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Mercoledì, 19 Novembre 2008 00:47

Per una ecclesiologia macroecumenica della liberazione (Francisco de Aquino Júnior)

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Per una ecclesiologia macroecumenica

della liberazione

di Francisco de Aquino Júnior





(...). Sia per la sua esistenza di fatto, sia soprattutto per le sue conseguenze, il pluralismo religioso è oggi una delle maggiori sfide per i diversi gruppi e tradizioni religiose. Questa sfida si fa ancora più grande e più urgente per la situazione reale di miseria, esclusione, oppressione e violenza a cui è sottomessa la maggior parte dell'umanità. (...) Se le tradizioni o gruppi religiosi sono portatori di valori, costumi e pratiche umanizzanti, non possono assistere passivamente, tanto meno collaborare, alla morte di tanti figli e figlie di Dio. È l'identità stessa di ogni tradizione o gruppo religioso, la sua ragione d'essere ultima, quella che è in gioco nel destino dell'umanità, che si concretizza nel destino dei poveri di questo mondo.

(...) Solo recentemente la Teologia della Liberazione ha mostrato un interesse più esplicito e diretto per la questione. La sfida di una teologia - della Liberazione - delle religioni è sempre più evidente e urgente. E' in questo contesto che si situa la nostra riflessione. Un modesto contributo a "una teologia cristiana e latinoamericana del pluralismo religioso". (...).

I. La Chiesa: comunità dei seguaci di Gesù Cristo e dei continuatori della sua missione

La prima e più fondamentale caratteristica della Chiesa cristiana è il suo riferimento e la sua relazione storico-teologica con Gesù Cristo. (...)

Questo vincolo radicale della Chiesa con Gesù Cristo è stato, per molto tempo, messo a tacere e occultato dalla concezione della Chiesa come società perfetta, predominante fino ai primi decenni del XX secolo. Un passo importante nel superamento di questa ecclesiologia (giurisdizionale, societaria, organizzativa e gerarchica) è stata, senza dubbio, la riscoperta e il ritorno alla teologia biblica e patristica della (Chiesa come "Corpo di Cristo" (...).

Essere Corpo di (Cristo implica, secondo Ellacuria, "che in essa - la Chiesa -, la realtà e l'azione di Gesù Cristo prende corpo affinché essa - la Chiesa - realizzi l'incorporazione di Gesù Cristo alla realtà della storia" (La Iglesia de los pobres, sacramento histórico de liberación, in Escritos Teologicos II, Uca, San Salvador 2000). Il "prendere corpo" ha a che vedere con il "farsi carne" del Verbo di Dio nella storia umana, condizione fondamentale perché egli "possa intervenire in una maniera pienamente storica nell'azione degli uomini". L'incorporazione ha a che vedere con l'azione di "prendere corpo" nella storia materiale degli uomini, come l'essere fermento e sale del mondo (...). La Chiesa è la presenza visibile e operante di Gesù Cristo nella storia. Nelle parole di mons. Oscar Romero, essa è "la carne in cui Cristo si fa presente attraverso i secoli, la sua vita e la sua missione personale [...]. La Chiesa può essere Chiesa solo nella misura in cui continua ad essere il Corpo di Cristo. La sua missione sarà autentica solo nella misura in cui sia la missione di Gesù in situazioni nuove, in circostanze nuove della storia" (A Igreja, corpo de Cristo na historia: Segunda Carta Pastoral in J. Sobrino e altri, Voz dos sem voz. A palava profética de D. Oscar Romero, Paulinas, São Paulo, 1987).

Intesa così, la Chiesa come Corpo di Cristo è, nella formulazione comune della Teologia della Liberazione, la comunità dei seguaci di Gesù - dove egli prende corpo - e continuatori della sua vita e missione, attraverso cui egli continua a incorporarsi alla storia umana.

4. La centralità del regno di Dio

Se c'è qualcosa che trova sempre più consenso tra gli esegeti e i teologi cristiani è la centralità del regno di Dio nella vita e nella missione di Gesù. (...) "Regno di Dio" è il concetto e la realtà centrale e fondamentale della vita e della missione di Gesù. A tal punto che "chi si offre a Gesù, si offre al regno di Dio. È inevitabile, poiché la causa di Gesù è stata ed è il regno di Dio" (J. Moltman, Quem Jesùs Cristo para nós hoje,Vozes, Petrópolis, 1997).

