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Giovedì, 10 Febbraio 2011 18:50

La Conferenza di Lambeth 2008. Cronaca di una crisi di comunione (Thaddée Barnas)

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In generale gli Anglicani non ricercano altro principio che li unisca se non il loro senso di koinonia e della solidarietà fraterna.Essa deve la sua unità a una tradizione liturgia ed ecclesiologica unica e alla partecipazione delle parti che la costituiscono a un certo numero di istanze consultive anglicane.

 

La Conferenza di Lambeth 2008
Cronaca di una crisi di comunione

di Thaddée Barnas

Dal 16 luglio al 4 agosto 2008, la 14ma Conferenza di Lambeth ha riunito nel campus dell’Università del Kent, a Canterbury, circa 650 vescovi della Comunità anglicana[1]. Essa è stata dominata dalla preoccupazione di mantenere la coesione e l’unità della Comunione anglicana di fronte all’evoluzione ineguale e talora contraddittoria delle diverse province ecclesiastiche che la costituiscono.

Poiché non ha una organizzazione centralizzata, la Comunione anglicana non è ben equipaggiata per affrontare una crisi di questo genere, Essa è composta di 38 “province ecclesiastiche” o Chiese autonome[2], di cui sei Chiese unite, e di un certo numero di altre entità ecclesiali[3]. Se la Chiesa d’Inghilterra gode del prestigio di “Chiesa madre”, né essa né alcun’altra delle province ecclesiastiche hanno autorità costrittiva su di un’altra.

In generale gli Anglicani non ricercano altro principio che li unisca se non il loro senso di koinonia e della solidarietà fraterna. Essa deve la sua unità a una tradizione liturgica ed ecclesiologica unica e alla partecipazione delle parti che la costituiscono a un certo numero di istanze consultive anglicane.

Si possono identificare quattro “Strumenti di comunione”: l’ufficio dell’arcivescovo di Canterbury; la Conferenza di Lambeth; il Consiglio Consultivo Anglicano (ACC) e la Riunione dei primati. L’“Ufficio della Comunione anglicana” che ha sede al Saint Andrew’s House a Londra, non ha autorità propria, ma funziona sotto l’egida dell’arcivescovo di Canterbury, soprattutto come segretariato di quei quattro “Strumenti”.

La Conferenza di Lambeth è convocata dall’arcivescovo di Canterbury all’incirca ogni dieci anni. Per ragioni sia storiche che teologiche[4], essa non può prendere decisioni che impegnino le Chiesa rispettive dei partecipanti. Ma rimane vero che per tradizione le risoluzioni adottate da queste Conferenze successive godano di una autorità morale e di un grande prestigio nel mondo anglicano.

Questa 14a Conferenza di Lambeth ha preso una forma inconsueta a confronto della Conferenze precedenti. Tenendo conto della gravità della crisi attuale e per evitare confronti inutili, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams e il suo gruppo di pianificazione hanno deciso di lasciar cadere la parte deliberativa tradizionale, per concentrare tutta l’attenzione dei partecipanti sullo studio comune della Bibbia e su discussioni libere, chiamate “undaba”, secondo una espressione di lingua zulù che designa “colloqui tra capi”. Questa decisione mirava a favorire un incontro in profondità fra i partecipanti.

Nella sua prima allocuzione presidenziale ai vescovi riuniti, pronunciata la domenica 20 luglio, l’arcivescovo di Canterbury si è sforzato di illustrare la nuova formula. In primo luogo ha notato che i metodi deliberativi utilizzati finora dipendono troppo dalla mentalità occidentale, perché troppo legati ai procedimenti parlamentari ereditati dalla fine del XX secolo. Questa vecchia metodologia ricorreva a «regole rigide, una quantità prodigiosa di carte, orari inflessibili e domande che si possono risolvere con un “sì” o con un “no”». Questi metodi favoriscono gli occidentali che si trovano maggiormente a loro agio in tale procedura; mentre tendono a disorientare i partecipanti che provengono da altre parti del mondo. Bisognava dunque trovare un metodo che garantisse a tutti i partecipanti gli stessi diritti e la sicurezza di essere pienamente ascoltati. La formula scelta per la Conferenza di Lambeth 2008, secondo Rowan Williams, voleva rispondere a tali criteri.

Lo studio biblico ha sempre costituito una delle parti più importanti delle  Conferenze di Lambeth e a Lambeth 2008 ha ricevuto una attenzione particolare. Lo studio del vangelo di Giovanni si svolgeva tutti i giorni in gruppi di una decina di vescovi; un libretto intitolato Segni sul cammino: Studi biblici per la Comunione anglicana nell’anno della Conferenza di Lambeth[5] presentava uno schema programmato per questo studio. L’opera è stata realizzata da una squadra di teologi presieduta dal professor Gerald West, dell’Università di KwaZulu-Natal (Africa meridionale). Si sperava che lo studio biblico avrebbe permesso ai partecipanti non solo di applicarsi insieme al testo sacro, ma anche di imparare progressivamente a conoscersi e ad approfondire la loro reciproca amicizia. Vari gruppi di studio biblico costituivano insieme la quindicina di gruppi più larghi in seno ai quali si svolgevano le discussioni chiamate “indaba”.

Lambeth 2008 aveva come tema principale: “Equipaggiare i vescovi per la missione”. La  missione infatti “costituisce l’azione di Dio in Cristo mediante la potenza dello Spirito santo, che crea, riscatta e santifica il mondo intero. L’evangelizzazione annuncia a tutta l’umanità la verità che Cristo è Signore”[6].

Questa formula nuova, realizzata per la prima volta a Lambeth 2008, ha suscitato un certo numero di critiche. Alcuni temono che la nuova concezione indichi un sottile slittamento del senso stesso della Conferenza. Anche se le risoluzioni delle Conferenze precedenti non potevano impegnare canonicamente le Chiese, tuttavia esse rappresentavano delle ferme decisioni da parte dell’assemblea, e con questo costituivano una interpellanza rivolta alle Chiese. Lambeth 2008, puntando senza riserve su un ravvicinamento spirituale dei partecipanti, ha tranquillamente rinunciato a esprimere un qualsiasi consenso dell’assemblea in quanto tale.

Il nuovo modello si rifà ai colloqui africani. Ora questi hanno lo scopo di arrivare a una soluzione per i problemi che la comunità deve affrontare e non soltanto  di provocare un ravvicinamento fra gli intervenuti. Ci si deve domandare se Lambeth 2008, astenendosi dal prendere qualsiasi decisione formale, possa ancora contribuire concretamente alla riconciliazione in seno al mondo anglicano. D’altronde un ravvicinamento spirituale dei vescovi non può bastare per riconciliare gli Anglicani se la loro Chiesa è di fatto più larga del solo episcopato.

In quanto presidente di Lambeth 2008, Rowan Williams ha voluto dirigere questa Conferenza in maniera più diretta di quel che facevano i suoi predecessori nelle Conferenze recenti. Il suo genio teologico e quello pastorale hanno molto contribuito alla profondità dell’incontro, ma è il caso di chiedersi se la sua leadership non fosse un po’ troppo personale.

Sul piano ecumenico Lambeth 2008 ha fatto prova di una apertura eccezionale, perché tutti gli invitati delle altre Chiese cristiane – dai vescovi cattolici fino ai rappresentanti dell’Esercito della Salvezza – erano, non semplici osservatori, ma partecipanti a pieno titolo.

Questa apertura inabituale non andava però di pari passo sul piano delle relazioni con i media. I rappresentanti della stampa erano accolti con una riserva che sfiorava l’ostilità. I giornalisti non erano neppure ammessi a partecipare al culto con i vescovi. Essi erano esclusi dalla tenda dove avevano luogo le riunioni plenarie, che d’altronde era “protetto” da una barriera antisommossa alta 2 metri e 50! La tradizionale immagine della trasparenza anglicana ha sofferto molto per questo disprezzo del compito positivo che hanno i media nella vita delle Chiese.

I. Le componenti di una crisi

Dopo la 12a Conferenza di Lambeth 1988, si teme una scissione della Comunione anglicana. A quel tempo la questione dell’ordinazione della donna all’episcopato aveva il posto centrale nella controversia. Vari membri delle diverse Chiese anglicane avevano dichiarato che in nessun caso avrebbero accettato il ministero di donne preti o vescovi. Alcuni di essi minacciavano di abbandonare la Comunione anglicana e inoltre il rischio di rottura di comunione fra le province ecclesiastiche sembrava reale. Si arrivava fino a predire che le tensioni interne al mondo anglicano sarebbero divenute così forti che non sarebbe stato più possibile riunire una nuova Conferenza di Lambeth. La questione è stata dibattuta con passione nelle sessioni plenarie di Lambeth 1988. Per concludere,  la Risoluzione 1 chiamava le province a rispettare le decisioni e gli atteggiamenti delle altre province riguardo all’ordinazione della donna al sacerdozio e all’episcopato. Una nota annessa introduceva il concetto di “comunione alterata”: “Si riconosce che l’ordinazione di una donna all’episcopato altererebbe la comunione. Benché la comunione alterata non equivalga alla comunione spezzata, un tale sviluppo esigerebbe un nuovo esame delle relazioni fra le province della nostra Comunione”[7].

Dopo l’ordinazione episcopale nella Chiesa episcopale degli Stati Uniti di Barbara Harris, nel 1988, l’episcopato femminile era diventato una realtà sempre più accettata nella Comunione anglicana. Il Virginia Report, pubblicato nel 1998 da una commissione teologica interanglicana, ha largamente contribuito ad acquietare la controversia. Esso dichiarava che l’episcopato femminile è oggetto di una “ricezione aperta”: esso costituisce un elemento introdotto in alcune Chiese della Comunione e “secondo l’azione dello Spirito santo [questo elemento] sarà o non sarà mantenuto. Nel 1998 le tensioni si erano considerevolmente calmate e le undici donne vescovo della Comunione hanno potuto partecipare alla Conferenza di Lambeth di quell’anno, senza che si parlasse di nuovo di una “alterazione” della Comunione.

Ma se a “Lambeth 1998” l’ordinazione della donna non sembrava più rappresentare un pericolo serio per la coesione della Comunione anglicana, la questione della sua posizione verso la omosessualità, sollevata da alcuni vescovi di tendenza liberale della Chiesa episcopale degli Stati Uniti e della Chiesa anglicana del Canada l’avevano sottoposta a una prova nuova e dura[8].

Delle arringhe eloquenti e una continua agitazione a favore di una apertura verso l’omosessualità hanno marcato lo svolgimento di Lambeth 1998. E tuttavia è una dichiarazione classica della dottrina cristiana in materia di sessualità che, come Risoluzione 1.10, è stata adottata da Lambeth 1998. eccone il testo integrale:

“La Conferenza (a) raccomanda alla Chiesa il rapporto della sottosezione sulla sessualità umana; (b) dati gli insegnamenti della sacra Scrittura, riafferma la fedeltà nel matrimonio tra un uomo e una donna in una unione per la vita, e crede che l’astinenza convenga a coloro che non sono chiamati al matrimonio; (c) riconosce il fatto che vi sono tra noi delle persone che si scoprono una tendenza omosessuale. Molti di essi sono membri della Chiesa e chiedono l’accompagnamento pastorale e la direzione morale da parte della Chiesa, e attendono da Dio la potenza che trasforma le vite e ordina le relazioni umane. Noi ci impegnamo a metterci all’ascolto all’esperienza degli omosessuali. Li assicuriamo dell’amore di Dio: tutti i battezzati, credenti e fedeli, quale che sia la loro tendenza sessuale, sono membra a pieno titolo del corpo di Cristo; (d) pur rifiutando la pratica omosessuale come incompatibile con la sacra Scrittura, essa chiama tutti i suoi membri ad accompagnare, in maniera pastorale e con sensibilità, tutti gli esseri umani, quale che sia la loro tendenza sessuale, e a condannare la paura irrazionale verso gli omosessuali, la violenza nel matrimonio, e ogni forma di banalizzazione e di commercializzazione del sesso; (e) non può consigliare di legittimare né di benedire le unioni fra persone dello stesso sesso, né di ordinare persone impegnate in tali unioni; (f) domanda ai primati e al Consiglio consultivo anglicano di creare una istanza capace di seguire la riflessione condotta in seno alla comunione su queste questioni e di fare circolare fra noi le decisioni e gli studi sul problema; (g) nota il significato della Dichiarazione di Kuala Lumpur sulla sessualità umana e le preoccupazioni espresse nelle risoluzioni IV.25, V.1, V.10, V.23 e V.35 sull’autorità della sacra Scrittura in materia di matrimonio e di sessualità; domanda ai primati di tenerne conto nei procedimenti seguenti”

Esempio significativo dell’autorità morale delle risoluzioni delle Conferenze di Lambeth, questo testo è diventato il punto di riferimento principale di tutti i difensori del mantenimento nell’anglicanesimo della teologia tradizionale in materia di sessualità. L’attuale arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, difende la Risoluzione 1.10 di Lambeth 1988 in quanto rappresenta il consenso della Comunione anglicana in questo momento, e ha rifiutato di permettere che essa sia rimessa in questione da Lambeth 2008.

