Ecumene

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Il dramma della religione
di Vladimir Zelinskij


Il Padre Alexander Schmemann, (1921-1983) (1) che con i suoi libri scritti in russo ed in inglese ha fatto crescere un’intera generazione di teologi in Russia (fra cui anche il Patriarca Alessio II, secondo le sue stesse parole), dopo la sua morte ha lasciato un “Diario”, pubblicato per la prima volta l’anno scorso. Questo libro è diventato una vera e propria scoperta non solo per le sue qualità spirituali e letterarie, ma prima di tutto per il suo “messaggio”, per il pensiero che ha tormentato l’autore durante tutta la vita: l’ambiguità della religione. Grande conoscitore della storia e della tradizione della sua Chiesa, innamorato dell’Ortodossia fin dalla prima infanzia, convintissimo della sua verità, egli usa nel suo “Diario” due “O”: una è maiuscola - quando si tratta della bellezza delle celebrazioni, della fedeltà alle radici apostoliche - e l’altra “o” è minuscola - quando parla dell’ambiente umano, della realtà parrocchiale, degli alterchi giurisdizionali, ecc. P. Schmemann ha vissuto la sua vita con questo contrasto nel cuore che egli rivelava, piuttosto con cautela, nei suoi scritti pubblicati. Una sorta di tensione fra fede e religione, percepita da ortodosso nella vita quotidiana della Chiesa come sacramento del Regno di Dio sulla terra, ma anche come confessione che vuole essere umanamente più pura, migliore delle altre.

Dall’inizio di quest’anno quasi tutta la Russia credente e pensante è diventata lettrice appassionata di questo libro. Perché? Perché tanti ortodossi, spesso senza accorgersene, vivono lo stesso conflitto interiore, per cui ciò che è di Dio e ciò che è dalla carne e dal sangue, nascostamente si contestano reciprocamente. Perché nella nostra esistenza religiosa l’eredità degli Apostoli e dei Padri può essere mescolata con l’orgoglio confessionale, la grazia della vita secondo lo Spirito con la pesantezza storica ed etnica (che chiede anche i suoi “diritti mistici”), il senso della verità col gusto del potere - almeno sulle anime. E perché in un modo o nell’altro tutti sentono o percepiscono: “la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio” (1 Cor 15,50).


(1) Teologo e liturgista ortodosso, primo decano al St. Vladimir Seminary di New-York.

Le parole del rabbino di Colonia
Netanel Teitelbaum



All’inizio della visita alla sinagoga di Colonia, Benedetto XVI ha ricevuto i saluti di Abraham Lehrer (Consiglio di presidenza della comunità ebraica) e del rabbino Netanel Teitelbaum. Pubblicato in L’Osservatore romano (21.8.2005, 7).

Abbiamo appena letto e ascoltato qui nella sinagoga il salmo 23, che ha un grande significato per la fede di ognuno. Questo salmo dona forza all’uomo in difficoltà. Ha donato a noi, popolo ebraico, dalla cacciata dall’Egitto fino alla Shoah e anche in seguito, la forza di sopravvivere. Questa forza che è la fede del popolo ebraico, la fede in un unico Dio, la fede nell’Eterno...

Il popolo di Israele, quale popolo, quale gruppo e anche ogni suo singolo membro, ha attraversato periodi terribili. Proprio cinque giorni fa abbiamo celebrato il giorno del lutto, un giorno che ci ricorda la sventura della storia ebraica. È il giorno della distruzione del primo e anche del secondo tempio a Gerusalemme e il giorno della repressione della sollevazione nel ghetto di Varsavia. Il popolo ebraico non ha mai smesso di credere, neanche quando è stato lasciato solo. Da questa fede traiamo forza in ogni tempo, anche in tempi nei quali il popolo ebraico è perseguitato.

La sua visita oggi, papa Benedetto, è segno di speranza di pace in tutto il mondo e un passo sulla via di un’edificazione spirituale del terzo tempio di Gerusalemme, che si può costruire soltanto se esiste la pace fra tutti i popoli. La sua visita oggi è un passo avanti verso la pace fra i popoli del mondo. È anche un segno concreto contro il precedente antisemitismo cristiano. La sua visita possiede una grande forza simbolica.

Mi permetta ora di passare dal generale al particolare, alle singole persone. La sua visita ha un grandissimo significato per la madre di Abraham Lehrer che l’ha appena salutata. Oggi ella è qui con noi nella sinagoga. Sul suo braccio possiamo leggere il numero che le fu inciso nel campo di concentramento. Nel 1944, ad Auschwitz, non aveva né la forza né alcuna idea del fatto che un giorno del 2005 suo figlio avrebbe accolto ufficialmente il papa nella sinagoga. Oltre a lei sono presenti anche altre persone che sono sopravvissuti a quel periodo. Da dove traiamo questa forza, la forza di credere, la forza di sopravvivere? La possiamo trovare nei testi che abbiamo letto qui insieme oggi, ossia nel c. I del Primo libro di Mosè: e Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò. L’uomo ha in sé una parte di Dio e questa parte di Dio che l’uomo ha in sé è l’anima. L’anima distingue gli uomini dagli altri esseri viventi. L’anima dà all’uomo la possibilità di pensare prima di agire. È l’uomo a decidere di fare il bene e di non distruggere. L’Eterno ha dato all’uomo un’anima. L’uomo è stato creato per fare il bene e dall’anima l’uomo trae la forza e il dovere di unire gli uomini e non di dividerli, ossia in pratica l’uomo deve avere e creare la pace.

Nell’ebraismo il fondamento della pace è costituito da cinque pilastri. Il primo è la fede in un Dio unico e onnipotente. Il ricordo del passato e l’edificazione del futuro costituiscono il secondo pilastro. Una volta Napoleone chiese per quale motivo gli ebrei piangevano. Risposero: «Piangiamo per la distruzione del tempio di Gerusalemme». Allora egli chiese: «Quando è successo?», e gli risposero: «È accaduto 2000 anni fa». Napoleone disse: «È successo 2000 anni fa e piangete ancora oggi? Se è cosi, quando un popolo piange ancora al ricordo del suo passato, allora è un popolo che ha anche un futuro». (...) Il terzo pilastro è quello delle buone azioni. La preghiera è il quarto pilastro. Oggi, alla fine di questo evento ascolteremo la preghiera che si chiama «Dona la pace». Il suono dello Schofar è il quinto pilastro. Il suo suono indica la pace. Per questo motivo oggi l’abbiamo fatto risuonare, poiché la sua visita è un segno, un simbolo del fatto che nel mondo deve regnare la pace, una pace senza terrore.

Se uniamo questi cinque pilastri, formiamo una mano che, sebbene abbia cinque dita, è sempre una sola, la mano del popolo ebraico e questa mano gliela porgiamo quale simbolo di pace del popolo ebraico per tutti i popoli del mondo.

