Formule di preghiera che risalgono all’Antichità
La tradizione spirituale dell’Etiopia, abbiamo detto, affonda le sue radici nella tradizione dei Padri del deserto egiziano; ma ve ne sono anche altre, non meno venerabili che risalgono alla “liturgia cattedrale” antica [1]. In particolare un certo numero di preghiere di uso corrente provengono dal Testamentum Domini, uno scritto canonico-liturgico che si presenta come un insegnamento dato dal Nostro Signore Gesù Cristo ai discepoli dopo la Risurrezione; Può darsi che questo non sia materialmente vero, ma ciò non impedisce che il testo in questione, redatto certamente in Siria nel V secolo [2], rifletta una pratica liturgica dei primi secoli; verosimilmente la versione etiopica è stata tradotta direttamente dal greco in tempi antichi, Fra questi testi liturgici si trova in particolare [3].
(1°) il Kidân (o «Patto, Alleanza»), che i cristiani di Etiopia recitano tre volte al giorno (mezzanotte, mattina e sera), in origine era una preghiera di ringraziamento del mattino, in varie sezioni (TD 20,21 e 29) che in seguito è stata ripartita per i tre momenti importanti della giornata (Velat, Études, p. 170-174) [4]. Vi ritorneremo sopra.
(2°) il Temhertä Hebu’ ât (o «Dottrina degli arcani»), chiamata anche Mistagogia) (TD 22), una sorta di professione di fede recitata durante le celebrazioni in certi periodi dell’anno, in particolare prima della messa (Velat, Études, p. 210-217)
(3°) il Qeddâsié Egzi’e (o «Anafora del Signore»), una delle numerose anafore (=preghiere eucaristiche) in uso nella Chiesa etiopica (TD 16).
(4°) Bä’entä qeddessât (o «Per le sante [oblazioni]»), litania di intercessione (TD 33) che interviene nella enarxis (prima parte della messa, chiamata ser’atä qeddâsié o ordo missae); essa, oltre a dar inizio alla messa, serve anche da prima parte per la celebrazione di vari sacramenti e sacramentali;
(5°) il Qeddus sellus zä-iyetnägär, una bella preghiera dopo aver ricevuto la comunione (TD 17, Anafora degli Apostoli, n° 117s): “Santo, santo, santo, trino, ineffabile, dammi di ricevere questo corpo e questo sangue per la vita, senza condanna; dammi di produrre un frutto che ti piaccia, perché io appaia nella gloria e che viva per te facendo la tua volontà. Con fiducia ti invoco, Padre, e invoco il tuo Regno. Signore, che il tuo nome sia santificato in noi perché tu sei potente, lodato e glorificato, e a te è la gloria per i secoli dei secoli. Amen”.
... e alcune altre preghiere, come per esempio Signore dei lumi (Anafora di S. Epifanio, § 88-94, immediatamente dopo il Padre nostro), che è adattata da una preghiera di esorcismo del Testamentum Domini e si usa in preparazione alla comunione (TD 49 passim).
Ma ritorniamo alla prima preghiera citata, il Kidân: oltre al fatto di essere di una antichità venerabile, questo testo presenta una particolarità assai interessante e arcaica, appunto, quella di aver conservato la struttura della «liturgia domestica» ebraica, con la lode per la luce (Yotser), la lode e la richiesta per l’illuminazione dello spirito (ahabha) [5], e una preghiera di supplica e di lode (tefillah) [6]. Ecco, per illustrarlo, il Kidân della sera (il più breve dei tre), con le sue tre parti (chiamate “1°, 2° e 3° Kidân”) e preceduto dalla sua introduzione che richiama quella del canone della messa [7].
1° Kidân
(Pr.) La grazia del Signore sia con voi.
(F.) Con il tuo spirito.
(Pr.) rendete grazie a Dio.
(F.) È giusto e degno.
(Pr.) (Degno) di te, Padre immortale, salvatore della nostra anima e fondamento di ogni sapienza, custode dei nostri cuori, Tu che hai illuminato il nostro occhio interiore e le tenebre della nostra intelligenza con la conoscenza, con la quale ci hai incoronati. Sei tu che hai salvato il vecchio uomo, consegnato alla perdizione, mediante la Croce del tuo (Figlio) Unico e che lo hai rinnovato con ciò che è immortale (cf. Ef 4, 22-23; Col 3, 9-10); ciò che era stato abolito dalle colpe, Tu lo hai riscattato con i tuoi comandamenti e con la morte del tuo Figlio; Colui che era perduto, Tu sei andato a ricercarlo (cf. Lc 15,4). Per questo noi, tuoi servi, ti glorifichiamo, Signore.
(F.) Noi ti glorifichiamo, o Signore.