II.  Scoppia la crisi

Le decisioni prese nel 2003 da due diocesi anglicane dell’America del Nord – quella del New Hampshire (Stati Uniti) e quella di New Westminster (Canada) – che vanno contro tale consenso, hanno scatenato una crisi di dimensioni finora sconosciute nel mondo anglicano.

1. L’autorizzazione di benedire coppie dello stesso sesso

Il 23 maggio 2003 Michael Ingham, vescovo di New Westminster (Canada) autorizzò sei delle ottanta parrocchie della sua diocesi a celebrare la benedizione dell’unione di due persone dello stesso sesso; contemporaneamente ha pubblicato un rituale per questo tipo di cerimonia.

Questa decisione aveva una preistoria nel Sinodo diocesano di New Westminster, che aveva accettato, con voto maggioritario nel 1998 e nel 2001, il principio della autorizzazione per tali cerimonie, ma il vescovo Ingham non ha voluto consentire all’applicazione della risoluzione prima che un terzo voto nel 2002 non abbia prodotto una maggioranza incontestabile a favore della disposizione. Michael Ingham pensava di poter ormai passare ai fatti.

Il 27 maggio l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che era stato insediato il 27 febbraio dello stesso anno, espresse la disapprovazione della decisione del vescovo di New Westminster. Riferendosi alla Lettera pastorale che la riunione dei primati pubblicava lo stesso giorno all’uscita dal loro incontro a Gramado (Brasile), il dr. Williams affermò: “La liturgia pubblica della Chiesa esprime il sensus della Chiesa sulle questioni di dottrina. Ora, in questo momento non esiste [nella Comunione anglicana] nulla che possa assomigliare a un consenso a favore delle unioni di persone dello stesso sesso. Col compiere tale passo, e ignorando le gravi riserve delle Chiese, espresse in maniera reiterata [...] la diocesi [di New Westminster] ha oltrepassato i limiti di quel che può essere giustificato dalla dottrina della Chiesa e dalla cura pastorale. Sono molto addolorato per le tensioni inevitabili e la divisione che conseguiranno a tale decisione”. Altre reazioni negative, provenienti soprattutto dalle province anglicane dell’emisfero sud, non si sono fatte attendere.

2. La promozione all’episcopato di un uomo che vive apertamente in una relazione omosessuale

Il 2 novembre 2003 il canonico V. Gene Robinson è stato consacrato vescovo coadiutore della diocesi episcopale del New Hampshire (Stati Uniti). Fu insediato come vescovo diocesano il 7 marzo 2004.

La Convenzione [Sinodo diocesano] di quella diocesi aveva eletto il canonico Robinson il 7 giugno. Rispondendo a questo avvenimento l’arcivescovo di Canterbury ha dichiarato che questa elezione avrebbe avuto “un impatto significativo sulla Comunione anglicana attraverso il mondo”, ma che era ancora troppo presto per prevedere le reazioni delle diverse province. Ha invitato la  Chiesa episcopale a una seria riflessione “prima di prendere decisioni significative e irrevocabili”. Tuttavia l’elezione fu ratificata dalla Convenzione generale [Sinodo generale] della Chiesa episcopale il 3 agosto.

Immediatamente si sono registrate contro questa evoluzione reazioni ancor più vive che nel caso della diocesi di New Westminster. Alcuni vescovi arrivavano fino a dichiarare, con sfumature diverse, l’alterazione, o anche la rottura di comunione fra loro e le persone che avevano partecipato a questa ordinazione episcopale.

3. Iniziative intraprese a livello della Comunione anglicana: il Rapporto Windsor e le sue conseguenze

Fin dall’8 agosto l’arcivescovo di Canterbury ha annunciato che convocava una riunione straordinaria dei primati, al palazzo di Lambeth, per il 15 e il 16 ottobre, per discutere sull’avvenire della Comunione in seguito alle decisioni prese in Canada e negli Stati Uniti.

Il comunicato finale di questo incontro constata che questi gesti rappresentano una minaccia per l’unità della Comunione anglicana, come anche per le buone relazioni ecumeniche fra gli Anglicani e gli altri cristiani, per la loro missione e la loro testimonianza, e ancora per le loro relazioni con altre religioni. Il comunicato riafferma la comprensione comune dell’autorità della Scrittura. Pur riconoscendo che in seno alla Chiesa può nascere una legittima diversità di interpretazione, i primati dichiarano che tale diversità non autorizza nessuno a prendere alla leggera l’autorità della Scrittura. Ogni provincia ecclesiastica deve rendersi conto delle possibili ricadute delle sue innovazioni sulla vita di altre province della Comunione. I primati riaffermano inoltre la Risoluzione 1.10 di Lambeth 1998, sottolineando la necessità “di ascoltare l’esperienza delle persone omosessuali” e il bisogno di continuare lo studio della sessualità umana.

Ricordando che Lambeth 1998 aveva deciso che si costituisse una commissione per esaminare il mantenimento della comunione fra le province quando sorgono gravi difficoltà, il comunicato chiede che l’arcivescovo di Canterbury nomini tale commissione. Con il mandato di pubblicare le sue conclusioni entro i dodici mesi successivi.

La Commissione, chiamata “Commissione di Lambeth”, è stata costituita sotto la presidenza del primate di tutta l’Irlanda, l’arcivescovo Robin Eames. Nell’ottobre 2004 essa pubblicò il suo rapporto, conosciuto sotto il nome di Rapporto di Windsor[9]. La Commissione ha dovuto riconoscere che, per alcuni, il loro lavoro era fin d’ora superato da certe decisioni prese da alcune province e da alcuni dirigenti delle Chiese.

Evocando esplicitamente la promozione all’episcopato di V. Gene Robinson, il documento constata che “eleggendo e confermando  un [candidato apertamente omosessuale] di fronte alle preoccupazioni espresse dalla Comunione in generale, la Chiesa episcopale ha causato profonde ferite a molti cristiani anglicani nella propria Chiesa e in altre parti della Comunione”[10]. Egli invita anche  tutti quelli che avevano preso parte alla consacrazione di Gene Robinson ad astenersi dal partecipare alle riunioni internazionali della Comunione fintanto che la Chiesa episcopale non avrà “espresso il suo rammarico”[11]. E afferma che “i ‘vincoli di affetto’ tanto spesso citati come attributo prezioso della vita della Comunione anglicana e come strumenti della comunione e dell’unità, sono stati minacciati dalle divisioni attuali”[12]

I primati della Comunione anglicana, riuniti a Dromantine (Irlanda del Nord) dal 20 al 25 febbraio 2005, si sono occupati del Rapporto di Windsor. In questa occasione è stato presentato un rapporto preliminare basato su 322 reazioni al Rapporto. Queste reazioni sostenevano grosso modo le raccomandazioni formulate nel testo, con un certo numero di osservazioni critiche. I primati, da parte loro, chiedevano che la Chiesa episcopale degli Stati Uniti  e la Chiesa anglicana del Canada ritirassero volontariamente i loro membri dal Consiglio Consultivo Anglicano per il periodo  intercorrente con la Conferenza di Lambeth del 2008, e che nello stesso tempo le due Chiese riflettessero seriamente sulle sfide che il Rapporto di Windsor rivolge loro. Essi propongono all’arcivescovo di Canterbury di costituire un “Comitato di Riferimento”[13] con il compito di cercare di valutare le misure prese nelle varie Chiese per prevedere un accompagnamento pastorale adeguato per le persone e le comunità che si trovano nell’incapacità di accogliere il ministero dei loro vescovi territoriali.

La terza sessione del Consiglio Consultivo Anglicano, a Nottingham nel maggio 2005, confermò il suo appoggio alle disposizioni prese dai primati a Dromantine.

Nel febbraio 2007 i primati si sono incontrati ancora una volta a Dar es-.Salaam (Tanzania). Hanno esaminato lungamente la questione dell’evoluzione in seno alla Chiesa episcopale. Il comunicato finale prende atto della convinzione di un gran numero di primati che questa Chiesa “si è allontanata dai criteri dell’insegnamento sulla sessualità umana fissato dalla Comunione nella Risoluzione 1.10 di Lambeth 1998 con il consenso all’elezione all’episcopato di un candidato che vive in una relazione omosessuale stabile e col permettere riti di benedizione delle coppie dello stesso sesso”[14]. Il comunicato fa notare che sussiste una ambiguità per quel che riguarda la benedizione delle coppie dello stesso sesso: la 75a Convenzione generale [sinodo generale] di questa Chiesa nel 2006 non ha adottato alcuna risoluzione in materia, ma in varie diocesi sono state prese disposizioni in vista di tale benedizione[15].

Il tasto affronta poi il problema dei tentativi da parte di alcuni primati e vescovi di altre province di prendere sotto la loro giurisdizione  parrocchie della Chiesa episcopale, e afferma che questi interventi hanno aggravato la situazione[16]. Inoltre un certo numero di diocesi della Chiesa episcopale, ritenendo di non potere in coscienza accettare l’autorità primaziale dell’attuale primate, Katharine Jefferts Schori, avevano invitato l’arcivescovo di Canterbury e i primati a progettare una sorta di ministero primaziale alternativo[17].

Inoltre i primati riuniti a Dar es-Salaam “deplorano la mancanza di chiarezza che caratterizza alcune delle decisioni prese dalla 75a Convenzione generale della Chiesa episcopale[18] in risposta al Rapporto di Windsor[19]. In particolare essi chiedono che la Camera dei vescovi della Chiesa episcopale si impegni: 1° ad astenersi, a livello diocesano e nazionale, dall’autorizzare riti di benedizione di coppie dello stesso sesso, 2° ad astenersi dal confermare l’elezione di qualunque candidato all’episcopato che vive in una relazione omosessuale. Si riteneva che questo impegno richiesto dovesse durare “fino a che un nuovo consenso raggiunga l’insieme della Comunione anglicana”[20]. I primati richiedono inoltre che la risposta della Camera dei vescovi sia data prima del 30 settembre 2007.

i. La risposta della Camera dei vescovi

Il 25 settembre 2007 la Camera dei vescovi della Chiesa episcopale, riunita a Nuova Orleans, ha risposto pubblicamente all’invito dei primati[21]. L’arcivescovo di  Canterbury e un certo numero di altri primati erano presenti. Nel loro comunicato finale i vescovi americani prendono una serie di impegni: 1° rifiutare di consentire alla consacrazione episcopale di persone il cui stile di vita ponga problemi per la Chiesa su più larga scala; 2° astenersi  dall’autorizzare riti pubblici per la benedizione di coppie dello stesso sesso; 3° sostenere il progetto proposto dal primate della loro Chiesa per prevedere vescovi visitatori [presso comunità che ne facciano domanda]. Deplorano poi gli interventi non sollecitati di vescovi di altre province e chiedono che finiscano tali incursioni. Insistono infine sull’importanza del “processo di ascolto” dell’esperienza delle persone omosessuali, raccomandato dalla Risoluzione 1.10 di Lambeth 1998.