Pensatore, mistico e papa dal carisma eccezionale, Karol Wojtyla lascia però al suo successore una eredità contrastata. Giovanni Paolo II ha abbattuto molti muri, ma ne ha eretto altri.

Teilhard de Chardin.
Profeta di una coscienza planetaria
di Serge Lafitte

Avevo guardato con simpatia quel lungo volto energico e fine, i cui tratti accentuati da rughe precoci sembravano scolpiti nel legno duro. L'occhio scintillante e vivace aveva qualche cosa di ridente senza essere ironico. Parlava con la vivacità e l'animazione propria di coloro che si appassionano. La sua parola era avvincente, arrivava fino all'anima, con quella potenza persuasiva che è propria degli apostoli. L'autore di questo incisivo ritratto di Pierre Teilhard de Chardin è Henri de Monfreid. Siamo nell'aprile 1926, il Pirata del mar Rosso ha incontrato il gesuita paleontologo sulla nave che porta quest'ultimo in Cina. Personaggio alla Joseph Kessel, trafficante di armi e di hascish, avventuriero e presto scrittore, Monfried ha riconosciuto, al di là di tutto quel che li separa, un uomo della sua tempra. Anche il reciproco è vero. E sigilla un'amicizia che non verrà più meno.

Abbiamo capito: incrociare la strada di Teilhard, come lo chiameranno gli amici, non può suscitare l'indifferenza! Nato il 1° maggio 1881, è il quarto degli undici figli di una famiglia molto cattolica, il cui motto gli si adatta come un guanto: “Dal fuoco è la loro forza, dal cielo è la loro nascita”. Per desiderio del più perfetto ha scelto, a diciassette anni, la Compagnia di Gesù, la cui formazione gli ha dato un gusto profondo per la filosofia e la teologia. Ma è la scienza che attira soprattutto questo appassionato di geologia. Dopo la sua ordinazione al sacerdozio, raggiunge, nel 1912, il laboratorio di paleontologia del Museo di storia naturale di Parigi. Mobilitato come barelliere nel 1914, il giovane sacerdote ritorna dall'inferno delle trincee bardato di decorazioni e definitivamente segnato da quel “battesimo nella realtà” che lo ha fatto avvicinare all'umanità in quel che ha di peggio e di meglio.

Uno spirito libero

Ma il cattolico idealista guarda ormai con occhio critico una Chiesa che giudica troppo lontana dalle realtà umane. Divenuto professore all'Institut catholique di Parigi, ha ottenuto con successo il dottorato in geologia nel 1921 e continua delle ricerche che gli valgono, nel 1923, il premio della Société géologique de France. Valutazione della commissione: “Osservazione penetrante, associazione preziosa quanto rara del gusto della fine analisi con quello dalla potenza di sintesi, grande indipendenza di spirito.” Ma al contrario, nella gerarchia cattolica tali qualità intellettuali susciteranno meno entusiasmo… Come scienziato convinto che l'umanità è il prodotto del lungo processo dell'evoluzione, il religioso ritiene che la teologia cattolica dovrebbe, in conseguenza, rivedere la sua interpretazione della Creazione divina e del peccato originale commesso da Adamo ed Eva.

Nell'epoca in cui la Chiesa romana considera ancora la teoria dell'evoluzione come una delle più pericolose fra le teorie materialiste, la sua intrusione proprio nel seno dell'istituzione fa presto a spaventare i custodi dell'ortodossia. Effettivamente, è un “esiliato” che nel 1926 prende la via della Cina per continuarvi delle ricerche avviate in occasione di una missione scientifica nel 1924. Un soggiorno durante il quale ha scritto uno dei suoi testi più mistici, la Messe sur le Monde. L'esilio è il risultato delle pressioni del Vaticano per allontanare da Parigi un conferenziere le cui idee suscitano già troppa eco nei circoli cattolici soffocati da una teologia che, per l'essenziale della sua concezione del mondo, non ha quasi avuto alcuna evoluzione dal Medioevo e Tommaso d'Aquino. Il cristianesimo, ritiene invece Teilhard de Chardin, “mi appare ora molto meno come un insieme chiuso e costituito che come un asse di progresso e di assimilazione. Fuori di questo asse non vedo al mondo alcuna garanzia, alcuna via di uscita. Ma intorno a quest'asse intravedo una quantità immensa di verità e di atteggiamenti ai quali l'ortodossia non ha ancora fatto posto”.

Disciplinato, lui che si rivendica come un super cattolico, ha obbedito agli ordini dei superiori gesuiti. Teilhard de Chardin passerà così una ventina d'anni in Cina, intervallati da brevi ritorni in Francia e vi acquisterà un riconoscimento scientifico internazionale. Partecipa in particolare alle ricerche che scoprono il sinantropo, uno degli antenati asiatici dell'uomo. Egli che non vuole“lasciar perdere alcuna occasione di sperimentare e di ricercare” fa parte anche della “Crociera gialla”, una spedizione sulla Via della seta organizzata con l'appoggio del costruttore di automobili André Citroën. Tutto questo non gli impedisce di approfondire una riflessione che unisce scienza, teologia e voli mistici centrati sulla figura di Cristo. Così ha riassunto il suo Credo: “Io credo che l'Universo è una Evoluzione. Io credo che l'Evoluzione va verso lo Spirito. Io credo che lo Spirito nell'Uomo si completa nel Personale. Io credo che il Personale è il Cristo-universale”.

Frutti di questa ricerca appassionata, vari dei suoi testi più ambiziosi, come le Milieu divin o le Phénomène Humain sono stati elaborati durante l'esilio cinese. Ma, in
conseguenza dell'interdetto romano, e della sua obbedienza di gesuita
straziato, non saranno pubblicati, come tutti gli altri suoi scritti,
che dopo la sua morte, avvenuta il 10 aprile 1955 a New York, il giorno
di Pasqua… Nel frattempo, dopo il ritorno dalla Cina nel 1946 e un
primo allarme cardiaco, il paleontologo ha potuto effettuare due
soggiorni scientifici nel Sudafrica. Si è meravigliato che “l'Africa non sia stata identificata fin dal primo momento come la sola regione del mondo dove ricercare, con qualche possibilità di successo, le prime tracce della specie umana…” Una ipotesi promessa a un bell'avvenire scientifico.

