Ecumene

Venerdì, 04 Novembre 2011 22:29

Capire le persone di altra religione (Severino Dianich)

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Nella vita di tutti i giorni non bisogna mai dimenticare che esistono uomini e donne in carne e ossa che vivono un'esperienza religiosa, non le pure religioni, e che alcune espressioni sono comuni a tutte le latitudini. Prima delle differenze siamo tutti fratelli e figli di Dio.

Lascio volentieri agli studiosi delle religioni e agli esperti del dialogo interreligioso le complicate riflessioni di carattere teologico sull'argomento. L'intento di queste righe è semplicemente e immediatamente pastorale o, meglio ancora, è quello di mostrare come l'esperienza vissuta di incontri veri fra persone vere sia sempre non solo possibile, ma anche facile, per sottolineare infine la necessità di non dimenticare mai che le religioni non esistono, ma esistono solo uomini e donne che vivono un'esperienza religiosa.
Il cristiano che incontra un musulmano o un buddista, infatti, non si pone prima di tutto il problema del confronto fra la dottrina della sua fede, il suo progetto morale di vita, il suo modo di pregare e le diverse forme di vita religiosa dei suoi interlocutori. L'unico problema da affrontare nel suo incontro è quello di rapportarsi fraternamente con una persona, cercare di comprenderla e di farsene fratello. Se poi, proseguendo la conversazione e la frequentazione di vita, il discorso si dirigesse sulle dottrine, su questa o quella pratica di vita o di culto, allora si aprirà un nuovo e diverso capitolo. Ma il primo capitolo della storia sarà sempre quello che tratta della comune umanità. Per questo motivo vorrei proporre al lettore, in tono quasi autobiografico, solo alcune esperienze vissute.
Durante un lungo periodo di convivenza, nella casa parrocchiale, con il parroco mio successore nella guida della comunità, ospitammo per due anni un giovane studente musulmano. Nella lunga storia di quella vecchia casa, vissuta per più secoli da molti preti diversi, credo che mai, in quella cucina durante i pasti, si sia tanto parlato di Dio, quanto in quegli anni. Erano conversazioni semplici, non di alta teologia, nonostante che il ragazzo fosse abbastanza bene istruito nella sua religione: era una simpatica condivisione di due diverse esperienze di fede. Si apparecchiava la tavola, si mangiava e si beveva normalmente, anche se l'amico osservava scrupolosamente le sue regole religiose. Ma quando un giorno, avendo ospite la famiglia di suo zio, avemmo cura di non mettere neanche in tavola la bottiglia del vino, il ragazzo, commosso, ci si manifestò molto riconoscente per la delicatezza del gesto. Cose tanto semplici da essere banali. Ma la vita quotidiana non è fatta in gran parte di grandi cose e le amicizie si intrecciano anche attraverso le piccole attenzioni reciproche.