Il documento di Nuova Orleans fu dapprima comunicato al Comitato permanente misto (JSC) del Consiglio Consultivo Anglicano e dei primati della Comunione anglicana, che lo esaminò e concluse che la Chiesa episcopale aveva “chiarito tutte le questioni in sospeso”

Un rapporto interinale del JSC è stato reso pubblico il 2 ottobre 2007[22], prima che quattro dei suoi membri avessero potuto presentare la loro propria valutazione. Uno di essi, il primate di Gerusalemme e del Medio Oriente, Mouneer Anis, si è dichiarato in disaccordo con il rapporto interinale, insistendo, fra l’altro, sul fatto che il testo della Camera dei vescovi non evoca esplicitamente la richiesta del Rapporto di Windsor di imporre una moratoria sui riti pubblici di benedizione delle coppie dello stesso sesso. Gli è stato ricordato il fatto che dopo la 75a Convenzione generale del 2006 è stato costituito dal JSC un Sottogruppo per valutare la reazione della Chiesa episcopale al Rapporto di Windsor, e che questo Sottogruppo aveva giudicata adeguata le sua reazione, nonostante il fatto che la Risoluzione B033 di questa Convenzione generale non abbia ripreso la formula esatta del Rapporto di Windsor. Il JSC affermò che la dichiarazione di Nuova Orleans aveva dunque “chiaramente affermato che il Sottogruppo aveva ragione di affermare la risoluzione B033 come una risposta chiara al Rapporto di Windsor”.

Il JSC si è occupato anche del malessere provato da alcuni membri della Chiesa episcopale, scontenti delle tendenze liberali della maggioranza dominante. Questo malessere ha portato da un lato alla domanda espressa da alcune parrocchie e diocesi perché si preveda una “sovrintendenza . episcopale alternativa”. D’altra parte questo malessere ha favorito le “incursioni” sul territorio della  Chiesa episcopale da parte di vescovi anglicani estranei, che pretendono di estendere il loro ministero episcopale alle comunità americane dissidenti senza l’accordo dei loro vescovi. La direzione della Chiesa episcopale propone un piano di “sovrintendenza pastorale da parte di vescovi delegati” (Delegated Episcopal Pastoral Oversight, DEPO).  Se un certo numero di comunità dissidenti hanno dimostrato con le loro iniziative che esse trovano insufficiente questa proposta, il JSC raccomanda sempre che l’arcivescovo di Canterbury continui le sue consultazioni per trovare una soluzione che sia accettabile per tutti.. Riconoscendo che devono cessare gli interventi non richiesti da parte di vescovi estranei, il JSC nota la domanda che la Camera dei vescovi rivolge a tutti gli Anglicani a favore del rispetto della giurisdizione locale. E il JSC aggiunge: “Non comprendiamo come alcuni primati possano in buona coscienza richiamare la Chiesa episcopale a rispettare le raccomandazione del Rapporto di Windsor, pur esentando se stessi [da quelle che riguardano il rispetto della territorialità ecclesiale]”[23].

L’arcivescovo di Canterbury inviò questa risposta, all’inizio di ottobre 2007, ai primati delle province della Comunione e ai membri del Consiglio Consultivo Anglicano. Pose loro due domande e li pregò di consultare le loro rispettive Chiese e di far conoscere la loro reazione prima della fine del mese. Le due domande erano le seguenti: 1° in quale misura la vostra provincia può accettare la conclusione tratta dal JSC, secondo la quale la Camera dei vescovi della Chiesa episcopale ha soddisfatto alle domande di Rapporto di Windsor e a quelle della riunione dei primati a Dar es-Salaam? 2°  Quale seguito pensate di prevedere a questo procedimento? Parimenti ha inviato il testo ai membri del Consiglio Consultivo Anglicano, chiedendo la loro valutazione e le loro raccomandazioni. Un rapporto in data 20 novembre riassume le risposte ricevute fino a quel momento[24]. Dei 26 primati che hanno risposto, dodici trovavano che la risposta dei vescovi americani era soddisfacente, e dieci, rappresentanti tutti delle Chiese appartenenti al gruppo “Global South[25], arrivavano alla conclusione contraria. Le altre risposte non si prestavano a una classificazione univoca. Le risposte ottenute dai membri del Consiglio Consultivo Anglicano erano ancora troppo poche per poter essere considerate come rappresentative.

ii. Il seguito del processo di Windsor

Nella sua lettera pastorale dell’Avvento 2007[26], l’arcivescovo di Canterbury esorta in maniera eloquente alla comprensione scambievole fra le province, perché sia possibile mantenere la comunione fra loro.

Dapprima rende conto della mancanza di unanimità nelle risposte a riguardo del JSC. “Non abbiamo dunque alcun consenso riguardo al rapporto della Nuova Orleans. È chiaro d’altronde che alcune valutazioni più negative da parte dei primati sono state influenzate dalle osservazioni di alcuni vescovi nella Chiesa episcopale che si sono detti poco proclivi a rispettare i termini della dichiarazione, mentre altri hanno affermato che a loro parere essa non implica che si introduca un qualsiasi cambiamento riguardo allo statu quo”.

Rowan Williams fa notare poi che l’unità della Comunione anglicana dipende “dalla capacità di ogni parte della famiglia di riconoscere che altre Chiese locali hanno ricevuto la stessa fede dagli apostoli e si sforzano di conservarla nella fedeltà all’unico Signore incarnato che parla nella sacra Scrittura e che accorda la sua grazia nei sacramenti. In altri termini, le Chiese locali riconoscono da una parte e dall’altra gli stessi ‘elementi costitutivi’”. Per questo la piena comunione significa per lui: 1° il riconoscimento che tutti si collocano sotto l’autorità della sacra Scrittura “come regola e criterio finale della fede”; 2° il riconoscimento scambievole del ministero autentico della Parola e dei sacramenti; 3° il riconoscimento che la prima e grande priorità per ogni comunità cristiana è di comunicare la buona notizia. “In questo contesto noi dobbiamo riflettere sulla crisi attuale, che pone il problema di sapere che possiamo pienamente riconoscere questi doni negli uni e negli altri in piena onestà e rendimento di grazia”.

“Le discussioni a proposito della sessualità, per quanto siano significative, non sono che sintomi della nostra confusione su questi principi fondamentali del mutuo riconoscimento [...]. Il problema più grave è di sapere che cosa possiamo fare se ci teniamo a rimanere visibilmente fedeli alla sacra Scrittura e alla morale tradizionale della Chiesa cristiana, in quel che concerne la benedizione in nome della Chiesa di certe decisioni personali su quel che costituisce uno stile di vita cristiana accettabile. Poiché non c’è attualmente alcun consenso nella Comunione anglicana a questo riguardo, non si può pensare di cambiare la nostra disciplina o la nostra interpretazione della Bibbia”. Per questo “se una parte della famiglia fa un passo definitivo che implica manifestamente una nuova comprensione della Scrittura, [...] bisogna che coloro che non hanno ricevuto [questa nuova comprensione] possa distanziarsi dalle decisioni e dagli orientamenti che non hanno accettato”.

L’arcivescovo di Canterbury annuncia infine la nomina di un Gruppo di lavoro incaricato di esaminare i problemi che nascono dalla mancanza di unanimità di fronte alla dichiarazione dei vescovi americani a Nuova Orleans.

Nonostante questi sforzi per una pacificazione, alla vigilia dell’apertura di Lambeth 2008, l’agitazione sul problema dell’omosessualità non era terminata. Sapendo che non era stato invitato a partecipare alla Conferenza, ma avendo l’intenzione di presentarvisi in margine all’assemblea, V. Gene Robinson ha voluto presentare il suo punto di vista in un libro autobiografico pubblicato alla fine di aprile[27], e ha annunciato l’intenzione di entrare in una unione civile con il suo compagno, Mark Andrew. Una benedizione liturgica della loro unione si è svolta in una cerimonia privata alla chiesa Saint-Paul di Concord (New Hampshire), il 7 giugno 2008. Tale gesto, avvenuto meno di sei settimane prima dell’apertura di Lambeth 2008 è stato interpretato dalla maggioranza degli osservatori come una ardita provocazione.

III. La Conferenza mondiale sull’avvenire dell’anglicanesimo  (GAFCON)

All’avvicinarsi della Conferenza di Lambeth 2008, una nuova sfida alle strutture esistenti della Comunione anglicana è stata data dalla “Conferenza mondiale sull’avvenire dell’anglicanesimo (Global Anglican Future Conference,GAFCON), iniziativa di un certo numero di conservatori anglicani. La GAFCON riuniva dal 27 al 29 giugno a Gerusalemme circa 1.200 persone, di cui 291 vescovi e sei primati di province ecclesiastiche anglicane[28].

Gli scopi annunciati dell’incontro erano “rinnovare la nostra comprensione dell’identità cristiana anglicana”, “offrire un’occasione di vivere la comunione e sperimentare e proclamare l’amore trasformante del Cristo”.

Gli organizzatori non dissimulavano la loro intenzione di denunciare le tendenze liberali della Chiesa episcopale degli Stati Uniti. Il 19 giugno pubblicarono un documento di 102 pagine che aveva come titolo La via, la verità e la vita[29], nel quale l’arcivescovo Peter Akinola, primate della Chiesa di Nigeria e uno dei critici più virulenti della Chiesa episcopale, afferma che “non c’è più nessuna speranza di mantenere l’unità della Comunione: l’intransigenza di coloro che rifiutano l’autorità della Bibbia continua a fare ostacolo alla nostra missione e si direbbe che in questo momento la Comunione [anglicana] sia contraria a scegliere tra l’accettazione delle loro innovazioni e il mantenimento del corso seguito dalla Chiesa fin dal tempo degli Apostoli[30]”.

Ufficialmente la GAFCON non si presentava né come un atto di scisma e neppure come un rivale della Conferenza di Lambeth 2008. Ufficialmente tutti i partecipanti si auguravano il mantenimento dell’unità della Comunione anglicana. Alcuni dei vescovi presenti a Gerusalemme annunciavano la loro intenzione di partecipare anche a Lambeth 2008.

Tuttavia la partecipazione alla GAFCON non si limitava ai membri della Comunione anglicana, ma comprendeva anche dei rappresentanti di movimenti anglicani dissidenti (“continuing Anglican groups”) e un certo numero di persone che, avendo lasciato la Chiesa episcopale, avevano ricevuto l’ordinazione episcopale dalle mani di rappresentanti di altre province anglicane.

Il comunicato finale della GAFCON, pubblicato il 29 giugno, si è dimostrato eccezionalmente severo. Esso denuncia anzitutto l’“adozione e la promozione da parte di certe province della Comunione anglicana di un vangelo estraneo e contrario alla tradizione apostolica (Gal 1, 6-8)”. Il testo prende atto delle dichiarazioni di rottura di comunione con i vescovi che propagano questo “falso vangelo” e poi dichiarano che gli “Strumenti di comunione” si sono dimostrati “incapaci di esercitare una disciplina adeguata di fronte alla eterodossia manifesta”.

Il comunicato dichiara che i partecipanti alla GAFCON costituiscono una comunità [“fellowship”] di Anglicani confessanti, impegnati a operare per il bene della Chiesa e per la promozione della sua missione. Il comunicato colloca l’identità anglicana nell’adesione alla dottrina cristiana piuttosto che nella comunione con la sede di Canterbury. Tale identità è “costruita sul fondamento delle sacre Scritture e dell’insegnamento dei padri della Chiesa e dei concili antichi in accordo con le Scritture”. Il documento precisa che questa dottrina si ritrova nei “formulari anglicani classici”: i 39 Articoli di religione, nel Book of Common Prayer, e il rituale anglicano delle ordinazioni. “Abbiamo intenzione di rimanere fedeli a questa norma e invitiamo tutti i membri della Comunione a riaffermarlo”.

