da: P. ADRIEN NOCENT O.S.B.
Abbiamo fatto lo stesso per la preparazione dei doni che devono essere trasformati ed offerti al Padre e abbiamo poi studiato come celebrare questa parte.
Abbiamo anche studiato la teologia dell’eucaristia, la struttura delle preghiere eucaristiche e la loro teologia partendo dalla preghiera di benedizione ebraica e confrontando i diversi modelli di preghiere eucaristiche. Come per le altre parti della celebrazione eucaristica, vediamo ora come concretamente celebrare l’eucaristia.
Tutto nella celebrazione eucaristica è sacro e nobile, tuttavia a partire dal dialogo del Prefazio stiamo nella parte più nobile e sacra della celebrazione. Si deve, di conseguenza, evitare ogni precipitazione e nervosismo. Non si celebra correndo e con la preoccupazione della rapidità. Per questo motivo si deve esaminare se la domenica si devono celebrare tante messe di seguito. Questa moltiplicazione delle celebrazioni rischia di togliere nel celebrante, se gli orari delle messe sono molto ravvicinati, o se egli deve celebrare due o tre messe, la pace, la serenità assolutamente obbligatoria per questa celebrazione che altrimenti diventa formale. Il primo punto che si deve esaminare è il numero delle celebrazioni, tenendo conto di elementi numerosi tra i quali non si deve proporre come primo punto la comodità.
Quando i fedeli danno la risposta ‘Amen’ alla preghiera sopra le offerte, si deve rispettare un vero momento di silenzio, una pausa importante, destinata a provocare la disponibilità spirituale e psicologica dei partecipanti. Il celebrante potrebbe in due parole esortare i fedeli ad una maggiore attenzione, chiedendo un silenzio perfetto e che tutti ascoltino. Si potrebbe ricordare anche, per esempio, che stiamo per attuare il sacrificio del Calvario che offriremo con Cristo per il rinnovamento del mondo e si può anche specificare l’angolo di celebrazione del sacrificio proprio della festa che stiamo celebrando. Non si può dire tutto questo ma scegliere ciò che può essere detto e farlo molto brevemente per non annegare ciò che è centrale: la preghiera eucaristica. Non fare una catechesi né un’omelia di questa monizione se la facciamo. In ogni caso, anche se facciamo una monizione breve, essa deve essere seguita da un vero momento di silenzio. Dopo l’inizio del dialogo del Prefazio, non si deve più sentire nessun movimento dell‘assemblea ed è chiaro che nessuno deve muoversi e che la questua deve essere finita, nessun rumore né di passi, né di soldi.
La scelta della Preghiera eucaristica dipende dal celebrante che deve regolarsi con motivi oggettivi e non secondari, come sarebbe la lunghezza di tale preghiera, ma si deve scegliere la Preghiera eucaristica secondo che sia una festa, una domenica con tale intenzione, ecc. Il celebrante deve riflettere a questa scelta prima della celebrazione e non al momento stesso in cui inizia il dialogo del Prefazio.
Il canto del Santo non dovrebbe essere luogo e ridondante, perché così si rompe tra il dialogo, il Prefazio e il corpo della Preghiera eucaristica.
La Preghiera eucaristica non deve essere letta o detta ma deve essere proclamata, come il Prefazio se non viene cantato. Il tono della voce dovrebbe essere diverso in questo momento e non lo stesso che per la preghiera sopra le offerte che ha preceduto.
I gesti non devono essere precipitati. Il gesto richiesto è quello non della crocifissione ma dell’orante. Niente impedisce che tutti i fedeli adottino anche loro il gesto dell’orante che non è un atteggiamento specificatamente sacerdotale. Sarebbe auspicabile, almeno per il Padre nostro, che tutti i fedeli adottino il gesto dell’orante. Si deve combattere contro un certo strano pudore di gesti.
Come abbiamo detto, l’altare non è stato usato prima della preparazione dei doni. Non si debbono avere troppe cose sull‘altare durante la celebrazione dell’eucaristia. L’ideale sarebbe una unica patena grande ed un unico calice che significano meglio, un solo corpo, un solo sangue. Al momento della comunione i pani e il sangue sono distribuiti nei vasi portati in questo momento all’altare.
