Formazione Religiosa

Giovedì, 23 Novembre 2006 23:33

Dio: fedele e inafferrabile (Giuseppe Bellia)

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Dio: fedele e inafferrabile
di Giuseppe Bellia



Quando il lento processo di progressiva identificazione dell'insegnamento sapienziale con la Torah cominciò ad affermarsi nella prassi interpretativa del giudaismo rabbinico della diaspora, si avviò un profondo e inarrestabile mutamento nella sensibilità religiosa del popolo ebraico e nel modo di concepire il suo rapporto con la divinità. Si era compreso, in terra d' esilio, che l' effettiva esperienza di Dio non avrebbe più avuto il riverbero grandioso delle solenni teofanie tramandate dai racconti di fondazione o l' alone mistico degli oracoli trasmessi dalla fervida attività profetica: l'incontro personale avrebbe avuto il sapore più familiare della quotidianità, attraverso l' ascolto attento e, soprattutto, lo studio della parola divina ormai sigillata nella tradizione testuale. Le vicende umilianti dell'esilio e quelle deludenti del ritorno, insieme alI' impatto devastante che le culture egemoni esercitavano sulle giovani generazioni, facevano scricchiolare la fiducia di molti israeliti nel valore o nel significato da assegnare alla testimonianza dei padri su YHWH, sicché s'imponeva un necessario riesame e una seria rilettura dei testi fondanti, per avere una raffigurazione più solida e attendibile del Dio della fede, utile per quei tempi di transizione e di crisi. I frutti maturi e le conseguenze estreme di questa laboriosa metamorfosi antropologica e teologica si sarebbero visti nel lungo periodo, approdando finalmente, dopo l'appassionata denuncia morale di Giobbe e il realismo sconcertante del compassato Qohelet, alle più mature icone di Siracide e Sapienza.

Verso un nuovo volto di Dio

Il libro dei Proverbi, pur nella complessità della sua molteplice stratificazione redazionale, rivela il travaglio di questo delicato passaggio verso una di- versa e non meno avvincente visione di Dio, colto nella sua verità più profonda e nascosta, raggiungendo così un volto meno appariscente, attraverso gli strumenti del processo interpretativo della rivelazione accolta dai padri, Si sta- va gradualmente acquisendo la consapevolezza che la conoscenza personale della divinità non si realizzava più nella remota eccezionalità di un incontro diretto con Dio, ma nell' oscura ordinarietà dell' esperienza di fede che, mediante le pratiche interpretative delle tradizioni religiose precedenti, conduce- va a scoprire una nuova, intima e più coinvolgente presenza di Dio nel mon- do e nella storia. Questo percorso teologico, a guardare il legalismo ottuso dei consolatori molesti di Giobbe o le glosse interpretative dei pii correttori di Qohelet, non fu agevole e dovette incontrare non poche resistenze, come si può leggere tra le righe della stessa redazione finale di Proverbi, dove inerzie conoscitive e il rischio di penose distorsioni e mistificazioni, hanno convinto a inquadrare in senso teologico i punti più difficili da arginare.

È tuttavia merito della riflessione speculativa dei sapienti scribi d'Israele aver prospettato, e con molta audacia, a partire dal IV secolo a.C., la concretezza di un incontro personale con Dio, attraverso la mediazione di una sapienza personificata che, all'inizio (1,20-33) e alla fine (8; 9,1-6.11) della prima sezione, è raffigurata come amabile figura femminile.