Il testo dà poi una bella confessione di fede, intitolata “Dichiarazione di Gerusalemme”. Su questa base si propone di allargare la “comunità” della GAFCON, e di formare un “Consiglio dei primati”, che avrebbe il compito, fra gli altri, di identificare le “giurisdizioni anglicane confessanti”. Secondo il testo il rispetto della giurisdizione territoriale è “augurabile”, salvo “là dove le Chiese e i loro dirigenti rinnegano la fede ortodossa e impediscono la sua propagazione. Quindi il documento riconosce “il coraggio dei primati e delle province che hanno fatto dono del ministero di episcopé ortodossa alle Chiese governate da falsi dirigenti, particolarmente in America del Nord e del Sud.

Fin dall’indomani della chiusura della GAFCON, l’arcivescovo di Canterbury pubblicò la sua reazione all’avvenimento e al suo comunicato finale[31]. Egli vi riconosce prima di tutto “molto di positivo e incoraggiante”. I principi dottrinali, in particolare, saranno, a suo parere, “accettati dalla grande maggioranza di Anglicani di tutte le province”. Si dice poi d’accordo sul fatto che bisogna unire la Comunione in un impegno fermo per il contenuto della “Dichiarazione di Gerusalemme”.

Ma Rowan Williams si mostra più reticente riguardo alle espressioni della GAFCON sull’avvenire dell’anglicanesimo. Fa notare, per esempio, che non è del tutto certo che la legittimità del “Consiglio dei primati” sarà alla lunga riconosciuto dall’insieme della Comunione. E domanda con quali criteri si pretenderà di giudicare che un primate sia degno o no di far parte di questo Consiglio.

Inoltre, per l’arcivescovo di Canterbury, ogni tentativo di sorpassare le frontiere canoniche delle province ecclesiastiche si scontra con il principio del riconoscimento storico dei ministeri attraverso la Comunione anglicana. Come mantenere una effettiva disciplina se si permette che delle giurisdizioni possano trovarsi in stato di mutua concorrenza? E se le strutture attuali della Comunione non funzionano in maniera soddisfacente, bisognerà rinnovarle, piuttosto che improvvisare soluzioni a breve termine che rischiano di creare più problemi di quel che ne  risolvono.

Rowan Williams rifiuta l’idea che “quelli che si trovano fuori della rete GAFCON annunciano un ‘vangelo estraneo’ [...]; da tutti i lati delle nostre controversie si brandiscono false raffigurazioni, slogan e caricature; ecco quel che bisogna mettere in questione, in nome del rispetto e della pazienza che ci dobbiamo scambievolmente in Gesù Cristo [...]. L’impazienza che cerca a qualunque costo di eliminare il loglio che spunta fra i germogli di vera vita nel campo del Signore metterà in pericolo la chiarezza e l’efficacia della nostra comunicazione delle verità evangeliche e cattoliche presentate nella dichiarazione della GAFCON”.

IV. La Conferenza di Lambeth e l”Indaba”

Come abbiamo visto, il gruppo incaricato di pianificare Lambeth 2008 ha voluto eliminare la consueta procedura parlamentare e sostituirla con il modello dell’Indaba africano, – il cui scopo è di scoprire le convergenze più profonde capaci di mantenere dei legami fra le persone di opinioni diverse – per approfondire la comprensione reciproca dell’argomento.

Lo scopo principale non era la redazione di un documento, ma, sulla base delle discussioni, è stato pubblicato un testo sotto il titolo di Lambeth Indaba[32] che pretende di “riflettere le opinioni di tutti i vescovi riuniti per la Conferenza di Lambeth” e di “cercare di onorare la partecipazione e il contributo di ogni vescovo”.

Il documento Lambeth Indaba, reso pubblico alla vigilia della chiusura della Conferenza, il 2 agosto, si rivolge “a tutti i cristiani nel seno delle Chiese della Comunione anglicana e ai nostri collaboratori ecumenici”. Si tratta di una specie di rendiconto delle discussioni dell’Indaba. È stato discusso in seduta plenaria, ma non è stato oggetto di un voto. Esso presenta però delle profonde intuizioni di teologia pastorale e di spiritualità che dimostrano la vitalità che caratterizza sempre il pensiero anglicano.

Il testo si sforza di tendere la mano all’iniziativa GAFCON: “Noi ci rendiamo ben conto che alcuni dei nostri colleghi nell’episcopato, che si sono riuniti a Gerusalemme il mese scorso, non sono stati presenti alla Conferenza di Lambeth. Siamo stati impiccoliti dalla loro assenza. Ci impegnamo a cercare i mezzi di implicarli nelle nostre discussioni, in vista del mantenimento della comunione[33].

Il documento affronta in primo luogo il tema e il sottotema della Conferenza: “Equipaggiare i vescovi per la missione” e “Rafforzare l’identità anglicana”.

1. “Equipaggiare i vescovi per la missione

Cinque attributi o “note” di una missione autentica furono formulate nel 1996 dalla Commissione permanente per la missione della Comunione anglicana (MISSIO). I cinque punti sono i seguenti: “1° proclamare la buona notizia del Regno; 2° insegnare, battezzare, accompagnare i nuovi credenti; 3° rispondere ai bisogni dell’essere umano con il servizio caritativo; 4°sforzarsi di trasformare le strutture della società; 5° impegnarsi a mantenere l’integrità del creato per sostenere e rinnovare la vita sulla terra”[34]. In seguito queste “cinque note” sono state oggetto di discussioni a tutti i livelli attraverso la Comunione anglicana.

Il documento ricorda che, per gli Anglicani, è proprio la diocesi a costituire la “Chiesa locale”, unità fondamentale della Chiesa intera. Per conseguenza è a livello diocesano che spetta la priorità nell’impegno missionario. Divenire discepolo e crescere nello Spirito implicano un “incontro personale del Cristo risorto e un impegno a essere suoi discepoli”. Il Vangelo è l’elemento vitale della Chiesa, che ispira il vescovo nel suo ministero di riconciliazione, con la proclamazione in parole e in gesti della buona notizia dell’amore di Dio in Cristo, che trasforma tutta la vita. Il vescovo deve essere sostenuto dalla compassione della sua comunità. Deve saper delegare alcune responsabilità e non deve mai dimenticare i poveri e gli emarginati. La storia dell’anglicanesimo è caratterizzata da una ricca tradizione di attenzione pastorale verso le persone che si trovano in momenti di difficoltà e di crisi. Alcuni modelli della pastorale dei giovani sono sorpassati; occorre sostituirli con espressioni fresche e con una vera passione per il loro inserimento nella vita della Chiesa.

La buona notizia proclamata in Cristo è rivolta specialissimamente ai poveri e agli esclusi, a quelli che sono al margine delle nostre società e ai diseredati. La proclamazione del Vangelo è l’annuncio di tutto un modo di vita e una vocazione alla santità personale. La Chiesa è chiamata a rimanere fedele all’autorità della Bibbia in tutti gli aspetti dell’esercizio della sua missione[35].

Il testo dichiara che le opere missionarie delle diocesi dovrebbero beneficiare dell’istituzione di legami più efficaci a livello provinciale, che consentano una condivisione migliore di informazione, di risorse, di esperienza, di personale, di educazione e di programmi di formazione. Il documento raccomanda che le province ecclesiastiche facciano un esame critico delle loro rispettive “burocrazie”, per favorire non solo una maggiore efficacia, ma anche la collegialità e l’interdipendenza fra le diocesi. Il documento sottolinea l’importanza del rispetto dei diritti della persona umana, della cura dell’ambiente, dei problemi degli operai stagionali. Attira l’attenzione sulla pandemia dell’AIDS, la giustizia sociale, la verità e la riconciliazione nelle società che escono da regimi eccezionali, ecc. In tutti questi campi, il testo insiste sulla necessità della collaborazione ecumenica[36].

Il documento Lambeth Indaba riafferma il sistema anglicano delle Chiese indipendenti e autonome, ma riconosce la necessità di rinnovamento e di evoluzione per promuovere l’unità della Comunione e per un miglior coordinamento delle iniziative a tutti i livelli. Gli “Strumenti di comunione” sono sempre gli organi appropriati per simboleggiare e realizzare il nesso fra i livelli internazionali e locali. Ma ci si aspetta anche da essi che siano percepiti come una autorità ecclesiale che interpreta l’identità anglicana. Si augura che forniscano delle chiarificazioni sulla natura della comunione, che canalizzino l’aiuto scambievole in caso di urgenza, che rafforzino la solidarietà con gli svantaggiati e i perseguitati, che appoggino attivamente le iniziative a favore della pace, che aiutino a risolvere i problemi interni, che facilitino la creazione di reti e associazioni (per esempio, il gemellaggio di diocesi) e la diffusione di informazioni in seno alla Comunione, e che sostengano coloro che soffrono per l’isolamento a causa della loro obbiezione di coscienza alla misure adottate nelle loro rispettive diocesi e province[37].

Ritornando sulle “cinque note della missione”, il documento dichiara che “il Vangelo non è soltanto la proclamazione della redenzione e del rinnovamento degli individui, ma il rinnovamento della società sotto il regno di Dio. Esso annuncia la fine dell’ingiustizia e la restaurazione del giusto rapporto degli uomini con Dio, fra loro e con la creazione”. Per questo la Chiesa si impegna a favore della giustizia sociale in generale e verso gli Obbiettivi di sviluppo per il Millennio in particolare. Il documento auspica infine la creazione di una nuova agenzia mondiale anglicana per l’assistenza e lo sviluppo.

2.  “Rafforzare l’identità anglicana”

Lambeth Indaba passa poi al secondo tema della Conferenza, “Rafforzare l’identità anglicana”. Quale deve essere dunque in contributo distintivo della Comunione anglicana alla missione di Dio e alla proclamazione del Vangelo? Quale è la visione propria della fede cristiana partendo dalla storia e dall’eredità delle Chiese anglicane?

Gli Anglicani riconoscono quattro dimensioni nella vita di Chiesa: essa è costituita dalla Scrittura, informata dalla liturgia, ordinata in funzione della comunione e retta dalla missione di Dio. Queste quattro “note” esigono che si accetti di affrontare le tensioni attuali, in particolare i problemi della sessualità umana e l’autorità della sacra Scrittura[38].

Dire che la vita ecclesiale è “costituita dalle Scritture” è affermare l’importanza del ruolo che esse occupano nella proclamazione della Parola di Dio. Gli Anglicani leggono le Scritture alla luce della ragione e della tradizione, tenendo conto del loro contesto culturale e della critica biblica. Non si può non constatare che sono apparse interpretazioni diverse attraverso i diversi contesti culturali, ma questo deve impegnare le Chiese a uno scambievole ascolto ancora più attento[39].

Dire che la vita ecclesiale è “informata dalla liturgia” implica un incontro con il mistero di Dio nel nostro Signore Gesù Cristo e la partecipazione alla vita della Santissima Trinità. Si incontra il Cristo nella Parola e nei sacramenti. La mentalità anglicana sottolinea fortemente il valore di una struttura comune, di una liturgia e di un lezionario comune. La condivisione della comprensione delle Scritture attraverso la Comunione non impedisce il rispetto della libertà locale e dell’inculturazione. Gli Anglicani sottolineano la relazione che esiste fra la liturgia e la dottrina da una parte – il culto dà alla fede la sua espressione e la sua forma, - e fra la liturgia e la missione dall’altra – il culto motiva i credenti a realizzare la missione[40].

