Vogliono lasciare queste formule “invecchiate” in favore di preghiere moderne, contemporanee.
Ora per comprendere questa scelta della Chiesa, bisogna anzitutto capire che i salmi, come tutta la parola di Dio, non sono parola superata.
Non appartengono solo all’antica economia, ma appartengono anche alla nuova.
Sono parola aperta. Aperta perché capace di assumere tutta la ricchezza del mistero di Cristo. Se voi prendete in mano il testo della liturgia delle Ore, vi accorgerete che in testa al salmo c’è una frase del Nuovo Testamento o dei Padri della Chiesa, che aiuta a leggere in chiave cristiana quando lo prega un cristiano. Appunto perché la parola di Dio essendo aperta è capace di assumere tutta la ricchezza dell’economia che avanza.
Quindi noi i salmi li preghiamo da cristiani. Non ci mettiamo nella prospettiva dell’Antico Testamento. Se io prego il Miserere, il salmo 50 io non penso solo a David che in quel giorno ha espresso il suo pentimento. Io esprimo adesso, qui, il mio pentimento, il mio cuore spezzato. Come se ne fossi io stesso l’autore in questo momento. L’espressione è di Cassiano: “Tamquam auctores eius facti”.
E il Miserere può esprimere compiutamente tutta la metanoia cristiana. Anzi direi che è forse l’espressione più pregnante dell’atteggiamento penitenziale.
I salmi sono preghiera estremamente attuale. E, lo sapete per esperienza, esprimono tutta la gamma degli atteggiamenti religiosi. C’è tutto nei salmi. I salmi esprimono tutta la gamma degli atteggiamenti religiosi cristiani ed umani. È difficile immaginare qualcosa di più bello e di più autentico. Più vado avanti e più i salmi mi piacciono. Prendete questo, se volete, come una testimonianza .
Ma c’è una ragione ancora più profonda ed è questa: i salmi sono parola ispirata, sono l’unico grande libro di preghiere che la Bibbia ci ha consegnate. Sono quindi parola di Dio, e qui mi vengono in mente la parole di Pascal: Solo Dio parla bene a Dio.
Quando prendi i salmi in mano, anzitutto ti metti in ascolto. Sono parola di Dio, vengono dall’alto. Poi ne fai la tua parola, li restituisci a Dio, e così si attua il dialogo. Così in un primo tempo lo ascolti e in un secondo momento gli rispondi, attraverso la stessa pagina.
Il Salmo è strumento privilegiato di dialogo.
Tuttavia bisogna dire che c’è una certa difficoltà a pregare con i salmi, difficoltà che viene dal nostro soggettivismo. E qui mi spiego attingendo un po’ dall’esperienza. Quante volte si sente questa obiezione da parte dei giovani: va bene, i salmi saranno molto belli, ma sono un testo che la Chiesa mi mette tra le mani indipendentemente dal mio stato d’animo, dal mio oggi, dalla mia situazione personale che è sempre irripetibile. Io ho il cuore pieno di gioia e mi mettete in mano una lamentazione; oppure sono pieno di tristezza e il salmo è un canto di gioia. Come faccio a fare mia quella preghiera?
Ecco qui bisogna rendersi conto che la preghiera per essere autentica, deve saper superare i limiti del soggettivismo. Che sia impegnata l’autenticità del nostro cuore, va bene. Sono io che prego e in quelle formule devo travasare il mio intimo.
Ma che la mia preghiera debba essere coartata entro gli spazi angusti del mio io, questo non va bene.
La liturgia è una scuola di preghiera, si impara a pregare sulle ginocchia di questa santa madre Chiesa. Claudel diceva che sulle sue ginocchia ha imparato tutto.
Si prendono quelle formule divine dalle dimensioni immense e si cerca di farle nostre e di incanalare in quelle formule ciò che di più bello c’è nel nostro cuore e così si trova veramente la strada del cuore di Dio. Quando preghiamo da soli, quando spremiamo le nostre corde interiori, quello che ne esce è spesso molto misero. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci insegni a pregare. Gli apostoli hanno trovato Gesù, e noi abbiamo continuato nella Chiesa. Sulle sue ginocchia, attraverso le formule che ci mette sulle labbra, noi troviamo la preghiera più autentica.
E cosi superiamo il soggettivismo e ci mettiamo in comunione con tutta la grande chiesa. E se siamo nella tristezza e abbiamo sulle labbra un canto di gioia, gridiamo la gioia per quelli che sono nella gioia e se siamo nella gioia e il canto è un canto di tristezza, gemiamo con quelli che piangono. E così non saremo più atomi isolati, ma saremo cellule di un grande corpo, non saremo più un piccolo rigagnolo isolato, che il primo raggio di sole può asciugare, ma entreremo nell’alveo del grande fiume della preghiera ecclesiale.