In realtà la sapienza è presentata come intimamente legata alI' opera creatrice di YHWH di cui dispensa generosamente i doni materni che permettono ogni forma di vita. Il volto di Dio resta però velato e misterioso, infatti, è sua gloria nascondersi (25,2); e il suo governo del mondo è esercitato con discrezione, per mezzo di una moltitudine di intermediari, finalmente presieduti da una sapienza creatrice e ordinatrice. L'introduzione di questa figura mediatrice serviva a far quadrare i conti di chi prendeva atto, con i suoi strumenti conoscitivi, dell'apparente contraddizione tra antropologia e teologia, fra l'insondabile trascendenza divina e la sensatezza dei giudizi morali formulati dall'uomo. La razionalità del precetto divino consegnato alla fede dei credenti, consenti- va al sapiente, attraverso un'accurata opera di ricognizione di causa-effetto, di formulare il prevedibile esito del giudizio di Dio sulle azioni dell'uomo: ma proprio il giudizio ultimo di Dio era inarrivabile e la figura di YHWH restava sempre un mistero inscrutabile che lo sforzo conoscitivo dei sapienti non poteva mai riuscire a imbrigliare dentro gli schemi di una teodicea rigida e conclusa. Il Signore si offre come un misericordioso e giusto sovrano, insieme fedele e inafferrabile, che garantisce l'affidabilità del giudizio morale del sapiente, mentre nel contempo si sottrae a ogni cattura idolatrica da parte dello stesso credente.

Il redattore di Proverbi, nel tentativo di comporre la statica visione teologica della tradizione deuteronomista con la lezione aggressiva e inevitabile della storia, ha rischiato di presentare un Dio inappagante, dalla configurazione discontinua, dove le zone d' ombra evidenziavano elementi di irrisolta ambiguità. Accanto a una serie di passi rassicuranti che confortano lo scriba timorato sul giudizio etico di Dio, si possono allineare una serie di massime e di aforismi, oltretutto provenienti dalle raccolte più antiche, dove appare in tutta la sua evidenza l'imprevedibile e incommensurabile realtà divina. Vediamo prima alcune affermazioni in linea con la teodicea della tradizione.

«In tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi sentieri. Salute sarà per il tuo corpo
e un refrigerio per le tue ossa» (3,6.8).

«Onora il Signore con i tuoi averi
e con le primizie di tutti i tuoi raccolti; i tuoi granai si riempiranno di grano
e i tuoi tini traboccheranno di mosto» (3,9-10).

«Non temerai per uno spavento improvviso, ne per la rovina degli empi quando verrà,
perchè il Signore sarà preserverà il tuo piede «Il Signore non lascia
ma delude la cupidigia
la tua sicurezza,
dal laccio» (3,25-26). (...)

Ed ecco altri passi in cui Dio mostra la sua imprevedibile e incontenibile trascendenza:

«AlI 'uomo appartengono i progetti del cuore, ma dal Signore viene la risposta della lingua.
Tutte le vie dell'uomo sembrano pure ai suoi occhi, ma chi scruta gli spiriti è il Signore» (16,1-2).

«Il cuore dell'uomo pensa molto alla sua via,
ma è il Signore che dirige i suoi passi» (16,9 e 19,21).

«C'è una via che sembra diritta all'uomo, ma sbocca in sentieri di morte» (16,25).

«La casa e il patrimonio si ereditano dai padri,
ma una moglie assennata è dono del Signore» (19,14).

«Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo
e come può l'uomo comprendere la propria via?» (20,24).

«Il cuore del re è un corso d'acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole» (21,1).

«Non c'è sapienza, non c'è prudenza, non c'è consiglio di fronte al Signore.
Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia,
ma al Signore appartiene la vittoria» (21.30-31).

E infine, con disincantato realismo, si osserva:

«Il ricco e il povero si incontrano,
è il Signore che ha creato l'uno e l'altro» (22,2).

«Il povero e l'usuraio si incontrano;
di tutti e due il Signore illumina gli occhi» (29,13).

Il redattore ultimo ha cercato di far confluire i detti più sconcertanti sulla condotta divina, frutto di una consolidata esperienza umana, difficilmente contestabile, dentro le sponde rassicuranti di una visione teologica innovativa che doveva tuttavia conservare elementi di continuità con la tradizione.

A questo serviva la sezione d'introduzione dei cc. 1-9 e la conclusione di 31,10-31: sposare la sapienza e rallegrarsi dei suoi frutti fino a tesserne l'elogio, significa assegnarle un ruolo guida in ordine al volere divino, in pratica coincidente con la stessa funzione ermeneutica svolta dall'attività scribaIe. Insomma, la via additata per trovare una composizione tra le affermazioni tradizionali della fede e le contrastanti conclusioni del comune buon senso, consisteva proprio nell' incontro felice e benedetto con la Sapienza, sposa e madre. Si proponeva in questo modo un'esperienza religiosa imperniata sulla convergenza tra iniziativa sapienziale e corretta comprensione della Torah, che solo con Ben Sira si spingerà verso quella mirabile e feconda identificazione della sapienza con il libro della legge (Sir 24,23), che grande ripercussioni avrà nel pensiero giudaico e protocristiano.