Dire che la vita ecclesiale è “ordinata in funzione della comunione” significa che mediante l’opera redentrice di Cristo il credente è condotto nel battesimo a una comunione viva con Dio e con tutti i cristiani. Questa comunione, che rispecchia la vita della santissima Trinità, è un dono di Dio alla Chiesa, anche se le strutture create dall’uomo non la rispecchiano abbastanza. Gli Anglicani rimangono fermamente attaccati al triplice ministero  del vescovo, del presbitero e del diacono, che garantisce la continuità storica e li unisce alle altre Chiese che condividono questo ordine. Nonostante le tensione attuali in seno alla Comunione , c’è un forte desiderio di rimanere in reciproca comunione. Per farlo occorrerà rafforzare 1° le amicizie fra le persone nelle diverse parti della Comunione, 2° la collaborazione e il gemellaggio fra le diocesi; 3° l’affetto reciproco[41].

Dire che la vita ecclesiale è “retta dalla missione di Dio” significa che essa è governata da tutta l’azione di Dio in Cristo nella potenza dello Spirito santo – che crea, redime, santifica -  a favore del mondo intero. Il Vangelo è l’anima della Chiesa ed è mediante l’evangelizzazione che si entra nella missione di Dio. Il servizio nella carità, la testimonianza profetica e l’annuncio dell’unico Cristo formano una unità[42].

I vescovi hanno dunque per vocazione, insieme ai presbiteri e ai diaconi, di riunire la comunità nella celebrazione della liturgia; di proclamare la Parola di Dio in quanto testimoni apostolici della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, di insegnare, di conservare e di interpretare la fede e la tradizione apostolica; di acquistare discepoli per il Cristo e di accompagnarli pastoralmente; di essere il pastore di tutto il popolo di Dio, con una cura particolare per il clero delle loro rispettive diocesi; di essere gli avvocati e la voce profetica di quelli che non hanno accesso alla parola. Essi devono essere “costruttori di ponti” e artefici di pace, simboli dell’unità, che rappresentano l’universale presso il locale e il locale presso l’universale[43].

3. La sessualità.

Il documento arriva poi alla discussione della sessualità, argomento che si trova al centro della crisi che in questo momento la Comunione anglicana attraversa. A Lambeth 2008, numerosi erano gli hearings e le manifestazioni “ad libitum” con riferimento a questo tema e ai quali i vescovi potevano partecipare, e avevano dei titoli come “La sessualità umana e la testimonianza della Scrittura”, “L’ascolto e la missione”, “La comunione anglicana e l’omosessualità”, “Ascoltare nella pratica, “la Sessualità e la spiritualità “, ecc.[44].

Questa parte di Lambeth Indaba voleva rappresentare in maniera irenica le due posizioni opposte sul problema; ma i suoi tentativi di conciliarle non sono convincenti.

Il testo afferma che i cristiani sono chiamati a esercitare il giudizio e il discernimento nella loro vocazione, nell’umiltà e nella generosità. Occorre evitare i giudizi precipitosi, perché tutti i protagonisti sono arrivati alle loro rispettive posizioni dopo la preghiera e lo studio della Bibbia. Poiché provengono da diversi ambienti, contesti ed esperienze, i vescovi riconoscono che devono pentirsi della durezza di cuore che ha potuto contribuire all’indebolimento del legame di comunione nel tempo presente[45].

Tre domande hanno avuto un posto centrale nella discussione: 1° Come la Chiesa evangelizza gli omosessuali e quale accompagnamento pastorale prevede per loro? 2° Come e secondo quali criteri la Chiesa ammette le persone al ministero ordinato? 3° Quali sono le risposte date dalla Chiesa a queste due prime domande a livello locale e a livello mondiale?[46].

L’insegnamento morale tradizionale proibisce le relazioni omosessuali. Per molti Anglicani ogni attività omosessuale è intrinsecamente peccaminosa. Altri invece ritengono che l’orientamento omosessuale costituisca un dato dell’ordine della creazione e non possa essere condannato perché “Dio vide che la sua creazione era buona”.

I critici della promozione all’episcopato di V. Gene Robinson sostengono che, data la controversia attuale, l’ordinazione all’episcopato di un uomo che vive in una unione omosessuale compromette la missione della Chiesa in varie parti della  Comunione[47]. Essa ha avuto come risultato una serie di elementi negativi: 1° la condivisione nella missione è stata deteriorata; 2° le relazioni ecumeniche sono compromesse; 3° il vescovo in questione non può rispondere alla sua vocazione di realizzare l’unità della sua Chiesa, perché la legittimità della sua ordinazione è contestata ed è fonte di divisione[48].

Secondo Lambeth Indaba, non sarebbe possibile risolvere i problema dell’omosessualità alla maniera delle soluzioni in vigore in materia di poligamia. Sotto certe condizioni, infatti, la poligamia è tollerata in alcune province della Comunione anglicana, ma in altre è considerata come inaccettabile. La Comunione anglicana consente alle province in cui il problema si pone di disporne a livello locale, fissando delle norme chiare e prevedendo un accompagnamento pastorale adeguato. In materia di omosessualità non si potrebbe prevedere un regolamento parallelo, perché non soddisferebbe le rivendicazioni di coloro che rivendicano l’accettazione degli omosessuali a tutti i livelli della Chiesa. Per quel che riguarda la poligamia, infatti, la norma universale la considera come un peccato, e i poligami non sono ammessi né alle posizioni di autorità nella Chiesa né ai ministeri ordinati. Una volta che un poligamo abbia accettato il Vangelo, non si permette che si prenda una sposa in più; inoltre in alcuni luoghi i poligami convertiti non sono ammessi alla santa Comunione[49].

Il testo cita tuttavia come un elemento positivo il fatto che persone omosessuali siano accettate come figli di Dio, che siano trattate con rispetto e che scelgano di dare la loro vita al Cristo e di vivere nella comunità di fede come discepoli di Gesù Cristo nella fedeltà e nell’impegno[50].

Alcuni propongono di trattare le rivendicazioni a favore dell’omosessualità secondo la sentenza di Gamaliele in At 5, 38-39, “Se la loro proposta viene dagli uomini, scomparirà da sé; se viene da Dio, voi non potrete farla scomparire”. Il testo ricorda che alcuni desiderano che Lambeth 2008 prenda posizione con una dichiarazione chiara. Altri vogliono prolungare il tempo di “ascolto scambievole”, non allo scopo di vedere che l’una parte o l’altra vinca, ma piuttosto per continuare lo studio rigoroso delle Scritture, della teologia e di altre discipline, quale l’antropologia teologica.

Il documento suggerisce che questo studio sia affidato a una commissione anglicana internazionale. Aspettando che i processi di ascolto e di studio portino il loro frutto, le Chiese devono certo prevedere un accompagnamento pastorale per gli omosessuali, ma dovrebbero astenersi da ogni approvazione e da ogni condanna delle relazioni omosessuali. Se l’autorità morale della Risoluzione 1.10 di Lambeth 1998 rimane sempre valida, bisogna però evitare l’atmosfera di polemica e di polarizzazione che ha dominato la discussione finora. Alcuni hanno anche proposto che si dichiari un “decennio di condivisione e di generosità” per sostenere la continuazione del dialogo in seno alla Comunione anglicana[51].

Notiamo che la Risoluzione 1.10 di Lambeth 1998 invitava tutte le province della Comunione anglicana a un processo di ascolto “dell’esperienza delle persone omosessuali”. Ma fu soltanto nel 2005 che si adottò, alla riunione di Notingham del Consiglio Consultivo Anglicano, una risoluzione in vista di nominare un animatore di questo processo, incaricato di “seguire il lavoro in corso nella Comunione a proposito della sessualità umana”, di “mettere in valore il processo di ascolto dell’esperienza sia delle persone omosessuali, sia delle Chiese locali nella loro riflessione su questi problemi alla luce della Scrittura, della Tradizione e della Ragione”. Il canonico Philip Groves è stato nominato direttore di questo progetto. Alla loro riunione di Dar es-Salaam nel 2007, i primati hanno chiesto al canonico Groves di riferire al Lambeth 2008 sul “processo di ascolto”.

Tutti i vescovi partecipanti a Lambeth 2008 hanno ricevuto un esemplare di un’opera collettiva realizzata sotto la direzione del canonico Groves, intitolata The Anglican Communion and Homosexuality[52]. Questo libro presenta con notevole chiarezza e obbiettività le diverse posizioni difese nell’attuale discussione sull’autorità delle Scritture in materia di omosessualità, sulla Tradizione della Chiesa e sulla Ragione, come anche contributi di alta qualità sulla psicologia, e anche testimonianze.

4. Questioni di ermeneutica

La questione dell’autorità della Scrittura si trova al centro della crisi attuale. Essa comprende non soltanto la controversia sulla sessualità, ma anche il malessere generale di fronte a molte tendenze presenti oggi soprattutto nelle province ecclesiastiche dell’emisfero settentrionale. Purtroppo questa sezione, pur proponendo alcune belle formule di ordine generale, porta pochissimi argomenti che possano fare avanzare la discussione.

Il testo afferma prima di tutto che Gesù Cristo è il Verbo di Dio, luce vera che illumina ogni uomo, che si incarna in forma umana, pieno di grazia e di verità. Questo Verbo eterno che Dio ci rivolge è Gesù. Per questo la nostra lettura e la nostra interpretazione delle Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento hanno una qualità cristocentrica radicata nell’Incarnazione. San Giovanni Evangelista afferma che “queste cose sono state scritte affinché voi crediate che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, e che credendo abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,31). Gesù Cristo, crocifisso, risorto, salito al cielo, e che ancora verrà, è il Santo di Dio nel quale il significato delle Scritture ci è rivelato dallo Spirito santo[53].

La tradizione anglicana considera le Scritture sante come centrali per la missione di Dio. I vescovi anglicani, al  momento della loro consacrazione all’episcopato, affermano che le sacre Scritture sono la Parola di Dio, che contengono tutto ciò che è necessario per la salvezza. Le sacre Scritture canoniche sono completamente affidabili, perché con esse si può proclamare di nuovo la piena rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Da questo senso forte di affidabilità biblica la Chiesa deriva le norme della vita morale che devono essere rispettate dall’intero Corpo di Cristo. Quando nascono disaccordi gravi fra i cristiani riguardo a norme morali, essi sono prima di tutto obbligati a un discernimento alla luce della Scrittura[54].

Lungo tutta la storia dell’anglicanesimo la scienza biblica ed esegetica ha occupato un posto importantissimo. Questa disciplina dispone di una varietà di strumenti  esegetici e di una gamma di metodi di esposizione e di interpretazione. Utilizzati con discernimento, tali strumenti  e metodi possono aiutare nell’arricchire la comprensione della Parola di Dio.

Oltre ai mezzi formali della scienza biblica, la tradizione anglicana si serve di un certo numero di discipline e di metodi pratici e spirituali. Importante è proclamare la Parola autentica a tutti, ma bisogna riconoscere che la ricezione di questo annuncio è sempre condizionata da ”i  bisogni e le passioni” che costituiscono il contesto locale. Per conseguenza la strategia di missione varierà da un luogo all’altro, e la difficile realtà pastorale può avere il suo impatto sulla maniera in cui sono comprese la Scritture. La Parola di Dio e la verità non cambiano da un luogo all’altro, ma la capacità delle persone a riceverla è sempre determinata dal contesto in cui esse vivono[55].

Questa sezione termina con l’affermazione che la Parola viva di Dio ha sempre la capacità di trasformare in gioia la vita dei credenti e rivolgere loro delle sfide che scuotono la loro esistenza, con il giudizio e la consolazione, con la convinzione e la grazia[56].