2° Kidân
(Pr.) Noi ti lodiamo, Signore, Tu che (gli) arcangeli glorificano senza posa con un canto di glorificazione, senza tregua né riposo, lode di gloria, azione di grazia delle Signorie. Essi ti glorificano con cantici, Signore, Tu che hai mandato il tuo Consiglio, il tuo Verbo e la tua Sapienza, la tua Provvidenza, che era con Te prima che il mondo fosse creato, Verbo increato (Pr 8, 23; Gv 1,1) per la salvezza del genere umano (Tt 2, 11), il tuo Figlio diletto, il nostro Signore Gesù, che ci ha liberati dal giogo del peccato. Per questo noi tuoi servi, ti lodiamo, o Signore.
(F.) Noi ti lodiamo, o Signore.
3° Kidân
Per Te di (tutto) cuore noi ti diciamo una triplice lode; donatore della vita, Signore, visitatore dell’anima degli uomini, che non abbandoni gli spiriti afflitti, che accogli quelli che sono perseguitati; soccorso di coloro che sono nell’abisso, salvatore degli afflitti, che pensi agli affamati e vendichi gli oppressi, amico dei fedeli, intercessore per i giusti e dimora dei puri. Tu esaudisci coloro che ti invocano con giustizia, protettore delle vedove e difensore degli orfani, che dai una guida integra alla Chiesa nella quale hai stabilito un luogo di riposo, lo splendore della fede, l’assemblea dello Spirito, il dono della grazia e della potenza. Lodandoti senza stancarci, senza posa noi rappresentiamo nei nostri cuori le immagini del tuo regno, a causa di Te e a causa del tuo Figlio diletto, il nostro Signore Gesù, per il quale a Te vengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!
Nel primo Kidân, si riconosce la lode della luce, qui particolarmente della “luce interiore” [8], il dono di Dio che consente all’essere umano di non rimanere prigioniero delle tenebre dell’errore, ma di riconoscere la Salvezza che gli è stata donata dalla Croce di Cristo. Il secondo Kidân glorifica Dio per la Redenzione di cui ci ha fatto dono mediante Gesù (analoga al dono della Torah, la Legge, per la quale il popolo ebraico rende grazie a Dio); vi si ritrova anche la menzione degli angeli, come nella preghiera ebraica [9]. L’intercessione generalmente presente nelle “benedizioni” ebraiche è tradotta, nel terzo Kidân, con i titoli dati al Signore (“aiuto degli afflitti, vendicatore degli oppressi, protettore delle vedove...”), una maniera indiretta di far memoria davanti a Dio di coloro che hanno bisogno di essere soccorsi, e si prolunga in una preghiera per la Chiesa, nell’attesa del compimento del Regno di Dio,a cui spetta ogni gloria [10].
Ben oltre le poche allusioni trasparenti, si sarà riconosciuto il modo di esprimersi tipico dell’Antichità, talmente nutrito di sacra Scrittura che non si riesce più a delimitarne le citazioni: la preghiera dei cristiani etiopici di oggi raggiunge quella che Gesù stesso ha conosciuto in seno al popolo eletto, quando era sulla terra.
Preghiere e uffici liturgici
Il Kidân che abbiamo studiato ci introduce agli uffici liturgici, preghiera della comunità cristiana celebrata in chiesa, o almeno nella sua cinta, sotto la guida del clero (preti, diacono, däbäras [11]) con la partecipazione del popolo. Essa riveste diverse forme. Preghiera quotidiana presieduta da un prete, ufficio divino, celebrazione eucaristica, sacramenti e celebrazioni di circostanza (per esempio, battesimo, matrimonio, funerali...), celebrazioni festive eccezionali, come quella della Croce e del Battesimo del Signore,pellegrinaggi, ecc.
Del cursus monastico è rimasto solo l’ufficio delle ore attribuito a Giorgio (Giyorgis) di Gassetchchâ (o di Sägla, XIV-XV secolo) che ha sostituito l’Horologion copto: è eseguito quotidianamente nei monasteri di stretta osservanza, che rifiutano il Deggwâ (vedi dopo), giudicato troppo “secolare” [12], ed è d’altronde eseguito anche nelle altre chiese i giorni di digiuno (tardi la sera); alcuni monasteri hanno inoltre delle devozioni proprie [13]. Nelle chiese secolari, invece, domina l’ufficio cattedrale, come è naturale, l’ufficio quotidiano comprende al minimo il Kidân (“Patto, Alleanza”), di cui abbiamo parlato sopra, celebrato la sera e la mattina; la mattina il prete reciterà anche diverse litanie, e si diranno ancora le preghiere mariane Porta della luce o Lode di Maria, conosciute da tutti, che si recitano o si cantano secondo il caso [14]
Il Deggwâ
Ma ciò che attira i fedeli e merita più di una semplice menzione, data la sua originalità e la sua importanza liturgica, è il Deggwâ, questa forma particolare che l’ufficio divino ha preso nel paese: esso è particolarmente sviluppato ed è di fabbricazione veramente etiopica e risale certamente a tempi antichi. Là si trovano i canti e, quando è il caso, le danze liturgiche. Comprende delle letture, di cui alcune molto originali,impone in certi momenti ai celebranti di improvvisare un poema di contenuto teologico, e si divide in molte parti diverse, con celebrazioni distinte secondo il giorno e il momento della giornata.. Le sue numerose parti (22 o 23 secondo il modo di contare) sono in fin dei conti di struttura assai semplice, ma il loro uso sembra agli stranieri complesso perché non è spiegato in nessun luogo: si impara con la pratica, nelle scuole di canto.