La parola luogo d’incontro con Dio

A grandi linee, è questo l'articolato quadro religioso delineato dall'ingegnosa e irrisolta teodicea di Proverbi. Il tentativo di coniugare l'affabile e misteriosa trascendenza divina con la dignitosa e terrigena immanenza dell'uomo era iniziato, ma l' esegesi di maniera non sembra poter dire altro su questa controversa ermeneutica teologica: si devono allora tentare altre vie di accesso. L'approccio delle scienze umane, attraverso una rigorosa interrogazione sociologica e antropologica del testo e con l' apporto delle altre fonti, può tentare di circostanziare e contestualizzare la portata reale di queste asserzioni contraddittorie, consentendo alla teologia implicita di uscire dalle nebbie di una tradizione sapienziale che un perdurante luogo comune insiste nel volere astorica e atemporale. In realtà, proprio nella complessità della trama storica e non solo nel chiuso universo letterario, va invece ricercato l'ambiente originale, il linguaggio e la stessa intenzionalità comunicativa di ogni nuova esperienza religiosa.

Se si guarda alla culturologia di Proverbi, a quanto è condiviso e accettato, implicitamente, da parte dello scrivente e dei suoi destinatari, ritengo si possano far emergere alcuni tratti indicativi sfuggiti ad altre investigazioni. Nel libro, accanto all'assenza della funzione templare e davanti a un ruolo defilato della legge, emerge come centrale il primato indiscusso assegnato alla parola viva del sapiente (padre o maestro), oppure del suo antitipo (il malvagio e la prostituta). L'analisi lessicografica, pur con i suoi limitati parametri quantitativi, comprova il ruolo svolto dal campo semantico che ruota attorno a dbr (parola), in un contesto, è bene precisarlo, dove non si dà una presenza autorevole della profezia, della divinazione, del sacerdozio e della legge. Giustamente, è stato fatto notare che «la parola è lo strumento principale nel campo della sapienza e dei suoi contrari», abbracciando sia la parola precettiva della legge, sia quella subdola dei perversi traviatori; e ancora, quella persuasiva dell'anziano e quella aggressiva del beffardo, quella limpida della sapienza e quella seducente della straniera. Inquesta prospettiva si può inoltre vedere l'analisi statistica di termini come «bocca», «labbra» e «lingua», attorno ai quali si sviluppa la cosiddetta «morale del linguaggio».

Il tema della parola è accompagnato da quello dell' ascolto che il figlio, il giovane, il suddito e il discepolo devono dare al consiglio, all'insegnamento o al precetto. Da notare che il redattore presenta il giovane non come inesperto ma come ingenuo (1,4), come chi è «senza genere»: si tratta del giovane che, non avendo ancora ricevuto il seme del precetto divino e l'acqua della parola del saggio o, alI' opposto, il veleno mortale del seduttore o la chiacchiera fuorviante del malvagio, non è in grado di conoscere il bene e il male e non può quindi assumere un comportamento buono o cattivo. L'israelita sapeva che la parola accolta nel cuore, germinando, produce necessariamente il suo frutto (Is 55,10-11): o il sapere secondo Dio o l'inganno del conoscere in proprio. Davanti a questa parola originaria e originante il cuore del giovane si può disporre, dunque, in due modi contrapposti: o all'apertura dell'ascolto o alla chiusura dèl rifiuto, incamminandosi così rispettivamente verso i sentieri luminosi della sapienza o verso i luoghi scabrosi della stoltezza. Per il saggio che permane in un atteggiamento di ascolto si apre la possibilità di diventare «giusto», mentre per lo stolto che si radica in un atteggiamento di rifiuto si spalanca davanti a lui I'habitus dell' empietà e del cinismo. L' interferenza o la sovrapposizione costante che in tutto il libro si stabilisce tra il tema della lingua e termini connessi («bocca» 27 volte, «labbra» 37 volte e «lingua» 16 volte), con le categorie etiche della stoltezza e della saggezza, disegna a tinte forti le contrapposte tipologie del giusto e dell' empio, a seconda del differente esito che la parola di Dio produce nel cuore docile o ribelle.