5. L’Indaba e la continuazione del processo Windsor

Il gruppo chiamato Windsor Continuation Group (Gruppo per la continuazione del processo di Windsor) ha presentato le sue “osservazioni preliminari”[57] a Lambeth 2008. Questo breve documento, redatto in parte in stile telegrafico, si compone di tre sezioni, ognuna delle quali ha come titolo una semplice domanda: (a) “A che punto siamo?” (b) “Dove vogliamo arrivare?” e (c) “Come procedere?”

La prima sezione analizza la situazione attuale della Comunione. Vi si legge: “Una grande attività è stata dispiegata nella Comunione in risposta del processo di Windsor, ma si ha sempre l’impressione di essere arrivati a un punto morto”. Alcune contraddizioni fra gli impegni presi e la realtà hanno portato a una crisi di fiducia fra gli attori. Una agitazione crescente regna in seno alla Chiesa episcopale. Ne risulta che la solidarietà della Comunione è gravemente indebolita, la sua testimonianza è compromessa e le sue relazioni ecumeniche tendono a destabilizzarsi.

Nella seconda sezione delle “Osservazioni preliminari” si enumera una serie di problemi sui quali la Comunione anglicana deve riflettere per poter andare avanti: “Possiamo riconoscerci vicendevolmente come la Chiesa?”. “Che cosa è una comunione di Chiese?”. “Quale è la nostra comprensione comune del compito del vescovo nella comunione della Chiesa?”. Il progetto di Alleanza anglicana dovrà aiutare nella ricerca di risposte a questi problemi.

I gruppi di Indaba hanno riflettute seriamente sui problemi riguardanti gli “Strumenti di comunione”. Si segnale anzitutto la grande stima di cui è oggetto l’arcivescovo di Canterbury, ma bisogna evitare di sovraccaricarlo, a rischio di far nascere delle aspettative irrealizzabili. Quanto alla Conferenza di Lambeth, il documento propone che essa si riunisca più spesso per periodi meno lunghi, ma occorrerà trovare nuove risorse per poter finanziare un tale progetto. Ci si trovava d’accordo nel dire che il Consiglio Consultivo Anglicano non è abbastanza conosciuto nelle diverse province, ma non c’era consenso sul problema di sapere se bisogna aumentare o diminuire la sua autorità. La stessa indecisione si manifesta a proposito della riunione dei primati. In ogni caso i primati non dovrebbero esercitare collettivamente più autorità di quella che hanno nelle loro province[58].

La terza sezione delle “Osservazioni preliminari” affronta la questione delle misure da prendere per preservare la coesione della Comunione anglicana. Il Rapport Windsor aveva proposto tre “moratorie” che implicavano la cessazione totale 1° dei riti pubblici di benedizione di unioni di persone dello stesso sesso, 2° della consacrazione all’episcopato di persone che vivono in relazioni omosessuali, e 3° delle “incursioni” dei vescovi fuori del loro territorio diocesano. Dopo la pubblicazione del Rapport Windsor, i primati  riuniti a Dromantina nel 2005 e a Dar es-Sallaam nel 2006, hanno insistito sul rispetto di queste “moratorie”. Il Gruppo di lavoro, da parte sua, afferma che là dove le “moratorie” non sono rispettate, la comunione è in pericolo di rottura.

Il documento Lambeth Indaba riporta le riflessione dei vescovi su questo problema. Esso constata prima di tutto che la proposta delle “moratorie” è accettata da un gran numero di anglicani di tutta la comunione. Questo fatto dimostra “l’affetto, la fiducia e la buona volontà dei vescovi nei riguardi dell’arcivescovo di Canterbury e fra loro”, ma non si può negare che sarà difficile renderle effettive.

D’altronde rimangono delle incertezze sulla durata delle validità delle moratorie. Per quel che riguarda la moratoria sulla benedizione dell’unione delle coppie dello stesso sesso, si desidera una maggiore precisione su che cosa essa implica esattamente: alcuni considerano che i riti pubblici non sarebbero autorizzati, mentre l’accompagnamento pastorale di queste coppie non sarebbe escluso. Il documento aggiunge: “Se si intende realizzare le raccomandazione del Rapport Windsor, bisognerà applicare le tre moratorie in maniera coerente[59].

Il Gruppo di lavoro, nelle sue “Osservazioni preliminari”, propone la costituzione di un “Forum pastorale” a livello della intera Comunione, che potrebbe prendere la successione delle iniziative precedenti[60]. Questo Forum avrebbe il compito di esaminare ogni questione teologica o ecclesiale che rischi di provocare controversie e divisioni. Il Forum potrebbe porre rimedio all’anomalia delle giurisdizioni episcopali “ad hoc” creando per esse un regime di esenzione temporanea nell’attesa della loro riconciliazione con la Chiesa territoriale.

Sul Forum pastorale, il documento Lambeth Indaba dichiara che la proposta è sostenuta dalla larga maggioranza e che bisognerà organizzarlo senza ritardo. Lo scopo incontestato del processo deve essere sempre la riconciliazione. Ci si è chiesto se il gruppo di lavoro non potrebbe comprendere persone provenienti dall’esterno della Comunione anglicana. In ogni caso l’iniziativa deve essere dotata delle risorse necessarie al suo buon funzionamento[61].

6. Il progetto di Alleanza anglicana

L’idea di una Alleanza anglicana risale allo stesso Rapport Windsor[62]. Il JSC ha consacrato uno studio al progetto nel 2005[63]. Questo studio riconosce che molti Anglicani non desiderano né una burocratizzazione della Comunione, né una accentuazione degli aspetti giuridici delle sue attività. Ciò metterebbe in pericolo sia il suo carattere profetico sia la sua inclusività. Invece una base concisa e ben ponderata renderebbe chiara l’identità e la missione anglicana e sarebbe utile nelle relazione ecumeniche con altre Chiese e comunioni. Essa renderebbe più esplicito il concetto di “legami di affetto”, come anche il “regolamento interno” che governa le relazioni fra le Chiese anglicane, per sviluppare una simbiosi disciplinata e produttiva[64].

Il testo sottolinea che il concetto di Alleanza nell’Antico Testamento indica una promessa da parte di Dio che suscita una risposta fedele del suo popolo; nel caso che questa fedeltà venga meno, si rinnova l’impegno. Nel Nuovo Testamento i credenti entrano in un impegno nuovo verso Dio per la morte e la risurrezione di Gesù e nel dono dello Spirito. L’Alleanza con Dio è la fonte dell’Alleanza fra i membri del Popolo di Dio[65].

Lo studio pone poi alcune domande sulla direzione che dovrà prendere il testo dell’Alleanza anglicana. Occorre parlare della Comunione come è o come deve diventare? Un discorso troppo centrato sull’ideale  sognato non ridurrebbe l’utilità pratica dell’Alleanza? Occorre conservare il modello di affermazioni e di impegni seguito da molti accordi ecumenici? Il testo deve presentare gli articoli della fede della Comunione anglicana? Come affrontare il tema della vita delle Chiese rispettando insieme la loro autonomia e la comunione reciproca?[66]

Su suggerimento del JSC, l’arcivescovo di Canterbury ha creato un gruppo di redazione dell’Alleanza. Questo gruppo di redazione si è riunito a Nassau nel gennaio 2007 e ha stabilito un primo abbozzo dell’Alleanza. Il JSC ha presentato un rapporto al primati riuniti a Dar Es-Salaam nel febbraio 2007, annettendovi il testo realizzato a Nassau. Tenendo conto delle reazioni ricevute, il gruppo di redazione ha prodotto un testo revisionato in occasione della sua riunione a Saint Andrew’s House (Londra) nel gennaio 2008. È dunque questa “Redazione di St Andrew’s” che è stata sottoposta ai vescovi riuniti a Lambeth 2008.

Secondo il documento Lambeth Indaba, i vescovi hanno insistito sul fatto che il concetto di “relazione” deve occupare un posto centrale nell’Alleanza anglicana, perché soltanto la reciprocità può fondare un accordo stabile. Una Alleanza implicherà necessariamente l’imposizione di limiti alla libertà dei contraenti, ma essa rinforzerà anche i legami di amore fraterno fra di loro[67]. Il processo di elaborazione di una Alleanza, d’altronde, offrirà l’occasione di riannodare il dialogo con quei membri della Comunione che si sentono marginalizzati. Il testo arriva fino a dire che questo processo è necessario per mantenere il rapporto di fraternità con quelli che hanno scelto di non partecipare a questa conferenza di Lambeth[68].

Le osservazioni critiche espresse riguardo alla “Redazione di St Andrew’s” quali compaiono in Lambeth Indaba, riguardano prima di tutto i fondamenti biblici e teologici, che avrebbero bisogno di essere maggiormente sviluppati. Si trova poi che il testo rimane troppo orientato verso delle formule e troppo poco verso le relazioni fra i contraenti. Si esprime una netta reticenza ad attribuire un posto troppo importante alla provincia ecclesiastica a detrimento della diocesi. E si fa notare anche che il testo dimostra una ispirazione troppo esclusivamente occidentale[69].

Come procedere? Bisogna accentuare la necessità di andare in fretta per fronteggiare la crisi, oppure è meglio prendere il tempo necessario per consentire agli Strumenti dell’unità di evolvere e ai problemi di maturare?[70]

Le reazioni espresse nell’Indaba comprendono una serie di suggerimenti concreti di cui si terrà conto nella prossima tappa di redazione dell’Alleanza, specialmente in quel che concerne la soluzione dei conflitti che potrebbero nascere dall’infrazione dell’Alleanza da parte di una provincia o di una diocesi.

7. Questioni di giustizia sociale

Lambeth Indaba colloca in questa linea il loro impegno verso gli “Obiettivi del millennio” e la “Marcia di testimonianza” dei vescovi, da Whitehall al Palazzo di Lambeth, che ha avuto luogo durante la loro giornata a Londra, il 25 luglio, con l’arcivescovo di Canterbury e altri dirigenti religiosi, come il cardinale Cormac Murphy O’Connor, arcivescovo cattolico romano di Westminster, il grande Rabbino Jonathan Sacks, Sir Iqbal Sacranie, presidente di Muslim Aid, il Dr. Indarjit Singh, direttore della rete delle organizzazioni dei Sikhs.

In una lettera presentata la primo Ministro del Regno Unito, Gordon Brown, a nome dei vescovi, Rowan Williams diceva: “La nostra fede ci spinge non solo a ridurre la povertà, ma a sopprimerla... Siamo preoccupati nel constatare che la maggior parte degli “Obiettivi del Millennio” non saranno raggiunti. Il motivo non è una mancanza di mezzi, ma l’assenza di una volontà politica a livello internazionale. Occorre stabilire un calendario per la loro realizzazione prima del 2015. Noi invitiamo i nostri dirigenti politici a intavolare dei contatti con la Chiesa a livello mondiale e a rafforzare la loro collaborazione con le sue reti di educazione e di cure mediche e con quelle delle altre comunità di fede, per l’eliminazione dal mondo della povertà estrema”[71]

Passando al tema della famiglia e della difesa dei diritti del bambino: “Nel Regno di Dio nessun bambino potrà essere soldato, né schiavo, né operaio; essi saranno liberati dalla povertà e dalla violenza sotto tutte le sue forme[72].

Per quel che riguarda la violenza domestica, ha avuto luogo una giornata intera di riflessione a Lambeth 2008, con la partecipazione dei vescovi e delle loro spose. Facendo il punto di questa giornata, Lambeth Indaba afferma: “la violenza esercitata contro le donne e i bambini nel Corpo di Cristo è una violenza inflitta al Corpo di Cristo stesso”[73]. Essa può prendere la forma di violenza fisica, finanziaria, affettiva, psicologica, intellettuale, culturale, sessuale o spirituale, anche in seno alla Chiesa. L’abuso del potere è un fenomeno complesso. Se l’autorità clericale è spinta all’estremo, si assiste a un vero tradimento del ministero. La Chiesa deve costituire per tutti un luogo dove regna la responsabilità e la sicurezza per tutti[74].