L'idea di noosfera

Sul versante religioso, il tentativo di sintesi tra scienza e fede cristiana di Teillhard è indubbiamente collegato con il rinnovamento intellettuale che ha consentito al concilio Vaticano II, negli anni '60, di aprire finalmente la Chiesa cattolica alle realtà del mondo moderno. Ma, sovrabbondanti e spesso ardue come sono, le sue riflessioni non sempre hanno potuto raggiungere il loro obbiettivo teologico. Troppo mistico, forse, o troppo sconcertante nelle sue audacie concettuali dagli accenti profetici. Dopo essere caduto in una relativa dimenticanza, Pierre Teilhard de Chardin, paradossalmente, è risorto al di fuori della sfera cattolica alla fine del secolo scorso con la sua idea di noosfera. Questa si origina nella concezione teilhardiana del fenomeno umano che è, secondo lui, il risultato di una evoluzione guidata, un processo orientato dal progetto divino. In questo quadro, Teilhard presente che l'umanità debba ormai sviluppare una sorta di coscienza planetaria. Questo nuovo stadio evolutivo, che chiama “noosfera”, consiste in una mutazione spirituale che consentirà agli umani di raggiungere la tappa ultima della loro evoluzione, il punto Omega, stadio supremo di una fusione con la figura del Cristo, incarnazione di una umanità pienamente realizzata…

Al cuore dell'attuale processo di mondializzazione, alcuni guru della cibernetica hanno voluto vedere nell'esplosione del fenomeno Internet l'irruzione della coscienza planetaria attesa da Teilhard de Chardin. Certamente l'idea non gli sarebbe spiaciuta. Ma la sua visione della noosfera, “involucro pensante della terra” rimane di ben altra dimensione etica e spirituale…

(da Le monde des religions, 11, p. 50-51)

La cura tenera della fragilità:
responsabili per l'altro
(I piccoli e l’Abbá di Gesù)
Intervento di Marcelo Barros


1. Una premessa: partire dal Vangelo

Amiche, amici, vorrei cominciare con una premessa. Una premessa che parta dal Vangelo. Per la capacità che esso ha di dire sempre una parola nuova, che ci interpella e ci provoca, corrodendo le nostre sicurezze, stanandoci dai nostri facili rifugi ideologici, dalle nostre ortodossie o ortoprassi, così spesso ostinate e disumanizzanti. Vorrei iniziare, citando, del Vangelo, un passo, tanto conosciuto, quanto incompreso e trascurato. Una parola difficile, ostica alle nostre orecchie. In qualche espressione, perfino minacciosa. Parlo di Matteo, cap. 18, versetti da 1 a 14. La “Magna Carta” dei discepoli di Gesù è proprio il capitolo 18 di Matteo. Ed essa ha la pretesa di valere per le nostre relazioni “dentro” la comunità, non meno che per i nostri rapporti “fuori” di essa. Perché l’identità cristiana – cercheremo di vedere in che cosa consiste questa identità paradossale negatrice dell’Io – non è qualcosa che possiamo vestire e dismettere a seconda dei luoghi in cui operiamo. Anche se proprio in ciò pare consistere il “guadagno”della modernità: le ragioni della fede e la competenza laicale che procedono su piani paralleli senza mai incontrarsi. Collocandoci in ascolto del Vangelo, dovremmo evitare di pensarlo come un manuale che ci fornisce ricette pronte per qualsiasi evenienza, o chiarimenti su ogni argomento. Il Vangelo ci porta, attraverso racconti e parole che esigono il nostro sforzo interpretativo, quella che Gesù ci presenta come Verità del Padre, come proposta del Regno, come senso della vita. Stando così le cose, lo sforzo dovrà consistere in coniugare, ogni giorno, la speranza del regno con gli avvenimenti concreti in cui ci troviamo ad agire. Immagino che il testo lo conoscano tutti. È quello che racconta di come i discepoli chiedono a Gesù: Chi è il più importante nella logica del regno di Dio? E Gesù, come risposta, chiama un bambino, lo pone in mezzo a loro e dice due cose. Primo, se voi non diventerete e non agirete come bambini, non potrete capire nulla del progetto del Padre. Secondo, chi riceve uno di questi piccoli, è me che riceve! Dunque, il piccolo come destinatario, fine, orizzonte della mia azione/attuazione, perché in lui s’identifica la stessa verità di Dio; e il “piccolo”come visione, stile, modalità del mio agire nel mondo. Come maniera d’essere dello stesso Dio. E, a questo punto, noi si potrebbe anche andare a casa. Perché la realtà, come ci è dato conoscerla, è l’esatto contrario di tutto ciò.Ma, voi siete persone coraggiose e ambiziose. Di un certo tipo d’ambizione (come i bambini, appunto che, gonfiando il petto, annunciano con orgoglio: Io da grande, sarò come mio padre] e persone ostinate, cui piace andare controcorrente.

1.1. Il bambino, oggetto della mia cura

Chi è, dunque, il piccolo, il bambino che deve essere oggetto della nostra cura, della nostra cura esclusiva, così com’è oggetto della cura del Padre? Il piccolo, il bambino del tempo di Gesù, non aveva nulla da spartire con l’immagine che conosciamo oggi, simbolo della tenerezza, oggetto vezzeggiato, centro della famiglia, idolatrato dal mercato. Il bambino non valeva nulla, nessun diritto “dei bambini”. Il padre era padrone della vita e della morte. [Questo accade, ancora oggi, ma almeno, sotto lo sguardo severo, e a volte ipocrita, della opinione pubblica]. Dunque, il primo messaggio di Gesù è che il bambino – sintesi e simbolo di ogni insignificanza, di ogni fragilità, di ogni diritto non tutelato, presente nella nostra storia – deve diventare il centro e la priorità della nostra azione. Parlo naturalmente anche dell’azione politica. Non possiamo aver nulla a che vedere con forze e programmi politici – se siamo cristiani, naturalmente, - che non abbiano come obiettivo questo genere di priorità. La tutela dei poteri forti, la propongono e la perseguono molto bene i partiti della destra, che oggi più che mai si presenta come forza del neo-paganesimo imperante. E, in questo, sono senza dubbio ben equipaggiati, ideologicamente e amministrativamente.

