuttosto lentamente, e raramente con la violenza. In questo processo i matrimoni misti giocarono probabilmente un ruolo altrettanto importante del fattore economico o sociale (i figli di una cristiana che sposava un musulmano erano obbligatoriamente musulmani, e un cristiano non poteva unirsi ad una musulmana che a prezzo della conversione). Si stima che i musulmani siano diventati maggioranza in Siria-Palestina soltanto alla fine del IX secolo, ma in Mesopotamia prima. Inoltre in quest'epoca compaiono nella legislazione musulmana misure discriminatorie complementari al sistema della dhimma, le šurut, che impongono ai cristiani umilianti restrizioni nella vita quotidiana (vesti particolari, divieto di montare a cavallo, ecc.), e in materia di religione (proibizione di manifestazioni esterne, impedimenti al restauro o alla costruzione di chiese, ecc.). I monasteri cominciano ad essere pesantemente tassati. Tuttavia, sino all'anno Mille, i cristiani godono di un clima di tolleranza abbastanza soddisfacente e molti tra loro esercitano funzioni importanti alla corte del califfo e nell'amministrazione. Le cose peggiorarono più tardi, soprattutto nei secoli dal XII al XIV, sotto l'effetto congiunto di diverse cause (accelerazione del declino demografico dei cristiani, sempre più minoranza, reazioni di identità e fondamentaliste del mondo musulmano destabilizzato dalle crociate e dalle invasioni mongole, ecc.).

 

 

 

 

Letto 1660 volte Ultima modifica il Mercoledì, 14 Settembre 2011 18:34
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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