Le iniziative a favore della riconciliazione costituiscono uno dei campi più importanti dell’impegno della Chiesa per la giustizia sociale. “Noi incontriamo la riconciliazione in primo luogo nell’azione di Dio in Cristo sulla Croce. Poiché siamo stati riconciliati a Dio in Cristo, siamo chiamati a portare la riconciliazione al mondo. Battezzati nella morte e nella risurrezione di Cristo, i credenti sono chiamati  a testimoniare il potere di riconciliazione del Cristo”.

E il testo non esita ad applicare questo principio alla realtà immediata, vissuta nella crisi che in questo momento attraversa la Comunione anglicana: “In mezzo alla lacerazione che proviamo in quanto Comunione, noi riconosciamo il bisogno di pentimento e il dono della riconciliazione, che ci è dato dalla grazia di Dio in Cristo”[75]. A questo proposito il documento sottolinea l’importanza del reciproco ascolto delle esperienze vissute dai vescovi delle diverse parti del mondo, e cita il ministero dell’arcivescovo di Canterbury come un “focolare di riconciliazione”, nel portare, insieme con l’insieme dei vescovi, la Croce di Cristo. “Il compito dei vescovi in questa situazione è di aiutare le comunità di credenti a divenire attori di trasformazione e di riconciliazione”[76].

8. Questioni di ecologia

Lambeth Indaba ricorda che la quinta delle “Note della missione” impegna a “mantenere l’integrità del creato per sostenere e rinnovare la vita sulla terra”. Questo punto, secondo Lambeth Indaba, ha ricevuto troppo poca attenzione da parte degli Anglicani. Tuttavia la salvaguardia del creato è un problema spirituale e un impegno in nessun modo facoltativo: il cambiamento climatico ci pone nuovi problemi sul nostro atteggiamento verso il creato, la tecnologia, lo sviluppo durevole e la giustizia verso tutti. Gli scambi fra i vescovi hanno rivelato quanto questi problemi li toccano nella vita quotidiana: l’inquinamento delle acque, l’eliminazione dei detriti tossici, l’inquinamento atmosferico, il disboscamento, ecc. I vescovi devono dare l’esempio adottando uno stile di vita più semplice e più responsabile verso l’ambiente[77].

La maniera cristiana di affrontare questa problematica deve essere guidata dalla sacra Scrittura. Gn 1,28 è stato spesso oggetto di una interpretazione erronea: Le parole “dominare” e “sottomettere” erano, infatti, prese come pretesto per disporre del creato in maniera arbitraria. L’umanità è fatta a immagine di Dio che ha visto che la creazione era buona; dunque l’umanità deve imparare ad assumere l’amministrazione della creazione di Dio. È l’umanità, non il creato, che è decaduta, portando con sé la distruzione del creato. La Chiesa deve proporre delle misure da prendere sul piano spirituale, come atti di pentimento. Ma facendo questo non evade dalla sua responsabilità sul piano materiale.

I popoli autoctoni sono coscienti di un rapporto tradizionale con la terra, in quanto dono del Creatore. La loro relazione con la terra e con le altre creature si esprime in termini di un tessuto di responsabilità. I popoli autoctoni ci ricordano che noi non siamo dei conquistatori arrivati su una terra vergine: facciamo parte integrante dell’ordine creato, come le piante e gli animali, ai quali dobbiamo il rispetto e l’amore. La rete anglicana per i popoli indigeni potrà sviluppare queste intuizioni a vantaggio della Comunione anglicana intera. L’umanità costituisce la sola istanza alla quale spetti le responsabilità di conservare il creato. Le Chiese anglicane devono collaborare con altri organismi per rendere coscienti i propri membri e anche le autorità politiche e il mondo degli affari[78].

Il documento pone poi la domanda per sapere quali sono le iniziative che le Chiese possono prevedere per rispondere alle sfide ecologiche. Il testo propone che a livello di informazione si impegnino uomini di scienza che abbiano il compito di fornire ai dirigenti ecclesiastici analisi serie della situazione ecologica e delle sue poste in gioco. Questa tappa sarà seguita da iniziative nell’insegnamento teologico e nelle scuole, e da sforzi per rendere cosciente l’insieme dei membri della Chiesa. Inoltre il vescovo coglierà l’occasione per stabilire delle relazioni con i diversi gradi del governo e del mondo degli affari, per poter perorare a favore del cambiamento. Si veglierà anche a far entrare la cura dell’ecologia nella celebrazione del culto. Tutti questi passi saranno fatti in dialogo ecumenico e con le altre comunità di fede[79].

9. Questioni ecumeniche

L’ecumenismo ha rappresentato una cura costante nell’Indaba di Lambeth 2008. Il documento giunge fino ad affermare che “la vocazione della Comunione anglicana è identica alla vocazione ecumenica”[80]. Esso riafferma l’impegno della Comunione anglicana intera verso l’unità visibile della Chiesa. Questo impegno è stato rafforzato dalla partecipazione a questa Conferenza di Lambeth dei vescovi “in comunione”[81]. Il testo riafferma anche il principio “di Lund”, secondo il quale le Chiese devono sempre agire insieme, salvo là dove differenze profonde di convinzioni le obbligano ad agire separatamente[82], perché “a questa tappa del movimento ecumenico, dobbiamo riconoscere che quel che tocca una Chiesa le tocca tutte. Incombe dunque a ognuna delle Chiese di vivere nella responsabilità reciproca con il resto dell’oikumene[83].

L’unità è un dono che Dio fa alla Chiesa, e una vocazione che rivolge a lei per il mondo. Bisogna imparare come ricevere questo dono. Inoltre, come il nostro Signore Gesù Cristo ha pregato per l’unità della Chiesa, essa costituisce un obbligo che impegna tutti i discepoli. Essi devono fare di tutto per tendervi, perché si tratta dell’integrità e della credibilità della Chiesa[84].

Il vangelo si trova proprio al cuore della vita e della missione della Chiesa: è la verità che rende liberi. Poiché la Chiesa è divisa, la sua missione è alterata. L’ecumenismo è dunque legato alla missione in maniera intima e urgente. Esso può diventare la strada che porta alla libertà, come vediamo nella passione e nella risurrezione del Signore, divenendo fonte di vita nuova[85].

L’ecumenismo è il nostro reciproco incontro nella verità in Cristo. Fa parte della vocazione della Chiesa alla riconciliazione. Questa vocazione di essere una comunità di riconciliazione è urgente, perché offre un paradigma all’umanità nella sua ricerca della fede e della verità autentiche[86].

La ricerca dell’unità non può far a meno di una base teologica. “Noi rendiamo grazie a Dio per la presenza dei nostri soci ecumenici alla Conferenza e ci rallegriamo per la maniera in cui ci ha benedetti nelle nostre conversazioni e dialoghi formali con loro dopo l’ultima conferenza di Lambeth nel 1998”[87].

10. Questioni di unità anglicana

Le divisioni attuali fra gli Anglicani e le decisioni di alcune province che li hanno provocati, hanno inevitabilmente turbato i dialoghi e la cooperazione ecumenica. Lambeth Indaba riconosce anche la perplessità dei soci ecumenici davanti alla contraddizione apparente che constatano nell’anglicanesimo, particolarmente per quel che riguarda l’autorità e l’ecclesiologia[88]. E riconosce le tensioni che spesso esistono fra l’autorità e la base. Assai spesso problemi di “fede e costituzione” non sono oggetto di una comunicazione fra i diversi livelli[89].

Una volta di più il documento sottolinea la relazione fra l’ecumenismo e la missione. La cooperazione nella missione fra le Chiese esige solide basi teologiche; i problemi di “fede e costituzione” vanno sempre di pari passo con la vita pratica. La chiamata di Dio alla missione non può essere realizzata che nell’insieme del corpo di Cristo; la chiamata all’unità determina la sollecitudine sia per la missione che per la giustizia e per la pace. Il documento osserva infine che la natura e l’ampiezza della cooperazione ecumenica dipendono sovente dal contesto: i periodi di prova per le Chiese si sono spesso dimostrati propizi alle relazione fra di loro[90]

11. Relazioni interreligiose

Lambeth Indaba affronta poi le relazioni interreligiose: Esso constata che un dialogo nella vita quotidiana fra comunità cristiane e non cristiane è il frutto dell’amore e della sollecitudine dei cristiani per tutta l’umanità, creata a immagine e somiglianza di Dio.

“Nelle nostre relazioni con gli aderenti alle altre religioni, noi ci impegnamo a onorare l’umanità degli altri, a servirli e a mostrar loro il Cristo. Il nostro incontro con le altre religioni è spesso chiamato dialogo. Scopo del dialogo non è il compromesso, ma la comprensione crescente della fede e della tradizione di ciascuno, e la fiducia che ne deriva. Il dialogo vero e significativo non si realizza che là dove c’è la gentilezza, l’onestà e l’integrità. In  tutto questo affermiamo che il cristianesimo deve essere vissuto e presentato come un “modo di vita”, più che come un insieme statico di credenze. Vi sono delle situazioni in cui conviene meglio la parola “conversazione” anziché “dialogo”, ma in tutti i casi l’ospitalità ne è la chiave. Uno dei vescovi ha dichiarato che: “il dialogo può fallire, ma l’ospitalità rimane”. Per imparare a “dialogare” bisogna imparare il principio benedettino dell’ospitalità, che è basata sulle relazioni fra le persone e il progetto di far posto nel nostro cuore per l’altro. Nella sua commovente relazione, il Gran Rabbino Jonathan Sacks ha evocato il senso biblico dell’Alleanza, chiamandola “il riscatto della solitudine”. “Se arriviamo a onorare insieme il fatto che siamo legati da in destino comune, ha detto, riusciremo a far posto per Dio e gli uni per gli altri, avanzando insieme verso un’alleanza nella fede”[91].

Vi sono molti casi in cui i cristiani costituiscono una minoranza mentre altre religioni sono in pieno sviluppo. In simili condizioni i cristiani possono essere oggetto di discriminazione attiva, e l’appoggio e l’incoraggiamento della Comunione a più larga scale sono importantissimi. Dove invece i cristiani sono in maggioranza, gli aderenti ad altre religioni possono anch’essi subire la discriminazione. In tali circostanze la Chiesa ha il dovere di offrire il suo appoggio alle minoranze che soffrono per lesioni dei diritti della persona umana. Il testo riconosce esplicitamente il diritto degli individui di convertirsi da una  religione all’altra[92].

Ogni battezzato, e le persone incaricate di un ministero nella Chiesa in particolare, devono sforzarsi di comprendere e di aiutare i seguaci di altre religioni. Per questo una iniziazione alla comprensione delle altre religioni deve far parte della formazione teologica[93]. Il testo afferma anche che le Chiese devono dotarsi delle strutture appropriate per seguire l’evoluzione dei nuovi movimenti religiosi[94].

V. Conclusione

La Conferenza di Lambeth 2008 ha raggiunti i suoi scopi? Senza dubbio ha risposto al suo tema contribuendo a “Equipaggiare i vescovi per la missione” e a “rafforzare l’identità anglicana”. Non è stata teatro di alcun incidente grave che avrebbe indebolito maggiormente la Comunione, ma la ha realmente rafforzato?

Alla chiusura della Conferenza si aveva l’impressione di una indecisione desolante. Non c’era che il documento Lambeth Indaba come frutto di quindici giorni di lavoro, documento che contiene idee bellissime, ma che non è più di un verbale delle discussioni.

Nessun impegno serio era stato preso, nessuna nuova iniziativa per disinnescare la crisi vi era annunciato. La causa dell’unità della Comunione anglicana aveva fatto qualche passo avanti alla chiusura di Lambeth 2008 rispetto a due settimane prima? Era stata davvero raccolta la sfida posta dalla crisi attuale del mondo anglicano? Affrontare una ”crisi” (krisis) non esige forse un discernimento coraggioso (diakrisis) e un impegno serio verso la sua soluzione?