1.2. Il bambino, soggetto della cura

Ma, qual è la maniera di agire del bambino che assomiglia alla maniera di agire di Dio. Meglio, del Padre di Gesù. Altro paradosso evangelico: agisce come il Padre, chi agisce come il figlio, come un bambino! Cerchiamo di offrire alcune caratteristiche dell’”essere bambino”. Voi, poi, potrete aggiungere tutte quelle che vorrete. Il bambino sa di non essere auto-sufficiente, più ancora, sa di essere dipendente. L’idea su cui dovremmo lavorare penso che possa essere quella di “interdipendenza”: il bambino che è in me ha bisogno di te, il bambino che è in te ha bisogno di me. Tu, - il “tu” che è la natura, la storia, la comunità – sei la condizione del mio esistere, così come il “tu” di cui io sono parte è condizione del tuo esistere. Il bambino è curioso, desideroso di esplorare il mondo che lo circonda, si relaziona con fiducia. Non ha preconcetti, non conosce esclusioni. Si pone come limite solo la parola del padre, che, nel nostro caso, siamo fortunati, perché sappiamo essere il progetto del Padre che desidera, per tutti e tutte, una vita piena e felice. Il bambino, nei rapporti che instaura, non conosce gerarchie, né sete di potere, ma cerca tenerezza e la dona, l’unica economia che conosce è quella del dono. E penso che, per cominciare, già potrebbe bastare. Confrontandoci con questo brano del Vangelo, potremmo verificare se e quando la nostra attuazione assume seriamente la proposta del regno, nella nostra vita personale, nelle relazioni familiari, comunitarie, sociali, ecclesiali, politiche. La domanda a cui dovremmo rispondere ogni sera, chiudendo la nostra giornata, è: Chi è stato importante oggi per me? Chi è stato al centro delle mie attenzioni? Della mia attuazione familiare, ecclesiale, sociale, economica, politica? L’ “io” (individuale o collettivo poco importa, la mia famiglia, il mio gruppo, Chiesa, partito, i miei fans...) o il “tu”, che mi concerne sempre, il senza-potere, il senza-voce, il senza-opportunità. Sapendo che la regola del cristiano [regola che, per altro, si destina a pochi], consiste nel giungere, quando necessario, a negare se stessi, perché l’altro viva e che, finché esisterà conflitto, l’altro – il bambino, il debole, il povero, l’ultimo, l’extra-comunitario, il perseguitato, ha, per diritto divino, la precedenza. Per dirlo con le parole di una preghiera di Gandhi: “O Signore, se vuoi che io abbia latte, dallo prima a tutte le tue creature!”. Parlavamo all’inizio di parole perfino minacciose. È così.

Questo brano di Vangelo ci dice in che misura Dio si sente coinvolto nella storia dei senza-storia, che sono, come tutti, destinatari della sua promessa di vita. “Se qualcuno farà perdere la fede nella mia promessa di vita ad uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli legassero una grossa pietra al collo e che lo buttassero in fondo al mare”. Attenzione, amici, è questo il messaggio: con il Dio dei piccoli non si scherza!

Non perdiamo l’occasione di scrivere la storia, la nostra storia, come storia di Dio.

2. La realtà e le cifre dell’anti-regno

Alcuni mesi fa, salutando la costituzione del Centro Internazionale Helder Câmara, citavo dom Helder, suggerendo le tappe di un possibile percorso: “Il nostro Padre … ha dato all’uomo il potere e la responsabilità di non rassegnarsi alla sofferenza e al dolore innocente, ma di combatterli. E’ il nostro compito.” Non rassegnarsi alla sofferenza. Il dolore tortura il corpo; la sofferenza, in particolare quella provocata dall’uomo e da strutture di potere inique, per la sua durata e la sua asprezza, corrode le radici della vita. Non basta manifestare indignazione, né imprecare contro la malvagità dell’uomo, ma bisogna rispondere concretamente alle sfide che ci troviamo di fronte e denunciare le responsabilità, chiamandole per nome. Le sfide elencate nel programma del Centro sono molte e rilevanti, documentate da cifre impressionanti: la miseria causata da un’economia ingiusta, l’ignoranza, lo sfruttamento sessuale, i bambini abbandonati, il lavoro minorile, le malattie e l’aids, i bambini soldato, ecc... Per avere un quadro della situazione mondiale, necessario per ragionare con sufficiente realismo, lasciatemi ricordare qui ancora alcuni pochi dati di fonte Unicef.

Di 100 bambini che nascono in media ogni anno

19 non avranno accesso all’acqua potabile

40 vivranno senza adeguate strutture sanitarie

30 soffriranno malnutrizione nei primi 5 anni di vita

26 non saranno vaccinati

40 non saranno registrati alla nascita e quindi non avranno nazionalità e diritti civili

17 non andranno mai a scuola.

“Nel mondo ci sono 125 milioni di bambini che non hanno mai visto una maestra”. E resta comunque difficile studiare con la pancia vuota o con il corpo distrutto dalle malattie. È per questo che (è persino inutile sottolinearlo), lotta all'Aids e programmi per l’alimentazione dell'infanzia diventano obiettivi irrinunciabili. L'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha rilevato che negli ultimi dieci anni la quota di aiuti ai paesi poveri s'è ridotta di un terzo e oggi vale lo 0,4 per cento del Pil (Prodotto interno lordo). Nel suo ultimo rapporto la Banca mondiale ha calcolato che 180 miliardi di dollari all’anno per 10 anni consentirebbero di garantire l’accesso all’acqua potabile, all’istruzione di base e a un alloggio decente a tutti coloro che ancora ne sono privi, in tutto il mondo. Per avere un’idea delle grandezze economiche in questione, basti pensare che gli Usa e l’Europa danno sussidi ai loro agricoltori per quasi il doppio di quella cifra (347 miliardi di dollari), danneggiando l’esportazione dei prodotti agricoli dei paesi poveri. Nel 2002 sono previste spese militari mondiali di 946miliardi di dollari (con un incremento addebitabile in gran parte agli Stati Uniti) rispetto agli 811 miliardi del 1998. Nonostante la rilevante crescita della ricchezza globale degli ultimi decenni il divario tra i primi e gli ultimi – tra il quinto più ricco e quello più povero – continua ad aumentare . Ora, questi dati stanno a testimoniare che il nostro mondo è la negazione più radicale di quel Regno che ci ostiniamo ad annunciare e celebrare. Più che le cifre, poi, sono i volti da noi conosciuti che ci interrogano quotidianamente. Per quanto riguarda il mio Paese, nel 2001 il Brasile si è trovato ad affrontare situazioni davvero gravi a livello sociale: un aumento generalizzato della disoccupazione, un inarrestabile e progressivo impoverimento della popolazione, la diffusione della violenza e l’azione di un insieme di meccanismi di emarginazione ed esclusione sociale, aggravati da una perversa distribuzione del reddito. Secondo statistiche ufficiali, circa 50 milioni di brasiliani (quasi un terzo della popolazione) vive con meno di 2 dollari al giorno, e sono perciò considerati in situazione di povertà. E tuttavia, dati più circostanziati indicano che 15 milioni di brasiliani sopravvivono con un reddito inferiore o pari a un dollaro per giorno, il che è considerato indice di povertà estrema o di miseria. Ora, è inevitabile che tale situazione si rifletta drammaticamente sulla vita dei 57 milioni di bambini e adolescenti del mio Paese, in termini di vulnerabilità alla mortalità infantile, di abbandono scolare, di sfruttamento del loro lavoro. Questo, solo per citare i fenomeni più appariscenti. Secondo dati del Ministero dell’Istruzione, relativi all’anno 2000, del totale di bambini da 0 a 3 anni, solo il 4,2% ha accesso agli asili nido e di quelli da 4 a 6 anni solo il 37,9% frequentano le scuole materne. Senza considerare la bassa qualità dell’offerta di questi servizi. E, ancora, benché i dati ufficiali ci offrano, per il 1999, una percentuale di iscrizione all’insegnamento primario del 95,6%, è importante rilevare che sono circa 1 milione e 800 mila bambini tra i 7 e 14 anni che stanno fuori dalla scuola. L’Unicef segnala inoltre che circa 8 milioni di adolescenti tra i 12 e i 18 anni, in condizioni di reddito bassissimo e di bassa scolarità sono condannati all’insuccesso scolastico e professionale, privi come sono di una scolarità sufficiente che li abiliti ad accedere ad attività lavorative più complesse e a salari migliori. A tutt’oggi le provvidenze governative in tema di infanzia e adolescenza non si sono dimostrate in grado di affrontare, né tanto meno di risolvere i problemi, a causa del mancato interesse a risalire, denunciare, rimuovere le cause della povertà e della miseria. Tutto questo rappresenta per noi dunque un appello ad agire. Ogni iniziativa per migliorare il mondo deve dare precedenza alle iniziative a favore dei bambini. Una società i cui i più piccoli e indifesi sono denutriti, vengono fatti oggetto di abusi, o non hanno diritto all'istruzione, non può dirsi una società civile. É questa la visione che ispira il nostro incontro: è il benessere dei piccoli la misura della nostra responsabilità verso l’Altro. Oggi è possibile creare un mondo a misura di bambino. Abbiamo le conoscenze, l'esperienza e le risorse necessarie. Quindi non è più una questione di possibilità, ma di volontà politica.