Ora, se Gesù non ha fatto di se stesso il centro della sua vita e della sua missione, se egli non predicò mai se stesso, se al centro della sua vita e della sua missione stava il regno di Dio, se egli visse radicalmente e pienamente in funzione di questo regno di Dio, fino al punto che la sua esistenza e vissuta come una pro-esistenza, cioè come un'esistenza in funzione del regno di Dio, la Chiesa, in quanto suo "corpo", in quanto sua "presenza visibile ed operante" nella storia, dovrà anch'essa essere centrata e vivere in funzione del regno di Dio, se vuole essere Chiesa di Gesù Cristo, "Corpo di Cristo" nella storia.

Questa è la prima e più fondamentale caratteristica della Chiesa cristiana: il suo radicale decentramento. Non può vivere in funzione di se stessa. Non può agire a partire da sé. Deve stare, completamente, in funzione e al servizio del regno di Dio: la sua ragione ultima di essere, il suo criterio ultimo di discernimento e di legittimità. Per questo si insiste tanto sul fatto che la (Chiesa cristiana non può essere "ecclesiocentrica", cioè centrata su se stessa. Neppure "cristocentrica", cioè centrata su Cristo, perlomeno se l'enfasi si pone su Gesù Cristo prescindendo o occultando quello in funzione di cui egli visse e operò: il regno di Dio. Neppure teocentrica, cioè centrata su un dio astratto che nulla avrebbe a che vedere con la storia umana, o centrata su una realtà assoluta sprovvista di storicità. Se vuole essere cristiana - (Corpo di Cristo nella storia - dovrà essere centrata sul regno di Dio nella storia, come Gesù Cristo. Dovrà essere regnocentrica. (...)

Questo decentramento della Chiesa porta con sé - in negativo - il fatto che la Chiesa non è uguale al Regno di Dio. Chiunque sa, nella propria coscienza, che ci sono di fatto molte cose, situazioni, relazioni e strutture nella Chiesa che sono contrarie al regno di Dio. Sa che essa non è, di fatto, il Regno di Dio. Ma porta con se anche - in positivo - la necessita di "un centro fuori di se stessa, un orizzonte al di là delle sue frontiere istituzionali, per orientare la sua missione e per dirigere k sua formazione strutturale" (Ellcuria, op. cit.). In altre parole, è necessario "separare Chiesa e regno di Dio affinché essa possa essere configurata da questo, in maniera che possa vedersi sempre più libera dalla sua versione del mondo attraverso una autentica con-versione al regno" (ibidem). (...)

Jacques Dupuis, da parte sua, afferma che neppure il Concilio Vaticano II è riuscito a liberarsi da questa identificazione tra Chiesa e regno di Dio: "nella costituzione dogmatica Lumen gentium la Chiesa e il regno di Dio continuano ad essere identificati, tanto nella realizzazione storica quanto nel loro compimento escatologico" (Rumo a uma teologia cristã do pluralismo religioso, Paulinas, São Paulo 1999). Nonostante ciò, la costituzione pastorale Gaudium et Spes dà l'impressione di aver superato tale identificazione. Al n. 39, di fatto, parla della crescita del Regno di Cristo e di Dio nella storia e del suo compimento escatologico senza riferirsi alla Chiesa, ma includendo tutta l'umanità. La stessa Gaudium et Spes afferma che 'la Chiesa marcia verso un unico fine: la venuta del Regno di Dio e la salvezza di tutto il genere umano' (Gs 45)". (...)

Potremmo spingerci oltre in questa discussione. Ma, per ora, ci basta h constatazione di questo radicale decentramento della Chiesa. Ci basta la constatazione che la Chiesa non esiste per se stessa, non può configurarsi in funzione di se stessa. Essa esiste in funzione di qualcosa che la estrapola e che è, anche, criterio della sua legittimità o falsità. Essa esiste in funzione di qualcosa che è presente anche in altre religioni, e nelle persone e nei gruppi che non si considerano religiosi ma che difendono e pro-muovono la vita. Si tratta della presenza, azione, intervento, maestà, governo dì Dio nella storia a partire e a favore dei poveri, degli esclusi, degli oppressi e degli emarginati della nostra società, oltre i limiti e le frontiere delle Chiese cristiane, delle altre tradizioni e gruppi religiosi. Essa si fa Chiesa in quanto e nella misura in cui è al servizio di questa azione di Dio e cerca di storicizzarla-incarnarla. Questo compito lo ha in comunione con tutte le religioni, con tutte le persone e tutti i gruppi che in un modo o in un altro, sono al servizio di questo regno, lottano per la sua realizzazione storica, si spendono per esso.