Mens nostra concordet voci nostrae
Ultima cosa. Va bene, le formule sono belle, ma a che serve se non sono collegate con il nostro atteggiamento interiore? E qui mettiamoci un momentino alla scuola di San Benedetto. La grande frase benedettina che ci guida è: Mens nostra concordet voci nostrae. La nostra mente deve essere in accordo con la nostra voce.
Questa direttiva è estremamente importante. C’è il rischio che tutto si riduca ad un suono vuoto di forme e se si muovono soltanto le labbra, ma il cuore rimane immobile, non abbiamo preghiera. Allora anche un grammofono, un pappagallo sarebbe capace di pregare. La preghiera si ha quando il movimento superficiale delle labbra si accompagna al movimento profondo del cuore in senso evangelico.
Le formule non sono la preghiera, sono soltanto un mezzo di preghiera, quindi ciò che conta di più non è la quantità delle formule, ma l’intensità dei sentimenti che si esprimono con le formule.
Una Maria Egiziaca ha potuto arrivare a forme altissime di contemplazione, che secondo la storia o la leggenda, han finito per sollevare il suo corpo in alto trasfigurandola, ripetendo semplicemente questa formula: “Signore, Figlio di Dio, abbia pietà di me peccatrice”. Era stata una donna di strada. Una semplice formula le ha aperto la via alla più alta contemplazione.
Un monaco del secolo scorso, un camaldolese per esempio, che aveva la regola di dire tutto il salterio ogni giornata, poteva sbrigare velocemente l’intero salterio in un giorno, senza pregare. Ciò che conta non è la quantità delle formule, ma è l’intensità dei sentimenti che attraverso le formule si esprimono.
Sapete che questa predica Gesù l’ha fatta con molta chiarezza.
L’ ha fatta contro due categorie di persone: contro i pagani e contro i farisei.
Dei pagani dice: “Non moltiplicate le formule come fanno i pagani”. L’ideale dei pagani era il “poliloghein”, il dire molte parole, il dirne tante che alla fine Dio si stancasse – fatigare Deum – e una volta stancato finisse per concedere ciò che gli era chiesto. E’ una mentalità tipicamente superstiziosa. E allora dice Gesù: Voi non fate come loro.
Dei farisei dice che: “affettano di fare lunghe preghiere”, il termine greco indica proprio un lungo pregare, che è soltanto apparenza, ma non è realtà. Perché non è realtà? Perché “questo popolo mi onora con le labbra, - qui Gesù cita Isaia – ma il suo cuore è lontano da me”.
Se il cuore non è orientato a Dio attraverso una vera conversione, non c’è vera preghiera. E guardate che questo fa una critica radicale al nostro modo di pregare.
Certo, siamo realisti, non pretendiamo una attenzione continua a tutte le formule che diciamo.
Non sono riusciti neanche i santi a fare questo. L’importante non è sintonizzare la mente con le singole parole, che è superiore alla capacità della nostra psicologa, ma un atteggiamento di presenza a Dio di fede autentica, di amore vibrante, che poi, si afferra all’una o all’altra delle formule e così riesce ad andare a lui.
Su queste ultime idee si erano già espressi con chiarezza i monaci antichi. Cassiano dice, parlando dei padri del deserto: “Non pongono la loro compiacenza nella quantità dei versetti, ma nella loro comprensione. Ritengono perciò molto più utile dire dieci versetti con la necessaria calma contemplativa che eseguire tutto il salmo con quella confusione mentale che solitamente è generata dalla fretta di arrivare in fondo”. Più chiaro di così si muore.
Evagrio dice: “Non compiacerti nella molteplicità dei salmi, essa getta un velo sul tuo cuore. Vale più una sola parola detta nell’intimità, che mille parole dette da lontano”.
Con questo non si vuole svalutare la parola. Essa è una grande cosa quando nasce dal cuore. E’ un ponte che mette in comunicazione due mondi interiori. Quando parlo con Dio si crea una comunicazione tra il mio cuore e il cuore di Dio. Questo è bello e grande! Ma questo lo fa solo la parola vera, non il movimento meccanico e distratto delle labbra!
Trattiamo il Signore da Signore. E’ molto esigente perché vuol dire dargli il primo posto in tutto, mettere il colloquio con Lui al di sopra di tutto “Culmen et fons”, “culmine e fonte”.
Periodicamente presenteremo, per i visitatori, dei salmi con un commento che può permettere, a chi lo desidera, di pregarne uno interiorizzandolo.