3. Il Regno, ovvero il “Principio della cura”

Il Regno, ne siamo profondamente convinti, non è altra cosa dal principio della cura, annunciato, celebrato, ma, soprattutto, testimoniato. Il discernimento di come viverlo nel quotidiano, nelle nostre relazioni familiari, comunitarie, sociali e di come incarnarlo nelle nostre scelte politiche non è sempre facile. Quello che è certo è che non può adottare mezzi e stili che lo contraddicano. È quanto ci ricorda Gandhi : “La convinzione che non vi sia rapporto tra mezzi e fine è un grande errore. Per via di questo errore, anche persone che sono state considerate religiose hanno commesso crudeli delitti (...). Il mezzo può essere paragonato a un seme, il fine a un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero. (…) Raccogliamo esattamente quello che seminiamo.” Una cosa almeno ci è chiara fin dall’inizio: il diritto alla vita non può essere lasciato alla mano invisibile del mercato, né ad un’élite tecnologica che concentra su di sé tutto il potere . Può salvarci solo la scelta consapevole di una moltitudine di uomini e donne, che pratichino nel quotidiano, rapporti sociali all’insegna della solidarietà. Che è poi, ciò che chiamiamo la “prassi del regno”.Solidarietà significa chiederci che cosa facciamo noi affinché l’altro possa esistere. E, subito dopo, darsi da fare per creare le condizioni affinché tutti possano “vivere” con dignità : disponendo di cibo, di acqua, di salute, di lavoro, di istruzione. Riccardo Petrella, in un suo intervento, proponeva di fare una alleanza con i bambini di tutto il mondo, oltre i confini degli Stati e di chiamarla O.M.U: Organizzazione Mondiale dell’Umanità. Durante il recente vertice della Terra di Johannesburg, a Soweto, nel ghetto che ha vinto la battaglia contro l’apartheid, abbiamo assistito alla sfida simbolica del Children Earth Summit: cento bambini in delegazione da tutto il mondo hanno dato vita ad una festa della speranza per celebrare la bellezza della Terra. Parlavano della “cura” cui tutti siamo tenuti nei confronti della nostra madre comune e delle misure “semplici” con cui questa cura si manifesta: non sprecare l’acqua, riciclare le bottiglie usate, e così via. Il vertice ufficiale non ha dato spazio a questi bambini, ma saranno loro, in definitiva, a verificare la realizzazione delle promesse fatte a Johannesburg. Dom Helder , che aveva una grande fiducia nei giovani , lanciò proprio qui a Milano nell’ottobre del ’74 il motto “ Giovani di tutto il mondo unitevi !“. Oggi, le maggiori organizzazioni dell’infanzia, con il sostegno di Nelson Mandela, lanciano la parola d’ordine: “Creare un movimento globale per cambiare il mondo, con i bambini.” Questo movimento è già in atto ed è rappresentato dalla rete innumerevole di iniziative e di persone che scelgono di coinvolgersi sui temi della Pace e dell’Ecumenismo, della Lotta alla fame e alla miseria, dei Diritti umani, del Dialogo tra generi, dell’Ecologia, della Terra e dell’Acqua. Tutte sfide che dobbiamo assumere simultaneamente per dare un futuro all’infanzia del mondo intero, coinvolgendo “ogni cittadino, ogni nazione, entità pubbliche e private, nazionali e internazionali, per spingere al cambiamento e alla tutela dei diritti, assicurando il miglioramento duraturo della vita dei bambini” (Movimento globale per l’Infanzia). Invece degli obiettivi esclusivamente economici del neoliberismo vogliamo mettere al primo posto la qualità della vita e il futuro dei nostri figli, con tutto quello che ne consegue in termini di ecologia, equità, democrazia. Certo, per far questo abbiamo bisogno di un recupero di spiritualità che, lungi dal sottrarci alla materialità delle relazioni, della vita e delle responsabilità che ci competono, ci restituisca, con inedita libertà e nuova maturità, al rapporto con la terra Madre, le sue energie e i suoi figli e figlie.

4. Per una spiritualità politica

Helder Camara ha testimoniato che non c’è altra via per il cristiano che il farsi prossimo, non solo a livello personale, ma lavorando per cambiare le strutture che rendono gli uomini schiavi. Ci invitava ad essere artigiani di pace che è il modo migliore per riconoscere l’altro. Costruttori di quella pace che è molto di più che la semplice assenza di guerra: è vita piena, fraterna e solidale, per tutti. Per questo aveva scelto come programma di vita la preghiera di Francesco: "Signore, fa' di me uno strumento della tua pace: Dove è odio fa' che io porti l'amore / Dove è offesa che io porti il perdono / Dove è discordia che io porti l'unione / Dove è dubbio che io porti la fede…".