2. La formazione del popolo di Dio

Vicino e relazionato al concetto e alla realtà del regno di Dio è il concetto e la realtà del popolo di Dio (...). Secondo Ellacuria, "Regno (di Dio) e Popolo (di Dio) fanno riferimento immediato alla storicità totale della relazione di Dio con l'essere umano e dell'essere umano con Dio" (Iglesia como pueblo de Dios, in Escritos Teológicos). (...)

La storicità della relazione tra Dio e il popolo implica "un progetto storico di vita per il popolo che deve essere popolo di Dio. [...] Dio ha progetti e disegni nella storia degli uomini, la cui realizzazione piena non sarebbe altra cosa che il regno di Dio in terra" (ibidem). È qui che si dà e si esplicita la relazione stretta tra popolo di Dio e regno di Dio. Il popolo di Dio è il popolo sul quale Dio regna, il popolo che è al servizio del regno di Dio e lotta per la sua realizzazione storica. (...)

È necessario dire e insistere che così come il regno di Dio non è uguale alla Chiesa cristiana di tradizione romana, neppure lo è l'insieme delle Chiese cristiane. Per una doppia ragione. In negativo, perché le Chiese cristiane non vivono secondo i disegni di Dio, né fanno sempre la sua volontà, né vivono sempre in funzione del suo regno. Non di rado - la storia lo può dire - rifiutano e negano questo regno, sia per omissione - per ingenuità o mala fede - sia per complicità: con le strutture, con i valori, con i gruppi di potere... In positivo, perché nella misura in cui il regno di Dio si va facendo presente, in molti modi e per molti cammini, con diversa intensità, in molti popoli, in molte religioni... il popolo di Dio anche si va costituendo in molti popoli, in molte religioni... come un popolo di molti popoli.(...)

Come afferma profeticamente mons. Pedro Casaldàliga, "il Vaticano II fu un salto iniziale". Tuttavia, continua, "anche la Chiesa va al di là di se stessa, e il Vaticano II non è l'ultima parola" (Na procura do Reino, Ftd, São Paulo 1988). In maniera che, più che attenersi alla lettera (testo) del Concilio, senza prescindere da essa, evidentemente, è necessario lasciarsi condurre dal suo spirito che, attraverso la lettera, ci conduce al mistero del regno di Dio in questo mondo e della costituzione storica del suo popolo, ciò che trapassa i limiti e le frontiere della Chiesa cristiana di tradizione romana e anche dell'insieme delle Chiese cristiane.

Tutto questo ci porta ad affermare con Comblin che "il popolo di Dio sussiste ('subsistit') nella Chiesa, ma non è identico alla Chiesa (...). È un popolo tra i popoli" (O povo de Deus, Paulus, São Paulo 2002), di molte religioni...

II. La Chiesa di Gesù Cristo come Chiesa dei poveri

Giovanni XXIII, nel suo messaggio al mondo l’11 settembre 1962, alla vigilia del Concilio Vaticano II, fa un'affermazione che non ha avuto molta risonanza nel Concilio. Indicava una verità fondamentale della Chiesa e anticipava profeticamente quello che sarebbe avvenuto, sotto l'azione dello Spirito di Gesù Cristo, soprattutto in America Latina. “Davanti ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta come è e come vuole essere: la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri". (...) Durante il Concilio ebbero luogo varie riunioni di un gruppo di vescovi che desideravano che la Chiesa diventasse la Chiesa dei poveri. Questo purtroppo non accadde e di sicuro questa e la maggiore lacuna del Concilio. In fondo, dice Ellacuria, “il Vaticano II fu un concilio universale, ma dalla prospettiva dei Paesi ricchi e della cosiddetta cultura occidentale" (Pobres in Escritos Teológicos II).

Non possiamo approfondire qui quello che e la Chiesa dei poveri, le sue caratteristiche, la sua realizzazione storica... Semplicemente vogliamo affermare che l'essere “dei poveri" è una delle caratteristiche mentali della Chiesa di Gesù Cristo. Non si tratta di un problema pastorale tra altri, che in fondo non tocca il nucleo della fede. L'essere “dei poveri" è la base della fede. (...)