Non è necessario attardarci qui sulla divisione dell’anno liturgico [15]. Diciamo brevemente che, come nella maggior parte delle Chiese, si distingue un ciclo “fisso”, che segue l’ordine dei giorni del calendario [16], un ciclo “mobile” per tutto quello che è legato alla data della Pasqua (Quaresima e tempo pasquale). Il “temporale” divide il “tempo ordinario” dell’anno in 19 periodi liturgici, mentre il “santorale” gestisce le feste fisse, che siano del Signore, della Vergine o dei santi; c’è inoltre un certo numero di giorni di “rogazioni” (per usare un termine comprensibile in Occidente); l’esistenza di commemorazione mensili è una originalità (proviene dall’Egitto, ma è molto sviluppata in Etiopia) [17]. Le celebrazione hanno luogo, secondo il caso, la sera e la mattina, talora la notte in occasione delle veglie delle feste. Il concatenamento delle diverse parti è regolato dalle rubriche, che non sono uniformi e dipendono in particolare dalla scuola di canto alla quale ci si riferisce.
Ma che cosa c’è di così speciale del Deggwâ da distinguere le celebrazioni etiopiche da tutte le altre? Di fatto questo ufficio raccoglie un numero grandissimo di inni e di antifone, che spesso non sono che una rapsodia di versetti di salmi e di altri versetti scritturali, intercalati fra i versetti del salterio; vengono cantati e ripetuti diverse volte, su diversi toni musicali, secondo il ritmo del bastone tenuto in mano dai däbtäras, accompagnato dal sistro o dal tamburo, quando è il caso, e si concluderà con una danza liturgica al momento previsto [18]. Queste antifone ripetute senza posa per lunghi minuti, sui diversi toni e a ritmi variabili, danno un’anima alla celebrazione e riuniscono tutti i partecipanti in un unico movimento, uno stesso trasporto, si potrebbe dire, intorno al tema dalle festa: “Oggi la santa Vergine ha messo al mondo l’Emmanuele e lo ha coricato su una mangiatoia”, “Oggi è nato dalla Vergine un bambino perfetto, il redentore, gloria dei santi...”, “Oggi...”. “Oggi...” [19]; o ancora: “Nel Giordano è stato battezzato, compiendo la Legge e si è manifestato apertamente”, “Nella pace è apparso il perfetto Figlio di Dio, è nato nella città di Davide, è stato battezzato nel Giordano per riscattarci, il perfetto Figlio di Dio è apparso”, “... nel Giordano è stato battezzato per compiere ogni giustizia e si è manifestato apertamente” [20]...
Ma l’ufficio non si limita ai canti e alle danze. Si caratterizza anche per il suo alto grado di poesia: le antifone (ritornelli) poetiche abbondano, l’invocazione dei santi si fa sotto forma di un poema che descrive, tratto per tratto, le qualità del santo (mälke’ = “effige” o sälâm = “saluto”), e i più nobili misteri teologici possono essere evocati in un qenié, poesia a carattere teologico che deve essere obbligatoriamente improvvisato sul posto (!) da una persona designata, e che è eseguito su una modalità speciale. Per rispondere ai criteri più sublimi della poesia etiopica, questo qeniè deve essere costruito sul modo detto “cera e oro”, cioè deve essere a doppio senso [21]: un senso primario, relativamente banale, che salta agli occhi (cera), e un senso profondo (oro) che potrà essere trovato da colui che si darà la pena di liberare il poema dalla sua ganga... Raccolte di qenié, di cui gli Etiopi sono ghiotti, circolano un po’ dappertutto: è l’opera di cristiani pii e amanti della letteratura, che assistono agli uffici, notes in mano, e annotano al volo i poemi improvvisati che, senza questa trascrizione, sarebbero dimenticati per sempre [22]. Non ci si stupirà allora di apprendere che la formazione dei däbäras dura molti e molti anni...
Certi giorni di festa sono solennizzati con una processione. Si porta trionfalmente intorno alla chiesa – o al fiume, nella celebrazione dell’Epifania, - il tabot, una tavoletta di legno consacrata dal vescovo e incisa secondo regole precise, sulla quale si celebra la messa [23]. Poiché lo stesso talbot non può essere visto dai laici, lo si avviluppa di tessuti preziosi e un prete lo porta sulla testa così avvolto. Proprio durante queste processioni uno straniero osserverà meglio gli abiti liturgici, generalmente di colori sgargianti, e gli ombrelli liturgici, sconosciuti altrove, che ricordano i baldacchini un tempo usati in Occidente per le processioni. Tipiche della Chiesa etiopica, sia per la folla che attirano sia per l’atmosfera che le circonda, queste processioni attestano la formidabile forza di animazione (per usare termini di sociologia) che racchiude questa tradizione secolare.