Spiritualità francescana e solidarietà, contemplazione e azione, dialogo e incontro fra culture e religioni. Questa è la via che ci ha indicato nelle miserie e conflitti che caratterizzano il nostro tempo. Certo, anche la politica ha tutti i limiti, di ogni altro ambito umano, aggravati dalle tentazioni del potere. L’esperienza ci dice che dove si denuncia l’ingiustizia per affermare il bene comune si rafforzano sia il divino che l’umano. Senza spiritualità la politica diventa cinica; senza impegno politico, la spiritualità diventa sentimentalismo. Questo, almeno per noi in Brasile, è sufficientemente chiaro: una spiritualità che si voglia cristiana non può essere apolitica, indifferente alle sofferenze prodotte da un sistema di potere ingiusto. I fatti ci costringono a prendere posizione . Non c'è separazione tra cielo e terra. La liturgia cristiana canta la relazione tra il cielo e la terra, tra Dio e l'uomo, che si realizza in Gesù. Si contempla Dio attraverso la Bibbia e la vita insieme. Carlos Mesters, il nostro amico biblista, ha saputo tradurre in splendidi libri questa esigenza di essere contemplativi nelle attività di liberazione. E’ una spiritualità che sa vivere ecumenicamente la presenza dello Spirito e la sua azione salvifica nel mondo. Quando celebriamo i nostri martiri, ricordiamo anche quelli non cristiani come "martiri del Regno", martiri di un processo più grande che la Chiesa è chiamata a servire. La Chiesa non può essere che un servizio al Regno di Dio. E noi sappiamo che questo crea inevitabilmente tensioni e conflitti. Questo pericolo costante per la vita e la missione della Chiesa sta scritto nella Rivelazione di cui ella stessa è depositaria. Come osserva il vescovo profeta, Pedro Casaldáliga: “Gesù ha vissuto anche la conflittualità con il tempio e con la sinagoga… La Chiesa, come qualunque istituzione umana, sebbene non sia solo un'istituzione umana, corre il rischio di istituzionalizzarsi eccessivamente, di ripiegarsi su se stessa, corre il rischio … di fare a volte affogare il carisma nel potere. Per questo anche il cristiano d'oggi, come a suo tempo Gesù, può sperimentare il conflitto, non solo di fronte ai poteri di questo mondo, ma anche di fronte a ciò che nella Chiesa può esserci di tempio e di sinagoga”. La politica non è tutto, perché Dio non si limita a rispondere ai bisogni dell’uomo, ma è una via inevitabile per la liberazione umana.

5. Agire responsabilmente

Se un giorno dovessi spiegare ad un bambino del mio bairro che cosa ha portato la nostra comunità monastica a insediarsi, ormai da venticinque anni, nella periferia povera di Goiás, vorrei potergli dire che è stata la scelta della compassione, nel suo senso più ampio. La scelta, cioè, della condivisione e solidarietà profonda della vita della nostra gente, con i suoi problemi, le sue sofferenze, ma anche le sue risorse, l’allegria, la capacità di resistenza e tutte le sue ricchezze interiori. Vorrei che a noi si potessero applicare sempre le poche parole che nella Bibbia descrivono l’atteggiamento del samaritano: “Passandogli accanto lo vide, e ne ebbe compassione, lo guardò nel volto e ascoltò il suo cuore”. L’orientamento culturale di gran lunga prevalente oggi è altro. È quello di “star bene con se stessi”: una sorta di fuga dal mondo per migliorare il proprio benessere psicofisico. L’economia, la politica , la sessualità sono senz’anima, non richiedono cioè alcun impegno spirituale. L’alienazione si alimenta di conformismo e di palestre. Il potere incoraggia la burocratizzazione della politica, finanzia il volontariato come strumento di conservatorismo compassionevole per coprire l’ingiustizia del sistema. L’attuale modello di sviluppo mette a repentaglio irresponsabilmente l’intero sistema ecologico della terra e trasferisce la questione sociale a livello planetario in termini assolutamente inediti di tensioni e di aggresività. Anche il Primo Mondo ha costruito un suo muro, non fatto di mattoni, ma invisibile e forse più insidioso. Perché nasconde i lager o gulag di popoli interi e molti desaparecidos. E crea le condizioni di emarginazione e disperazione che alimentano il terrorismo, l’intolleranza e la violenza. Ora che è venuto meno il muro che divideva il primo mondo dal secondo è ora di eliminare il muro che esclude i popoli del terzo mondo. Anche perché l'umanità è una sola e queste classificazioni dei popoli sono prive di senso. Ricordando, per altro, che quella economica non è l’unica forma di ingiustizia. Ce lo ricordava frei Betto, al Forum Sociale di Porto Allegre, menzionando la persecuzione degli immigrati , l’esclusione dei discendenti degli schiavi neri e degli indigeni nelle Americhe, l’oppressione di milioni di individui che appartengono alle caste "intoccabili" in India, e tante altre forme di razzismo o discriminazione per ragioni di colore, religione, cultura o genere, presenti dal Nord al Sud del pianeta. Di questo scandalo siamo tutti, in misura maggiore o minore, responsabili, vuoi per incompetenza, per incoscienza, per alienazione o per mancanza di pietà. Per reagire ad esso, dom Helder chiamava all’azione quelle che lui chiamava le minoranze abramitiche, i piccoli gruppi di persone che, per ogni dove, diventano consapevoli dei peccati sociali e scelgono di lavorare, non per i poveri, ma con i poveri. Anche Etty Hillesum si rivolgeva nel suo Diario non alle nazioni ma solo a quegli uomini “per i quali vale come verità certa che le realtà del nostro mondo civile non cadono dal cielo, ma sono in ultima analisi opera di noi uomini singoli. Se le grandi cose vanno male, è solo perché i singoli vanno male, perché io stesso vado male. Perciò, per essere ragionevole, dovrò cominciare col giudicare me stesso.”

6. L’ecumenismo dell’umanità sofferente

Dalla lontana periferia brasiliana, che è il mio piccolo osservatorio aperto sul mondo, attraverso una vasta rete di amicizie che lungo tutti questi anni si è venuta tessendo, vedo che la solidarietà, come nuovo nome della pace, ci riunisce nell’ ecumenismo dell’umanità sofferente . Il riconoscimento della centralità della solidarietà con gli impoveriti sta alla base del dialogo fra le religioni. Questa è anche la base di una convergenza delle religioni per la comune resistenza contro le cause del patire ingiusto. Dopo le tragiche avventure del colonialismo, con la distruzione delle popolazioni indigene e la riduzione in schiavitù di milioni di figli dell’Africa, dopo Auschwitz, i lager e Hiroshima, lo scempio dell’ambiente, la sofferenza e morte di milioni di bambini non possiamo pensare di cavarcela invocando i buoni sentimenti o i nobili ideali e neppure solo facendo dichiarazioni teologiche di richiesta di perdono. L’abbattimento delle torri di New York segna l’esigenza di un ritorno alla terra, al ground zero, come è stato chiamato il luogo della tragedia, alle fondamenta. Non per rispondere al terrorismo con la follia di una guerra allargata a tutto il mondo. Ma per prendersi cura della Terra, ritrovando l’umiltà (dall’etimologia di humus ). La sofferenza e il dolore innocente possono essere il punto di svolta per affermare la vita, liberando le energie positive, contro il processo autodistruttivo del male. Non sopravvalutiamo la forza apparente degli imperi, che anche quando sembrano egemoni, hanno i piedi di argilla e franano all’improvviso, accecati dal militarismo . L' “argilla” è la fame dei popoli e il loro amore per la Vita. I cristiani sanno che la Vita trionferà sulla Morte. Quello che in fondo propongo ai giovani, l’impegno fondamentale che è intendo sollecitare nel nome di Dom Helder Camara è che le azioni che svolgeranno, nei campi più diversi, ed in base a sensibilità ed esperienze diversissime dalle mie, siano comunque finalizzate ad una missione: testimoniare la solidarietà del Dio della Vita per ogni uomo. La stessa che Cristo ci ha manifestato. L’azione solidale per scongiurare i pericoli che incombono sull’umanità può darci una visione ad un tempo nuova e fedele al Vangelo. Il comportamento dei cristiani deve manifestare coerenza tra l’annuncio e la vita. Luca ripeterebbe: “perché mi chiamate: Signore, Signore, ma non fate ciò che vi dico? “(6,46).