Da sant'Antonio a Maometto

Ero a Padova nella basilica di sant'Antonio e osservavo, con atteggiamento - lo confesso - un po' scettico, una donna che pregava quasi abbracciata all'urna del santo. Non presi coscienza in quel momento dei probabili drammi che ella veniva a deporre nelle mani del santo. Poco dopo mi trovavo a Gerusalemme e andai a visitare la tomba di Rachele, a quel tempo di libero accesso, mentre ora è presidiata dal check point da oltrepassare per raggiungere Betlemme. Appena entrato, il ricordo della scena vista a Padova mi assalì con grande emozione: una donna ebrea stava abbracciata, nella identica positura, alla tomba della grande matriarca. Mi venne in mente, nel vecchio latino delle antifone gregoriane della festa dei Santi Innocenti, il passo di Geremia: «Rachel plorans filios suos [...] quia non sunt»; pensai subito si trattasse della madre di figli soldati, forse morti, nella guerra senza fine fra ebrei e palestinesi. Sotto le dottrine che divergono, vive la medesima dolente umanità che porta a Dio, per l'intercessione dei suoi santi, i propri dolori e speranze.
Non molto diversa fu l'esperienza della permanenza di alcuni mesi in Cambogia, dove il buddismo si intreccia tranquillamente con il suo sustrato animista. La pagoda ha al suo centro il vihara dedicato al Buddha, ma tutto all'intorno, dentro il recinto, abbondano i tempietti dedicati a diversi spiriti. Al Vat Phnom, la pagoda più importante di Phnom Penh, il vihara è in alto sulla sommità della collina. Nel vasto recinto all'intorno i tempietti: uno particolarmente ampio e molto frequentato. Vi trascorsi una mattinata a osservare cosa vi accadesse. Mi attirava contemplare i volti dei devoti che venivano a deporre su una mensa, simile a un altare, le loro offerte, dal mazzo di fiori di loto, al cesto di frutta, al pollo già ben cotto. Volti e mani giunte esprimevano senza parole l'appassionata attesa di una grazia che veniva implorata. Non mancavano volti rigati di lacrime: quasi due milioni di morti, un terzo della popolazione, era stata la tragica somma della rivoluzione dei Khmer rossi, che aveva insanguinato la Cambogia pochi anni prima.
Un giorno accadde una terribile disgrazia fra i professori dell'università di Phnom Penh, con i quali lavoravamo per il riassetto degli studi dopo gli immani sconvolgimenti del passato. La bambina di uno di loro, di sette anni, era caduta dalla barca durante l'attraversamento del Mekong ed era affogata. Tra di noi cooperatori europei era stato un continuo discutere sulle differenze culturali che rendevano estremamente difficile il nostro lavoro, ma in quel momento ogni discussione risultava chiaramente vana: unico e identico era lo sgomento e il dolore di tutti. Che poi si facesse un funerale conforme alla tradizione buddista appariva del tutto indifferente.
Non solo le sofferenze, ma anche le gioie sono vissute con forme espressive diverse nelle differenti tradizioni religiose. Alla periferia occidentale della vecchia Istanbul c'è un santuario: vi si trova il venerato sepolcro di Eyüp, il portabandiera del profeta Maometto, colpito a morte e sepolto nel campo di battaglia durante il primo assedio di Costantinopoli da parte degli arabi nel 669. Dopo la Mecca e Gerusalemme, è il terzo luogo sacro dei musulmani e mèta costante di pellegrini da tutto il mondo islamico. Ebbene, trovarsi nei cortili del santuario di Eyüp una domenica pomeriggio fu motivo di vera e serena gioia: era bellissimo vedervi affluire in allegria le coppie di sposi nel giorno del loro matrimonio o le famigliole accompagnarvi i bambini il giorno della loro circoncisione, vestiti da piccoli ammiragli, in un clima gioioso di festa familiare.
Meno emozionante di queste esperienze, ma non meno interessante, fu l'incontro, nel seminario dei missionari saveriani, con un illustre guru indiano, docente di induismo in una università di Londra, antico discepolo di Gandhi, di passaggio da Parma. Il suo bagaglio era una grande borsa, vistosamente floscia perché semivuota. Era tutto ciò di cui l'illustre professore aveva bisogno per il suo viaggio e per la sua futura permanenza in Europa. Saputo che gli allievi saveriani dedicavano quella sera un'ora all'adorazione eucaristica, vi si associò con entusiasmo e devozione: Dio presente nel pane coinvolgeva profondamente la sua spiritualità di indù.

L'incontro è dono di Dio

L'incontro fra le persone, le occasioni di vita comune con le loro emozioni, le amicizie che si intrecciano al di là delle differenze, tutto questo è dono di Dio e là dove il cristiano scorge la fioritura dell'amore, egli sa che lo Spirito Santo è passato seminando la grazia di Cristo. Da questo fondo di comune umanità si dipartono poi le differenze fra le religioni storiche. Queste nulla tolgono al valore e alla bellezza dell'incontro fra le persone. Ciò non toglie che si resta consapevoli del fatto che non sono le esperienze religiose individuali, escluse quelle dei profeti fondatori, a fare la storia. Esse diventano forza storica influente sul decorso della vicenda umana quando prendono forma in dottrine e progetti di vita, intorno ai quali si coagulano forze umane che a volte risultano imponenti. Si pensi cosa ha significato per la storia lo strutturarsi della Chiesa cristiana o la umma dei musulmani.
Su questi fenomeni, allora, non possono mancare giudizi di valore, sia sul piano della verità di Dio che su quello del carattere benefico o nefasto di questa o quella impostazione di vita individuale e collettiva. Se una tradizione religiosa impone il sacrificio umano o l'infibulazione della donna o la sottomissione alla magia o la violenza del proselitismo - tanto per citare alcune devianze gravi -, il contrasto si impone. Anche sul piano dottrinale non potremmo ignorare la diversa valutazione della dignità della persona umana che deriva, per esempio, dalla credenza nella reincarnazione rispetto alla fede nella risurrezione.
Ciò che non bisognerebbe mai dimenticare, però, è che al di sotto di tutto questo stanno persone in carne e ossa con tutta la ricchezza della loro umanità e che la comune umanità è il primo luogo in cui Dio si rivela, visto che egli ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza.

Severino Dianich 

(da Vita Pastorale n. 1 gennaio 2011)

 

Letto 2507 volte Ultima modifica il Lunedì, 22 Aprile 2013 09:20
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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