Le letture
Naturalmente i canti non sono tutto: ci sono anche le letture. Quelle bibliche prima di tutto [24]; a ogni messa si legge come nella Chiesa copta tre epistole (un passo tratto dalle lettere paoline, un dalle lettere cattoliche e uno dagli Atti degli Apostoli), un salmo graduale e un vangelo. Le stesse letture dovrebbero farsi all'ufficio. In ogni caso, lo si vede, a parte i salmi, nessuna lettura è presa dall'Antico Testamento. A eccezione della settimana santa con le sue "cinque ore del giorno e cinque ore della notte" (dunque dieci uffici quotidiani) munite ognuna di varie letture (almeno una dell'A. T., un salmo e un vangelo, ma alcune ore ne hanno molte di più); inoltre i libri liturgici prescrivono per la quaresima di leggere i libri dell'A. T. Comunque i testi liturgici, lo abbiamo visto, sono farciti di citazioni veterotestamentarie, che in generale sono ben identificate dai cristiani.
All'ufficio, e se occorre alla fine della messa, si legge anche il Sinassario (raccolta di vite di santi ordinate giorno per giorno) [25]. Il momento della comunione offre l'occasione di recitare preghiere legate all'eucaristia, come il Mälke'a Q'erbân o il Zemmarié [26]. In altri momenti si leggeranno ai fedeli degli estratti de La foi des Pères, un'opera dogmatica, composta di brani estratti dai Padri della Chiesa, redatta in Egitto nel sec. XI e tradotto in lingua ge’èz. Più curiosa ancora è la storia dei Miracoli di Maria, una raccolta composta in Francia nel sec. XII, tradotta in latino e portata dai Crociati in Oriente, dove passò in arabo; a sua volta questa versione araba arrivò fino in Etiopia, dove fu tradotta in ge’èz, e così bene adattata che, grazie alla devozione mariana dell'imperatore Zara Yacob (1434-1468), essa entrò nell'ufficio divino, di cui fa parte ancora oggi [27].
Il Qeddâsié (messa)
Il Qeddâsié (o messa: di per sé il termine significa "santificazione", per allusione alla "consacrazione" dei santi doni) è celebrato almeno tutte le domeniche e i giorni di festa, e quando lo richiede un'occasione (in particolare in occasione di un battesimo e a intenzione di un defunto).Si contano fra i giorni di festa quella di un tabot della chiesa (ogni chiesa ne possiede vari), come pure le celebrazioni mensili che sono oggetto della devozione dei fedeli, almeno nella misura in cui la chiesa ospita il tabot corrispondente. Salvo che in un certo numero di chiese importanti, non si usa molto di celebrare quotidianamente, e lo si capisce bene quando si sa quanto tempo richiede una simile celebrazione, poiché il pane deve essere preparato dai diaconi nelle ore che precedono (deve essere ancora tiepido al momento di distribuire la comunione), che la celebrazione dell'ufficio (almeno la preghiera dell'incenso e quella del Kidân) deve certamente precedere, e che il qeddâsié da solo dura facilmente due ore almeno, e ancora di più le domeniche e i giorni di festa: inoltre un prete non può celebrare la messa da solo: occorrono due preti e tre diaconi [28]. Al di fuori dei giorni di digiuno, in cui la messa non può cominciare prima di mezzogiorno (in teoria dovrebbe terminare poco prima del tramonto, ma oggi finisce spesso verso la metà del pomeriggio) essa comincia prestissimo, verso le quattro o le cinque del mattino in certe regioni, ma verso le sei o le sette in altre. È vero che i fedeli si comunicano raramente, ma l'assistenza può essere numerosa e fervente, anche se eventualmente avviene all'esterno, nel cortile della chiesa, perché molti non si ritengono degni di entrare. Molti cristiani conoscono a memoria lunghi estratti delle preghiere e partecipano alla celebrazione rispondendo regolarmente, su invito del diacono, e cantando le parti che spettano loro. Tuttavia la partecipazione alla celebrazione comune non impedisce a certi fedeli di recitare per conto loro i salmi o altre preghiere durante l'ufficio: la presenza fisica e morale è più importante dell'attenzione a quel che è cantato o letto, e che non è necessariamente comprensibile, o utile, a tutti.
I testi della messa e dei sacramenti provengono il più sovente dalla tradizione copta, ma con alterazioni e aggiunte. La prima parte della messa, che corrisponde grosso modo alla liturgia della parola, è ripresa in certi altri sacramenti o sacramentali, come la benedizione solenne delle acque: la si chiama il ser'atä qeddâsié (ordo della sacra celebrazione). Questa parte è presa quasi integralmente dalla liturgia copta, ma ha ricevuto uno sviluppo autonomo che le ha dato una fisionomia propria. Invece l'equivalente etiopico del "canone della messa" è in buona parte, sembra, un prodotto di fabbricazione locale e variabile [29]: c'è un gran numero di anafore (o preghiere eucaristiche), di cui molte devono essere state redatte localmente, mentre altre possono essere state adattate. Il messale ufficiale della Chiesa etiopica ortodossa contiene quattordici anafore, e i manoscritti o altre edizioni ne hanno conservato alcune altre; il loro uso è regolato dalle rubriche e legato alla festa celebrata.