Questa articolata visione antropologica, imperniata sul primato della parola, ha un sicuro valore storico, perchè spiega il senso della funzione sapienziale in un'epoca di mutamento, collocandosi proprio nel punto d'incontro del testo biblico con la concreta società religiosa in cui il libro è stato prodotto, accolto e trasmesso. La centralità della parola viene così a coincidere con il ruolo sociale dello scriba sapiente e con il suo impegnativo compito pedagogico, dal momento che in un tempo di offuscamento degli ideali e davanti alI' assenza delle autorità, tradizionali o istituzionali, si poteva fare affidamento solo sull'autorevolezza morale di un'argomentazione paziente e persuasiva, affidata alla parola del saggio.

L'irruzione poderosa della parola nella vita del popolo d'Israele aveva prodotto però un effetto non meno sconvolgente nella sua sensibilità religiosa e nella sua diveniente teologia. Come spiega Beauchamp, le interpellazioni originarie della legge e dei profeti avevano cominciato a far posto allo stesso soggetto interpellato: la parola originaria di Dio alI'uomo aveva generato nel cuore del credente la parola di risposta a Dio, facendo accogliere anche questa parola umana come degna di fiducia. Si realizzava così una metamorfosi sorprendente che indicava la reale portata della mutazione antropologica in atto e della stessa intelligenza di fede, che invitava i credenti a entrare in un' età più adulta della storia della salvezza. L'impressionante svolta ermeneutica avvenuta nel processo scritturale d'Israele imponeva all'israelita di ricercare la presenza illuminante di Dio in quel rapporto personale che ogni credente, da li in avanti, doveva stabilire con le pagine sacre, attraverso lo stadio e la preghiera. Il luogo privilegiato dell'incontro con Dio si stava ormai spostando inesorabilmente dal tempio alla sinagoga e la sapienza creatrice e interprete non aspettava il credente dentro gli spazi sacri del recinto templare, ma veniva incontro anche nel cuore dissacrante delle caotiche città della dispersione: gli è solo richiesto di condurre nella quotidianità un'esistenza autentica, misurata dalla docilità all' ascolto della Torah mediata dal saggio.

Studio assiduo della Parola e vigile esistenza quotidiana sono, dunque, per i sapienti i luoghi indissolubili di un percorso di conoscenza che cominciava a dire qualcosa d'inedito della presenza nascosta del Dio dei padri, rivelando anche qualche nuova, timida, linea raffigurativa del suo volto.

Quale sviluppo?

In una città adagiata lungo le rive dell'Oronte, quando i gruppi ebraici non avevano ancora acquistato peso politico e il culto sinagogale non aveva ancora assunto forma istituzionale, un ceto intellettuale colto e timorato in un oscuro tempo di mutazione aveva interpretato, nelle pagine di Proverbi, la ricerca della sapienza come tentativo sponsale di incontrare Dio nel proprio luogo e nel proprio tempo. L'opera di mediazione di questi scribi sapienti, attraverso un processo teologico non sempre lineare, permetterà alle generazioni successive di entrare a piccoli passi nel segreto di una presenza divina nascosta fin dentro l' opaca quotidianità della storia.

Lezione magnifica e duratura che dalla tradizione sapienziale giungerà fino al disvelamento pieno del volto di Dio in Cristo, come ci tramanda Matteo a conclusione del parlare in parabole del rabbi galileo: ogni scriba divenuto discepolo saprà trarre dal tesoro della parola accolta «cose nuove e antiche» (M t 13,51). E com'è annunciato nella dirompente rivelazione di Gesù alla samaritana: non c'è luogo o tempo dell'esistenza dove Dio non si lascia incontrare da chiunque lo cerca «in spirito e verità» (Gv 4,24).

(da Parole di vita 1, 2003)

Letto 2412 volte Ultima modifica il Domenica, 04 Marzo 2007 23:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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