7. Per un nuovo protagonismo del bambino

Ma torniamo a loro, ai bambini, ai piccoli. Per avviarci ad una prima conclusione. Abbiamo cercato di esporre come possiamo fare di loro, nello stesso tempo, l’oggetto e il soggetto del “principio della cura”. Facendo di questo l’anima di una nuova spiritualità (anche politica), di un agire responsabile, di un ecumenismo aperto e solidale con gli ultimi. Sedici anni fa, nel 1986, si celebrava a Brasilia il Primo Incontro Nazionale del Movimento dei Bambini e Bambine di Strada, durante il quale per la prima volta essi poterono denunciare di fronte al Paese la violenza di cui erano vittime. Un anno dopo, questo stesso movimento promosse il 1° Tribunale Nazionale del Minore, che giudicò simbolicamente i crimini praticati contro bambini e adolescenti. Da allora si sono moltiplicate, nel nostro Paese le iniziative che intendevano e intendono dare voce e opportunità a queste espressioni “ultime” della società, le più deboli e marginali. Questo si è tradotto via via in una coscienza e una cultura nuova, capace di restituire all’infanzia il tempo, lo spazio, il valore, il significato che le erano stati sottratti. Basterà ricordare le mobilitazioni sui temi della violenza, sul lavoro infantile, sullo sfruttamento sessuale, sul recupero e sulla protezione dei minori “infrattori”, davanti ad una società per la quale “riconoscere anche nell’aggressore un cittadino sembra essere un esercizio difficile e inappropriato”. Questa mobilitazione di ampi settori della società, nata dall’azione concreta dei “piccoli” riscopertisi soggetti politici, ha significato quanto meno, a livello di opinione pubblica, la scoperta e la messa a tema dei “diritti dei bambini” e, a livello dei poteri pubblici, lo studio, la progettazione e l’emanazione di una legislazione assolutamente esemplare. E tuttavia, resta da fare molto, quasi tutto. Si tratta, cioè, in primo luogo, di applicare le leggi, lo Statuto del Bambino e dell’Adolescente, in primis. Fino ad oggi, e speriamo che sia davvero solo fino ad oggi (grandi sono infatti le speranze che accompagnano questa seconda tornata elettorale che si svolgerà domani), è mancata la volontà politica di applicare il precetto costituzionale della “priorità assoluta”. Lo Stato nelle sue strutture centrali e periferiche ha preferito assumere o mantenere una dimensione di carattere assistenzialista, che tratta cioè l’assistenza sociale come un dovere morale e non come un diritto. Anche perché questa si è rivelata un’attitudine sufficientemente redditizia, almeno in termini elettoralistici.

È necessario che il nuovo governo che si insedierà al Palazzo del Planalto investa nel bambino, nella sua famiglia (aumentandone il reddito familiare, le condizioni abitazionali, la qualificazione dell’adulto per il lavoro) e in un’educazione di qualità. Un’educazione che ponga tra i suoi obiettivi anche quello di riscattare e valorizzare le culture, fino ad oggi sacrificate, osteggiate se non negate, delle popolazioni negre ed indigene. Sarà l’occasione per mostrare una “nuova” volontà politica di agire nella prospettiva dei piccoli e degli ultimi, l’unica in grado di non caratterizzarsi come “escludente”. Capace, invece, di esprimere relazioni che riconducano tutta la ricchezza dei diversi segmenti della società nella generale categoria della “cittadinanza”.

A mo’ di conclusione: un nuovo inizio

Come concludere un tema come questo: il prendersi cura che si riflette sull’infanzia e orienta il futuro?

La diagnosi è chiara: i paesi ricchi vivono materialmente oltre i limiti dello sviluppo sostenibile e pensano e agiscono al di sotto delle proprie esigenze spirituali. E’ possibile un nuovo inizio e come ?

E’ vitale continuare a considerare possibile una società migliore, che consenta a tutti gli esseri umani di immaginare e costruire altri mondi possibili, senza guerra e miseria .

Francesco d’Assisi così si rivolgeva ai politici nella sua Lettera ai reggitori dei popoli:

“… ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo”. Non dimentichiamo che il Signore si è fatto uomo come povero (cf. 2 Corinti 8,9), che ai poveri ha affidato il giudizio finale (cf. Matteo 25). Non è solo una scelta etica sulle cose da fare . L’opzione per i poveri è un cammino che ci è stato rivelato e che dà senso al nostro legame con i figli . Infatti alla domanda “Dove incontriamo Dio?” la risposta ci è stata data chiara:

“ogni cosa che avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me”

In questo senso siamo orientati a contribuire al “Decennio internazionale per la cultura della pace e la non violenza per i bambini del mondo” proclamato dalle Nazioni Unite per il 2001-2010 col seguente manifesto: PER I BAMBINI DEL MONDO

“Oggi, in ogni paese del mondo, ci sono molti bambini che in silenzio soffrono gli effetti e le conseguenze della violenza. Essa assume forme differenti: tra i bambini nelle strade, a scuola in famiglia e nella comunità. Ci sono violenze fisiche, violenze psicologiche, violenze economico-sociali, violenze ambientali e violenze politiche. Molti bambini - troppi bambini - vivono in una “cultura della violenza”. Noi vogliamo contribuire a ridurre le loro sofferenze. Noi crediamo che ogni bambino possa scoprire da sé che la violenza non è inevitabile. Noi possiamo dare speranza, non solo ai bambini del mondo, ma a tutta l’umanità, cominciando a creare e costruire una nuova Cultura della Non violenza. Per questa ragione noi facciamo questo appello a tutti i capi di stato, a tutti i membri dei paesi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, affinché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiari:

Che il primo decennio del nuovo millennio, gli anni 2001-2010 siano dichiarati il “Decennio per una cultura della non violenza”;

Che all’inizio del decennio l’anno 2000 sia dichiarato “l’anno dell’educazione alla non violenza”;

Che in questo decennio la non violenza sia insegnata ad ogni livello della nostra società, per rendere i bambini consapevoli del significato e dei benefici della non violenza nella loro vita quotidiana, al fine di ridurre la violenza e la conseguente sofferenza, perpetrata contro loro e l’umanità in generale.