Il ser'atä qeddâsié
La celebrazione eucaristica è preceduta da numerose preghiere preparatorie, che riguardano soltanto il clero. Abbiamo anche detto che i diaconi hanno l'incarico di preparare le offerte, facendo cuocere il pane (lievitato) in un forno attiguo alla chiesa, chiamato Bethléem (si riconosce l'etimologia di questo nome, che in ebraico significa "la casa del pane"), come anche il vino (tradizionalmente si fa partendo dal succo di uva secca immersa nell'acqua, perché non c'era vino in quel tempo in Etiopia). I celebranti devono prepararsi secondo i canoni. Si reciterà anche l'ufficio prescritto. Al momento voluto il prete assistente e i diaconi fanno il loro ingresso, portando il pane uscito dal forno in una cesta che rappresenta Maria. La messa è incominciata...
Dopo altre preghiere, il prete esclama [30] - ed è l'inizio ufficiale della messa (§1-2) [31]
«Come è terribile questo giorno e grave quest'ora in cui lo Spirito santo discende dal più alto dei cieli e si libra su queste offerte per santificarle [32]. Stiamo in silenzio e con timore, preghiamo che la pace di Dio sia con me e con tutti voi»
Dopo avere scelto le oblate [33], e averle posate sull'altare pregando per quelli che le offrono, il prete continua in tono solenne (§ 26-27):
«Unico è il Padre santo! Unico è il Figlio santo! Unico è lo Spirito santo!"; i fedeli rispondono: "In verità il Padre è santo! In verità il Figlio è santo! In verità lo Spirito è santo!».
Dopo alcuni versetti di salmi, il prete continua con la preghiera di azione di grazie di san Basilio (§ 31-39) [34]:
«Noi rendiamo grazie al nostro benefattore, il Signore pieno di misericordia, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, perché ci ha protetti, ci ha salvati, ci ha custoditi, ci ha fatti avvicinare e ci ha ricevuto accanto a sé, si è fatto nostro rifugio, ci ha fortificati e ci ha fatto arrivare fino all'ora attuale. Chiediamogli dunque di custodirci in una pace totale, in questo santo giorno e tutti i giorni della nostra vita, lui, il Signore Dio onnipotente.
Signore onnipotente, Padre del nostro Signore, Dio e salvatore Gesù Cristo, noi ti rendiamo grazie di ogni cosa, in ogni cosa e per ogni cosa, perché tu ci hai protetti, ci hai salvati, ci hai custoditi, ci hai fatto avvicinare e ci hai ricevuti accanto a te, ti sei fatto nostro rifugio, ci hai fortificati e ci hai fatto arrivare fino all'ora attuale,
Per questo noi ti preghiamo e supplichiamo la tua bontà, o amico dell'umanità, dacci di terminare questo giorno e tutti i giorni della nostra vita in una pace totale, nel tuo timore. Ogni gelosia, ogni tentazione, ogni opera del diavolo, ogni cospirazione dei malvagi e ogni attacco del nemico, visibile e invisibile, allontanala da noi (†), da tutto il tuo popolo (†), e da questo santo luogo che è tuo (†). Ciò che è buono, appropriato e giovevole, accordacelo. Perché sei tu che ci hai dato il potere ci calpestare i serpenti, gli scorpioni e tutte le potenze del nemico. Non ci indurre in tentazione ma salvaci da ogni male, per la grazia e la misericordia che ha manifestato l'amore dell'umanità del tuo Figlio unico, il nostro Signore, Dio e salvatore Gesù Cristo, per il quale a te vengono la lode, la gloria e la potenza, con lui e con lo Spirito santo vivificatore, consustanziale a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen [35].»
Citiamo ancora il bell'inno mariano (§ 160-172) che proviene anch'esso dall'Egitto, ma che non vi è più usato che per frammenti e in occasioni rare, mentre la liturgia etiopica lo canta in ogni messa; esso è pieno di poesia e contiene tante allusioni bibliche che bisogna rinunciare a identificarle a una a una (tanto più che si riferiscono a passi molto conosciuti)[36]:
«Ecco il tempo della benedizione, ecco il tempo dell'incenso pregiato, il tempo di lodare il nostro Salvatore, amico dell'uomo, il Cristo.
L'incenso è Maria; essa è l'incenso, perché colui che è nel suo grembo, colui che è più profumato di ogni incenso scelto, colui che ella ha generato, è venuto e ci ha salvato.
Gesù Cristo è un profumo odoroso. Venite adoriamolo e osserviamo i suoi comandamenti, affinché egli perdoni i nostri peccati.
La misericordia è stata consegnata a Michele, l'annunciazione a Gabriele, e il dono delle (cose) celesti a Maria, la Vergine.