Nella sua terza allocuzione presidenziale, alla chiusura della Conferenza, l’arcivescovo di Canterbury si è sforzato di valutare i meriti di Lambeth 2008. Per lui, l’incontro era una prova del desiderio degli Anglicani di mantenere la loro unità, ma l’unità che deve essere ricercata non è semplicemente una tolleranza della diversità. L’unità che merita il nome di “cristiana” è prima di tutto “quella unità con Gesù Cristo che viene quando si accetta il suo dono di grazia e di perdono, quando si impara da lui come parlare al Padre, quando si sta accanto a lui nella potenza dello Spirito. Siamo uniti fra noi perché siamo chiamati all’unione con l’unico Cristo e stiamo accanto a lui [... ]. Si tratta di una unità inseparabile dalla verità. Essa non è rotta da un semplice disaccordo: essa cessa di esistere solo nel momento in cui non possiamo più riconoscere nell’altro la stessa chiamata che sentiamo noi stessi ad accedere a un posto al quale nessuno di noi ha diritto”. Non si tratta affatto di voler imporre una conformità a chicchessia. Si tratta della “ricerca nell’altro degli elementi che rafforzano la fiducia scambievole e ci permettono di vedere che l’altro avanza anche lui nella “via e la verità” nella stessa nostra direzione, e che da una parte e dell’altra possiamo sostenerci e arricchirci vicendevolmente”. Per questo “ogni associazione di cristiani consiste in una Alleanza che li rende capaci di riconoscersi, di render grazie gli uni per gli altri e di imparare gli uni dagli altri”.

L’arcivescovo di Canterbury raddoppia così gli sforzi a favore del rispetto delle tre “moratorie” e del processo di formulazione di una “Alleanza anglicana”. Per lui il messaggio di Lambeth 2008 consiste in parte in una perorazione a favore della creazione di relazioni che abbiano valore di Alleanza e che implicheranno la volontà, in nome dell’unità donata in Cristo, di astenersi da ciò che può ferire l’altro.

Sarà compreso e messo in pratica questo messaggio nobile e bello? La Conferenza di Lambeth 2008 avrà veramente contribuito alla riconciliazione in seno alla Comunione anglicana? Only time will tell



[1] Il numero esatto degli iscritti non è stato comunicato alla stampa.

[2] Sono: la Chiesa della provincia dell’Africa centrale; la Chiesa anglicana dell’Africa meridionale; la Chiesa della Provincia dell’Africa occidentale; la Chiesa anglicana della provincia dell’America centrale; la Chiesa di Inghilterra; la Chiesa della Provincia delle Antille; la Chiesa anglicana di Aotearoa, di Nuova Zelanda e di Polinesia;la Chiesa della Provincia dell’Asia del Sud-Est, la Chiesa anglicana di Australia; la Chiesa del Bangladesh; la Chiesa episcopale anglicana del Brasile; la Chiesa anglicana del Burundi; la Chiesa anglicana del Canada; la Chiesa anglicana del Cono Sud; la Provincia della Chiesa anglicana nel Congo; la Chiesa anglicana di Corea; la Chiesa episcopale scozzese; la Chiesa episcopale ( Stati Uniti); lo “Hong Kong Sheng Kung Hu” (la Chiesa anglicana a Hong Kong); la Chiesa dell’India del Nord; la Chiesa dell’India del Sud; la Chiesa di Irlanda; la Chiesa episcopale a Gerusalemme e al Medio Oriente; la Chiesa anglicana del Kenia; la Chiesa della Provincia di Melanesia; la Chiesa anglicana del Messico, la Chiesa della Provincia del Myanmar (Birmania); la Chiesa della Nigeria; il “Nippon Sei Ko Kai” (Comunione anglicana in Giappone); la Chiesa della Provincia dell’Oceano indiano; la Chiesa della Provincia di Uganda; la Chiesa del Pakistan; la Chiesa di Paupasia – Nuova Guinea; la Chiesa episcopale alle Filippine; la Chiesa del Paese di Galles; la Chiesa episcopale del Ruanda; la Chiesa episcopale del Sudan; la Chiesa episcopale di Tanzania.

[3] Esse sono: le Bermude (sotto l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury); la Chiesa episcopale di Cuba (sotto l’autorità di un “Consiglio metropolitano” composto di quattro primati anglicani); la Chiesa riformata episcopale di Spagna (sotto l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury); le Isole Falkland [Malvine] ( sotto l’autorità di Canterbury; la Chiesa lusitana [Portogallo] (sotto l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury); la Chiesa dello Sri Lanka ( sotto l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury).

[4] Cf  W. M. Jacob, The Making of the Anglican Church Worldwide, Londra, SPCK, 1997, ISBN 0 281 05043 1, pp. 144-193; Thaddée Barnas, “Les enjeux de la Conférence de Lambeth 1998”, in Irénikon, 71 (1998), pp. 163-211, soprattutto pp. 165-170.

[5] Signs on the Way, Bible Studies for the Anglican Communion in the Year of the Lambeth Conference. Londra, Anglican Communication Office, 2008. Questo documento in lingua inglese è accessibile in Internet sul sito della Conferenza di Lambeth.uesto documento in lingua inglese è accessible su Internet sul sito della conferenzxa di<lambeth

[6] Lambeth Indaba: Capturing Conversations and Reflections from the Lambeth Conference 2008. Equipping Bishops for Mission and Strenthening Anglican Identity. The Reflections Group, Lambeth Conference 2008, §19.

[7] Cf Thaddée Barnas, op. cit, pp. 170-176.

[8] In Thaddée Barnas, op. cit., pp.176-188, diamo un breve riassunto del dibattito quale si presentava al momento della 13a Conferenza di Lambeth nel 1998.

[9] The Windsor Report, 2004.

[10] The Windsor Report, § 127.

[11] The Windsor Report, §134.

[12] The Windsor Report, Foreword by the Most Reverend Dr Robin Eames.

[13] Questo “Comitato di Riferimento” si è riunito tre volte dal 2005 al 2007, e ha pubblicato dei rapporti su contenziosi nelle diocesi di Florida, di Fort Worth e di New Westminster.

[14] The Communiqué of the Primates’ Meeting in Dar es Salaam, 17th February 2007, §17.

[15] Ibidem, §21.

[16] Ibidem, §26.

[17] Ibidem, §27.

[18] Riunita a Columbus (Ohio) dal 13 al 20 giugno 2006.

[19] The Communiqué of the Primates’ Meeting  in Dar es-Salaam, 17th February 2007, “Key Recommendations of the Primates: On Clarifying the Response to Windsor”.

[20] Ibidem, “Key Recommendations of the Primates: On Clarifying the Response to Windsor”.

 

[21] Statement from House of Bishops, 25 septembre 2007.

[22] Report of the Joint Standing Committee of the Anglican Consultative Council and the Primates of the Anglican Communion.

[23] Ibidem.

[24] Response of the Primates of the Anglican Communion and Members of the Anglican Consultative Counsil to the Joint Standing Committee, 20 novembre 2007, ACNS, n° 4340.

[25] Il “Global South” è un gruppo di venti delle trentotto province ecclesiastiche anglicane, costituito alla terza “Anglican Global South-to-South Enconter”, che ebbe luogo in Egitto, dal 25 al 30 ottobre 2005.

[26] Archibishop of Cantorbery’s Advent Letter, ACNS n° 4354, 14 dicembre 2007.

[27] Gene robinson, In the Eye of the Storm: Sweept to the Center by God, New York, Seabury Books, 2008, 192 p., ISBN 13: 978-1-59627-088-6.

[28] Si tratta dei primati Peter Akinola, della Chiesa di Nigeria, Gregory Venables, della Chiesa anglicana del Cono Sud; Emmanuel Kolini, della Chiesa episcopale del Rwanda, Valentino Mokiwa, della Chiesa anglicana di Tanzania, Beniamin Nzimbi, della Chiesa anglicana del Kenia, e Henri Orombi, della Chiesa della provincia di Uganda.

[29] The Way, the Truth and the Life: Theological resources for a pilgrimage to a global Anglican future, prepared by the Theological Resource Team of the Global Anglican Future Conference (GAFCON), Oxford, The Latimer Trust, 2008.

[30] Ibidem, pp. 11-12-

[31] Anglican Communioin News Service, 30 giugno 2008.

[32] Lambeth Indaba Capturing Conversations and Reflections from the Lambeth Conference 2008. Equipping Bishops for Mission and Strengthening Anglican Identity, The reflections Group, Lambeth Conference 2008.

[33] Lambeth Indaba, § 4.

[34] Questi cinque punti sono stati formulati da MISSIO nella sua seconda assemblea, a Ely (Inghilterra) nel 1996, partendo dal lavoro di riflessione compiuto dal Consiglio Consultivo Anglicano dal 1984 al 1990.

[35] Ibidem, §§ 25-31.

[36] Ibidem, §§ 32-37.

[37] Ibidem, § 41.

[38] Ibudem,§ 99.

[39] Ibudem, §100.

[40] Ibidem, § 101.

[41] Ibidem, § 102.

[42] Ibidem, § 103..

[43] Ibidem, § 104.

[44] Ibidem, § 105.

[45] Ibidem, § 107

[46] Ibidem, § 110.

[47] Ibidem, § 111-113.

[48] Ibidem, § 118.

[49] Ibidem, § 114.

[50] Ibidem, §119.

[51] Ibidem, § 120.

[52] Philip Groves, Thi Anglican Communin and Homosexuality, Londres, SPCK, 2007, 332 p. ISBN 978 0 281 05963 8.

[53] Lambeth Indaba, §§ 121-123.

[54] Ibidem, § 126.

[55] Ibidem, §§ 127-133.

[56] Ibidem, §§ 134-135.

[57] Windsor Continuation Group – Preliminary Observations to the Lambeth Conference, 28 luglio 2008.

[58] Lambeth Indaba, §§ 147-152.

[59] Ibidem, § 145.

[60] Specialmente il Council of Advice, proposto dal Rapport Windsor, il Panel of Reference creato dalla riunione di Dromantina, e il Pastoral Council, proposto a Dar es-Salaam.

[61] Lambeth Indaba, § 146.

[62] The Windsor Report, §§ 113-120.

[63] Towards an Anglican Covenant. A Consultation Paper on the Covenant Proposal of the Windsor Report, marzo 2005.

[64] Towards an Anglican Covenant, §§ 5-6.

[65] Ibidem, § 13.

[66] Ibidem, § 19.

[67] Lambeth Indaba, § 138.

[68] Ibidem, § 139.

[69] Ibidem, § 140.

[70] Ibidem, § 142

[71] Ibidem, § 45.

[72] Ibidem, § 47.

[73] Ibidem, § 49.

[74] Ibidem, § 50.

[75] Ibidem, § 54

[76] Ibidem, § 58.

[77] Ibidem, §§ 59-60.

[78] Ibidem, §§ 61-64.

[79] Ibidem, §§ 65-70.

[80] Ibidem, § 72.

[81] I vescovi “in comunione” rappresentano Chiese che non sono membri della Comunione anglicana, ma che godono della piena comunione con essa.

[82] Principio adottato dalla terza Conferenza mondiale della Fede e Costituzione, a Lund (Svezia) nel 1952

[83] Lambeth Indaba, §73.

[84] Ibidem, § 74

[85] Ibidem, § 75.

[86] Ibidem § 76-

[87] Ibidem, § 77.

[88] Ibidem, § 79.

[89] Ibidem, § 80.

[90] Ibidem, §§ 81-84.

[91] Ibidem, § 91.

[92] Ibidem, § 95.

[93] Ibidem, § 97.

[94] Ibidem, § 98.

 

(da Irenikon, 2008, nn. 2-3, p. 198)

Letto 5037 volte Ultima modifica il Martedì, 03 Maggio 2011 21:34
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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