Noi possiamo costruire insieme una nuova cultura della non violenza che darà speranza a tutta l’umanità e in particolare a tutti i bambini del mondo. “

Non rassegniamoci dunque, ma assumiamo le nostre responsabilità a testa alta e a mani tese, con questo impegno comune, perché è tempo di agire !


IMPEGNO COMUNE PER LA PACE

Riuniti nell’incontro promosso dal Centro Internazionale Helder Camara, da questa Università Cattolica facciamo appello a tutte le università del mondo per la diffusione fra i giovani di una cultura di pace. Riconosciamo che la Pace é il bene supremo ed un diritto di tutta l’umanità che ci è dato dall’amore divino. Riaffermiamo la pace come universale cammino spirituale che richiede una continua vigilanza.

Per questo, in nome dello Spirito Divino, energia di amore universale, nel quale crediamo con diversi nomi e in differenti forme, condanniamo ogni tipo di guerra, violenza e terrorismo, sia di gruppi, sia di Stati che si pongono al di sopra delle leggi internazionali , contro l’umanità ed il pianeta Terra .

Per approfondire in noi e nel mondo una cultura di pace assumiamo questi impegni:

1. Noi ci impegnamo a consacrare parte del nostro tempo, come studenti, insegnanti, uomini di buona volontà a elaborare un sapere universale condiviso che contribuisca a costruire una mondializzazione pacifica.

2. Noi ci impegnamo a dialogare tra noi e con gli altri con sincerità e pazienza, non considerando le differenze come un muro insormontabile, ma, riconoscendo che il confronto con l’altrui diversità può rappresentare l’opportunità per approfondire la nostra comprensione reciproca e favorire una educazione alla mondialità .

3. Noi ci impegniamo a difendere il diritto di ogni persona a vivere dignitosamente, secondo la sua propria identità culturale e religiosa, e il diritto di ognuno di associarsi ad altri per formare la propria famiglia culturale o religiosa.

4. Noi ci impegniamo a testimoniare che, qualunque sia la nostra religione e tradizione, riceviamo in noi lo Spirito Divino, se ci apriamo alla compassione-solidarietà coi nostri simili e alla salvaguardia del Creato .

5. Noi ci impegniamo a schierarci sempre dalla parte delle persone che soffrono, cercando di fare tutto il possibile per dare la precedenza alla cura dei bambini .

6. Noi ci impegniamo a promuovere incontri nello spirito di Assisi affinché cresca la comprensione e la fiducia reciproca tra le persone e i popoli, come base di una pace autentica.

7.Ci impegniamo a collaborare con tutte le iniziative a favore dell’infanzia che saranno promosse da questo convegno. Facciano nostro l’obiettivo Unicef di dare acqua pulita e servizi sanitari in ogni scuola del mondo.

We care : insieme dalla parte dei minori perché “un altro mondo è possibile”.

“GIOVANI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI ”

Giovani di tutto il mondo: unitevi!

Unitevi contro l’egoismo!

Unitevi contro le manovre del potere economico, manifestazione suprema dell’egoismo contemporaneo!

Unitevi per una lotta pacifica! Se usassimo le armi dei fabbricanti di armi e dei fabbricanti di guerra, essi ci schiaccerebbero.

Dobbiamo usare armi che essi non possono usare:

pressioni morali liberatrici, basate sulla verità, sulla giustizia, sull’amore;

pressioni morali liberatrici, condotte contemporaneamente nei paesi ricchi e nei paesi poveri;

pressioni morali che, destinate a liberare gli oppressi, libereranno il Cristo che si fece uno con i poveri, con gli emarginati, gli esclusi, i senza voce!

Dom Helder Camara, Milano 19 ottobre 1974

L'assenza della creatività come fenomeno sociale allargato è un dato allarmante, che de­nuncia il farsi strada di una società nella quale si è perso il gusto per la bellezza della conoscenza in sé e dove tutto sembra dover essere valutato secondo un criterio utilitaristico, alla fine perden­te.

Martedì, 01 Agosto 2006 02:50

Lezione Terza. Abramo, padre dei credenti

Lezione Terza
Abramo, padre dei credenti





Introduzione

Il canone della messa romana, dopo la consacrazione del pane e del vino, invoca la benevolenza divina sull’offerta della Chiesa, come si manifestò nel sacrificio di Isacco: «sacrificium patriarchae nostri Abrahae».

Isacco è figura di Cristo (1) . Abramo è il padre: non solo delle generazioni successive, Isacco e Giacobbe; ancora secoli più tardi si dirà di lui in Israele «nostro padre Abramo». Non a caso gli si attribuisce il nome di padre. Le figure del periodo più antico sono legate agli avvenimenti decisivi e fondamentali della storia d’Israele: ad esse si dà il nome di padri, patriarchi. Ma Abramo emerge dal gruppo dei patriarchi come padre di Israele nel vero senso della parola.

È abbastanza frequente definire i salmi come il libro dei canti e delle preghiere del secondo tempio. Certamente questa dimensione liturgica è presente nel libro biblico; tuttavia nessuna testimonianza afferma che questi leviti cantori del tempio abbiano cantato tutti i salmi del Salterio. Il numero dei salmi usati nella liturgia è relativamente ristretto.

Martedì, 01 Agosto 2006 01:52

Piccolo grande Fratello (Mons. Claude Rault)

La beatificazione di Charles de Fou cauld ha avuto luogo a San Pietro domenica 13 novembre 2005.

Spiritualità Marista
di Padre Franco Gioannetti


Trentasettesima parte

La povertà (2)

In una visione un po’ apocalittica – cara al P. Colin – la sorte della Società, del suo carisma e del spirito è legata, nell’ultimo numero delle Costituzioni, alle sorti della povertà. Con un minaccioso “Vae illi”, per chi causasse la decadenza su questo punto, il p. Fondatore fa intravedere quale potrebbe essere la più grande sciagura per la Società: senza un autentico spirito di povertà Gesù e Maria non potrebbero riconoscerla come loro propria.

Il concetto di povertà del P. Colin non sembra essere frutto di un pauperismo “di rottura”, né di un rigorismo riformista caratteristico di alcuni istituti religiosi nella seconda metà del sec. XIX. Il nesso stresso che il P. Colin stabilisce tra la povertà e lo spirito dell’Istituto fa pensare ad una intuizione originaria collegata con il carisma proprio della Società di Maria. Su questo il P. Fondatore non ha fatto altro che riproporre le beatitudini e lo spirito dei “poveri di Jahvè”, che hanno in Gesù e Maria i modelli più sublimi (Const., cap. XII, art. V, n. 443).

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