L'intelligenza è stata consegnata a Davide, la sapienza a Salomone e il corno dell'unzione a Samuele, perché è lui che unge i re.
La chiavi sono state consegnate al nostro Padre Pietro, la verginità a Giovanni, e la predicazione al nostro Padre Paolo, perché egli è lo splendore della Chiesa.
Profumo odoroso è Maria, perché colui che è nel suo grembo, che è più sublime di tutti gli incensi, è venuto e ha preso carne da lei.
In Maria, vergine pura, il Padre si è compiaciuto e l'ha adornata (come) una tenda per (essere) la dimora del suo Figlio diletto.
La Legge è stata consegnata a Mosè, e il sacerdozio ad Aronne, l'incenso scelto è stato consegnato a Zaccaria, il sacerdote.
La Tenda della Testimonianza è stata fatta come il Signore ha detto; e il sacerdote Aronne, al suo interno, offre l'incenso scelto.
I serafini lo adorano e i cherubini lo lodano, essi gridano dicendo: Santo, santo, santo il Signore fra le migliaia e onorato fra le miriadi.
Sei tu l'incenso, o nostro Salvatore, perché sei venuto e ci hai salvati. Abbi pietà di noi.»
Sarebbe certamente interessante dare anche alcuni passi presi dalle anafore, ma li lasciamo per un'altra volta...
I sacramenti
Per quel che riguarda i sacramenti e i sacramentali, il loro rituale è, il più delle volte, lo stesso che nella Chiesa copta da cui proviene; si noterà l'importanza dei funerali, di cui la parte liturgica non rappresenta che un risvolto, come per il matrimonio. Questi uffici generalmente riguardano un numero limitato di persone, membri della famiglia, amici e conoscenti.
Invece le celebrazioni festive come Temqät (l'Epifania, che celebra il battesimo di Cristo nel Giordano) attirano una folla considerevole e creano un'atmosfera di esultanza: la gioia della celebrazione liturgica, che nasce nella preghiera, pervade tutta la persona e si esprime anche nei movimenti del corpo, specialmente nella danza liturgica; così anche le celebrazioni penitenziali o commemorativi di eventi tristi (Passione del Signore, funerali di un parente...) impregnano di tristezza tutti i presenti, e questa si manifesta spesso in una maniera che può sembrare ostentata agli occidentali. Di fatto la celebrazione è veramente "comune", cioè tutti vi partecipano anche fisicamente: per esempio il Venerdì santo tutti i fedeli eseguono, contemporaneamente al clero, un gran numero di prostrazioni penitenziali (metanie).
Diversi passi del Nuovo Testamento ci insegnano che la partecipazione al sacerdozio eterno di Cristo è prerogativa di tutti i battezzati [37]; in Etiopia questa verità teologica si incarna nella celebrazione liturgica, che è realizzata e vissuta dalla comunità dei battezzati: preti, diaconi, cantori e fedeli, nessuno è semplice spettatore ma ognuno è necessario al posto che gli spetta, e tutti partecipano insieme alla lode dello stesso Dio e Signore.
Ugo Zanetti
Note
[1] I liturgisti distinguono la “liturgia monastica” (generalmente sobria) e la “liturgia cattedrale”, termine che designa tutte le celebrazioni destinate ai fedeli che vivono nel mondo (che avevano tendenza a modellarsi su quelle della cattedrale, donde il termine); esse davano maggiore spazio al canto, alla pompa e a tutto ciò che poteva sostenere la preghiera dei fedeli laici. Con il tempo, c’è stata spesso, ma non sempre, una influenza reciproca fra i due tipi di liturgia.
[2] Deve essere stato scritto in greco, ma l’originale è perduto. Se ne possiedono ancora versioni in diverse lingue dell’Oriente cristiano (siriaco, copto, arabo, etiopico) i cui rapporti reciproci restano ancora da precisare. Per le relazioni di questo testo con la liturgia etiopica, cf. Hartemichael. Ufficio, p. 145 s, e più recentemente Hartemichael, Origine, p. 131 3 nn. 125-127.
[3] Indichiamo il capitolo di TD, come anche la pagina in cui se ne parla nell’introduzione di Velat, Me’râf.
[4] Il padre Dalmais aveva presentato il Kidân e il Temhertä Hebu’ât (di cui in seguito): Irérée-Henri Dalmais, op, Le «”Testament du matin” et L”enseignement des arcanes”: deux antiques expressions liturgiques de la foi dans l’Église d’Étiopie», in La Liturgie, expression de la foi. Conferences Saint-Serge, XXV semaine d’études liturgiques (Paris, 27-30 juin 1978), edito da A. Triacca e A. Pistoia (= Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae», subsidia, 16), Roma: cf. p. 115-127.
[5] .”...dalla luce fisica ,si passa alla luce spirituale della conoscenza di Dio, e dunque all’azione di grazie per il dono della Torah...” Bouyer, Eucharistie, p. 68.