Oltre ad essere una delle caratteristiche fondamentali della Chiesa di Gesù Cristo, l'essere “dei poveri" si costituisce in luogo privilegiato per l’incontro e il dialogo tra religioni. Per una doppia ragione: in negativo, i poveri sono l'espressione più radicale del peccato di questo mondo e del suo rifiuto di Dio. Sono le maggiori vittime delle forze dell'antiregno o del regno del male e sono, con la loro mera esistenza, la denuncia più reale e profetica. In positivo, essi sono il richiamo più radicale alla conversione al regno di Dio e sono il luogo e il germe primari dell'instaurazione del regno di Dio e della restaurazione del popolo di Dio in questo inondo. Se il regno di Dio è diretto fondamentalmente e in primo luogo ai poveri -vittime dell'antiregno - la costituzione del popolo di Dio comincia dai e passa per i poveri, sempre e necessariamente Se e nei poveri che il disegno di Dio e rifiutato, negato... e nei poveri che il suo disegno potrà essere accolto e realizzato storicamente.

Di modo che la Chiesa di Gesù Cristo C la Chiesa dei poveri. Come tale e aperta e convocata, evangelicamente, al dialogo e alla comunione con tutte le tradizioni e i gruppi religiosi, sempre a partire e in funzione dei poveri.

1. La Chiesa dei poveri è luogo e fermento del regno di Dio.

Nella misura in cui al centro delle sue preoccupazioni, della sua organizzazione, della sua vita e della sua missione c'è la vita dei poveri - vittime degli interessi e delle forze dell'anti-regno -; nella misura in cui denuncia la malvagità e il peccato della situazione di miseria e di esclusione in cui vivono tanti fratelli - e nel denunciate affronta le forze dell'antiregno -; nella misura in cui si colloca completamente dalla parte e al servizio dei poveri, assumendo le loro cause e le loro lotte storiche - nonostante le ambiguità e le contraddizioni che comportano -, la Chiesa dei poveri diventa un luogo privilegiato per l'instaurazione del regno di Dio e conseguentemente il suo “fermento" storico nel mondo. E, in quanto tale, si costituisce come “luogo" e “fermento" storici privilegiati dell'incontro, del dialogo e della comunione con le altre tradizioni e gruppi religiosi.

Un dialogo interreligioso che si faccia al margine dei disegni di Dio per questo mondo - la realizzazione storica del suo regno - non e altro che una strategia delle forze dell'antiregno per mantenete e perpetuare la dominazione in questo mondo. Ora, se la negazione delle condizioni materiali di base della sopravvivenza, in quanto negazione della vita nel suo livello primario e fondamentale, e l'espressione più radicale della negazione dell'opera e dei disegni di Dio in questo mondo (peccato), conseguentemente, la soddisfazione di queste condizioni materiali di base, in quanto affermazione della vita nel Suo livello primario e fondamentale, e l'espressione più radicale della conservazione dell'opera di Dio e della fedeltà al suo disegno in questo mondo (grazia). È intorno e in funzione della vita dei poveri - cominciando dal livello più elementare e fondamentale: la materialità della vita - che il dialogo interreligioso si deve portare avanti. In questo senso la Chiesa dei poveri si costituisce come luogo e fermento reali - non solo ideali - del dialogo interreligioso.

2. La Chiesa dei poveri è sacramento del popolo universale di Dio.

Nella stessa misura e proporzione in cui il regno di Dio in questo mondo e legato (rifiuto/negazione vs accoglienza/affermazione) alla vita dei poveri, anche la formazione del suo popolo e legata alla vita e al destino dei poveri. Se il regno di Dio e dei poveri (Lc 6,20; Mt 5,3), anche il popolo di Dio e dei poveri. (...). In quanto sacramento - segnale visibile, anticipazione escatologica - del popolo universale di Dio, la Chiesa dei poveri si presenta come luogo privilegiato di incontro e di dialogo tra le religioni. È la vita dei poveri, la loro liberazione, in ultima istanza, quello che in questo nostro mondo diviso tra ricchi e poveri, oppressori e oppressi. riunisce o separa le religioni e, più ancora, quello che definisce la condizione di popolo di Dio di ogni gruppo o tradizione religiosa.(...).

(da Adista, n. 46, 18.06.2005, pp. 10-12)

Letto 3307 volte Ultima modifica il Lunedì, 01 Dicembre 2008 21:21
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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