[6] Questi elementi sono chiaramente esposti in Bouyer, Eucharistie, p.66 ss, che analizza gli elementi della liturgia sinagogale del mattino.
Me’râf, p. 174; TD, cap. 29, p.191 s. Il testo etiopico , che è la traduzione di un originale indubbiamente greco, presenta delle difficoltà grammaticali. – (Pr.) = prete; (F.) fedeli.
[8] Si tratta del Kidân della sera: quello del mattino fa una allusione più esplicita alla luce materiale.
[9] Cf. Bouyer, Eucharistie, p. 68-69.
[10] Cf. Bouyer, Eucharistie, p. 86-87 : « [Nella terza berakah] si vede il pieno sviluppo di questa tendenza, notevole anche in tutte le berakoth estese, a prolungarsi in una preghiera per il compimento delle opere divine che sono oggetto della lode, prima di ritornare a essa nella dossologia finale. La fine della preghiera, con la sua allusione a Gerusalemme...» ci riporta a «...l’idea dell’edificazione di Gerusalemme che deve continuarsi fino alla pienezza dei tempi messianici». «L’idea cristiana della Chiesa che si costruisce fino alla parusia non farà che trasporla.»
[11] Un däbära è un chierico specializzato in materie religiose, che è almeno ordinato diacono. Sono i däbäras che formano il coro per gli uffici, eseguono la danze liturgiche quando occorrono, e si incaricano di molte altre attività legate alla chiesa, soprattutto all’insegnamento. Al negativo, alcuni, soprattutto quelli che hanno avuto dei diverbi con la gerarchia, si danno a pratiche magiche.
[12] Si sa che il monachesimo, agli inizi, era pochissimo propenso alle belle cerimonie che ricordavano troppo il “mondo”, e desiderava cerimonie il più possibile spoglie, attenendosi soltanto al testo della Scrittura. Una storiella, di cui si conoscono varie versioni, racconta come Pambo (altrove :Nilo di Sceti o del Sinai) biasima un giovane monaco che desiderava introdurre nell’ufficio monastico il canto dei tropari, come aveva visto fare in città: “... Guai a noi, figlio mio, sono vicini i tempi in cui i monaci abbandoneranno il nutrimento solido, parola dello Spirito santo, per darsi a inni e a toni...” (cf. l’apoftegma J 758: dom Lucien Regnault, Les sentences des Pères du désert. Série des Anonymes, Solesmes-Bellefontaine, 1985, pp. 325-327, n° 1758)
[13] Cf. Habtemichael, Origine, p. 135, n° 150, a proposito delle particolarità del monastero di Samuel di Waldebba.
[14] Se ne può trovare la traduzione francese in Velat, Me’râf, p. 170-217 passim e pp. 279-296 per le due preghiere mariane.
[15] Presentazione semplice e chiara in Kirsten Stoggregen-Pedersen, Les Éthiopiens (Coll. Fils dìAbraham), Brepools, Turnhout, 1990, p. 123-129.
[16] Il calendario etiopico, che proviene anch’esso dall’Egitto, differisce notevolmente dal nostro: il suo anno solare di 365 o 366 giorni si divide in 12 mesi di 30 giorni, più un “piccolo mese” di 5 giorni (che ne conta 6 negli anni bisestili).
[17] Così il 7 di ogni mese è dedicato alla Santissima Trinità, il 12 all’arcangelo san Michele, il 21 alla Vergine Maria, per citare tre celebrazioni mensili che sono particolarmente apprezzate.
[18] La danza liturgica è eseguita dai däbtäras, ma qualche volta i fedeli, presi dal movimento, ci si uniscono. Il suo ritmo, lento o rapido secondo i casi, rimane sempre estremamente degno. – I soli strumenti musicali ammessi, venuti dall’Egitto da molto tempo, sono il sistro e il tamburo. Ai quali però va aggiunto il bastone (mäqwamiya) tenuto dai däbtäras, che serve a segnare il tempo.
[19] Si sa che la liturgia rende presente “oggi” il mistero eterno di Cristo, compiutosi nella storia umana in un momento del passato, e che trasfigura il mondo
[20].Passi delle feste di Natale e dell’Epifania (Battesimo di Cristo) prese dall’edizione liturgica del Deggwâ, Addis Abeba, 1988 E.C. (= 1995 / 1996 A.D.)
[21] Il termine allude al procedimento detto “a cera persa”: si foggia un oggetto con la cera, lo si circonda di argilla refrattaria curando che ricopra tutta la superficie, poi si riscalda lo stampo così ottenuto. la cera scola dal foro di sfiato e viene sostituita con l’oro che occupa esattamene il posto che occupava la cera: non rimane che di spezzare la ganga per prendere l’oggetto.
[22] Per tradizione era proibito di riprodurli, ma da una cinquantina d’anni, si è diffuso l’uso di permettere agli amatori di annotarli. Si trovano ormai nelle librerie liturgiche raccolte di questo genere di poemi particolarmente istruttivi... per chi conosce perfettamente la lingua poetica e i suoi doppi o triplici sensi.
[23] Essa corrisponde più o meno alla pietra d’altare un tempo in uso nel rito latino, o all’antimension delle Chiese bizantine, ma il tabot non contiene reliquie. Il tabot deriva storicamente dalla tavoletta di legno, consacrata dal patriarca, in uso nella Chiesa copta, di uso equivalente cf. Coptic Encyclopaedia I, p. 109: Altar-board).
[24] Cf. Fritsch, Lit. Year; Hartemichael, Ufficio, p. 224.231.
[25] Pubblicato per intero, con traduzione francese, nella Patrologia orientalis, fra il 1905 e il 1999, da diversi autori (la maggior parte da Gérard Colin cf. i suoi Index in PO 48/3, = n° 215, 199).
[26] Il primo è stato tradotto in Irenikon (cf. la nota n. 29 sopra); per il secondo, cf. Bernard Velat, "Hymnes eucharistiques éthiopiennes", in Rythmes du monde, 7 (1953), p. 26-36.
[27] Cf. Gérard Colin, Le livre éthiopien des miracles de Marie (Taamra Mâryâm). Traduzione francese, (= Patrimoines. Christianisme), Paris, Éd. Du Cerf, 2004. - Chi si scandalizza di vedere leggere in chiesa dei testi che non hanno nulla di canonico dovrebbe ricordarsi che tutte le tradizioni liturgiche hanno integrato per secoli letture di questo genere (per esempio le vite dei santi), e che l'assenza di "garanzia storica" non priva necessariamente quei racconti di valore morale. Se la razionalità occidentale moderna le ha scartate, non senza ragione, dalle celebrazioni liturgiche, esse continuano a godere di un certo successo come letture private.Là dove mancano, il loro posto è presto preso da romanzi o da altre composizioni letterarie che, ancor meno storiche (anche se ne danno l'apparenza), sono spesso prive di ogni valore umano! Detto questo, dato che il numero delle storielle comprese in questi miracoli continua a crescere, se ne trovano davvero alcune che sfidano il buon senso .
[28] Recentemente la Chiesa etiopica ortodossa ha ammesso che si possa, in caso di necessità, celebrare con un solo diacono, ma due preti restano necessari, il celebrante principale e il prete assistente. Questo pone un grave problema nell'emigrazione, dove il clero fa quel che può.
[29] Cf. Habtemichael, Origine, p. 127-131; anche EAE, art. Anaphoras.
[30] Eccetto le letture, tutto è cantato. La "messa letta"non esiste.
[31] Purtroppo non conosciamo una traduzione francese del messale etiopico: una traduzione inglese fu fatta dal Rev. Marcos Daoud un buon mezzo secolo fa (The Liturgy of the Etiopian Church, Addis Abeba, 27 febbraio 1954) e non è facilmente reperibile. La maggior parte delle anafore era stata pubblicata da S. Euringer prima della guerra, con traduzione tedesca, nella rivista Oriens christianus e altrove; alcune altre sono state pubblicate a parte qua o là. Noi traduciamo dall'edizione liturgica corrente; i paragrafi di questa edizione sono numerati e ne conserviamo la numerazione, molto pratica.
[32] I due aggettivi dell'inizio sono quasi sinonimi e possiedono ambedue un doppio senso, insieme "terribile" e "meraviglioso", come sono tutte le apparizioni divine. Quanto al verbo che abbiamo tradotto con "si libra" (cf. Gn 1,2), esso è anche identico alla forma verbale che significa "prendere sotto la propria ombra" (Lc 1,35: "la potenza dell'Altissimo ti prenderà sotto la sua ombra") ,un gioco di parole impossibile a tradursi.
[33] Nella tradizione etiopica, come in Egitto, si presentano al prete vari pani, ed egli sceglie quello che gli sembra che corrisponda meglio alle esigenze liturgiche. Ma in Etiopia questo si fa all'interno del santuario, senza che i fedeli lo vedano, perché la tradizione vieta di permettere che i laici vedano il pane eucaristico, anche prima che sia consacrato.
[34] Questa preghiera proviene direttamente dalla liturgia copta, dove è grandemente valorizzata:; ne esiste anche una antica traduzione greca. Per non allungare omettiamo qui gli interventi del diacono e le (brevi) risposte del popolo. Il segno (†) indica il gesto di benedizione (fatto con la croce manuale), su se stesso, sul popolo e sulla chiesa (NB: questa croce di benedizione non si usa più dopo l'inizio dell'anafora).
[35] Si saranno riconosciute le allusione bibliche più esplicite: Ef 6,11-12; Lc 10,19; Mt 6,13.
[36] Era stato già citato da Nollet, Culte, p. 375, con un altro testo mariano. Uno studio più tecnico sull'origine di questi due brani è in corso di stampa: Ci atteniamo qui alla traduzione nuova del messale di Addis Abeba..
[37] Cf. Rm 12,1; 1 Pt 2,9; Ap 1,6.
(da Irenikon, 2008, n, 4. p. 491)