La dossologia che conclude la Preghiera eucaristica è strettamente sacerdotale; di conseguenza, non deve essere né detta, né cantata dai fedeli che devono soltanto acclamare “Amen” . Questo Amen può essere ampliato. Il celebrante deve elevare il pane e il calice fino alla fine della risposta Amen. Questa elevazione conclusiva era la sola fino al secolo XII, quando a Parigi e dintorni è stata introdotta l’elevazione alla consacrazione per motivi anzitutto di controversia. Il problema non era di affermare la presenza reale ma di affermare l’efficacia immediata delle parole della consacrazione, perciò all‘inizio era elevato soltanto il pane per affermare che era consacrato prima del vino. Questa usanza ha diminuito fortemente il significato e l‘impatto dell‘elevazione durante la dossologia a tal punto che questa elevazione durante la dossologia era qualche volta chiamata “piccola” elevazione, ed è divenuta universale nell’anno 1570. Sembra pastoralmente importante ben realizzare questa elevazione alla dossologia e sarebbe auspicabile che dopo l’Amen i fedeli rimanessero inchinati, mentre il celebrante rimane con il pane e il vino alzati fino al momento in cui si inizia la monizione al Padre nostro. In ogni caso sia fatta una pausa tra la dossologia e la monizione al Padre nostro che inizia il rito della comunione. In molti casi questo rito della dossologia è realizzato molto male e senza significato e dignità.
Il rituale della comunione inizia con il Padre nostro. Prima della frazione del pane viene il segno di pace. Questo segno ha importanza se è fatto con consapevolezza. Alcune volte il celebrante potrebbe, prima di iniziare la preghiera per la pace, ricordare l’importanza del segno e la sincerità che deve comportare. Evidentemente in modo brevissimo. Si deve assolutamente evitare di moltiplicare le “omelie” in ogni parte della celebrazione. Se delle monizioni sono utili, sarebbe bene non farle tutte nella stessa celebrazione ma fare una monizione in una celebrazione, un’altra in altra celebrazione, ecc. Lasciare una grande libertà nella realizzazione del segno di pace ma il gesto deve essere fatto tra tutti coloro che comunicano.
La frazione non è soltanto un gesto che era necessario prima che le piccole ostie fossero introdotte, ma nella Chiesa dei primi tempi la “Fractio panis” designava l’intera celebrazione eucaristica in un modo più degno che dalla parola “Missa” che significa “rinvio”. E’ il segno che fa riconoscere Cristo. I discepoli d’Emmaus riconoscono Gesù alla frazione del pane. Ma è anzitutto il segno che noi, pur numerosi, siamo un unico Corpo,quello di Cristo. Il messale italiano, nella sua introduzione scritta dalla CEI, raccomanda di rendere più visibile e significativo il rito della frazione e raccomanda, per esempio di consacrare, oltre alle piccole ostie, alcuni grandi che permettono di dare alla frazione una certa consistenza.
A proposito della frazione è doveroso ricordare l’attenzione che dobbiamo dare alla perfezione del segno e non soltanto alla validità di ciò che facciamo . Noi occidentali siamo molto attaccati alla validità delle cose. Niente da dire contro questo, se però non si dimentica l’importanza di compiere un segno in tutta l’ampiezza dei suo significato. La nostra fede non ci permette di mettere in dubbio che Cristo sia presente nel pane consacrato, avanzato dopo la celebrazione eucaristica e conserva nel tabernacolo. Però questa riserva trova il suo legittimo motivo per i casi urgenti, per coloro che non hanno potuto celebrare l’eucaristia, per gli infermi e i moribondi, oppure adesso spesso in certe regioni, per mancanza di sacerdote, dove la Messa non è stata celebrata, e anche per l’adorazione eucaristica. Ma la riserva eucaristica non deve servire nel momento stesso in cui si celebra l‘eucaristia. Benché valida, la comunione conferita con la riserva mentre si celebra l’eucaristia non rispetta evidentemente la qualità del segno. Purtroppo questo modo di fare è adottato spesso perché pratico. Qui ricadiamo in una mentalità tipicamente occidentale: la praticità. Il sacrestano è così in pace quando ha fatto consacrare duemila ostie.., non si deve pensare più al numero delle ostie per ciascuna Messa. Ma anche in alcuni piccoli gruppi o piccole cappelle questo modo di fare esiste spesso. I fedeli hanno il diritto di vedere e comunicare con segni chiari e non soltanto validi. Abbiamo già indicato i modi di fare per evitare l’utilizzazione indebita della riserva eucaristica. Se il celebrante, se i fedeli sono educati a credere e volere la qualità del segno, non ci sarà nessuna difficoltà vera nella sua realizzazione perfetta.
Se il rito della comunione non deve essere accelerato, non deve però essere indebitamente prolungato. Si può chiedere ai diaconi e anche a certi fedeli di aiutare a distribuire la comunione. Ma non è evidentemente lecito ai sacerdoti, eccetto in caso d’infermità, di essere seduti mentre al loro posto laici distribuiscono la comunione. Questo sarebbe un abuso e un controsegno del sacerdozio dei fedeli e del sacerdozio ordinato.
Il segno più perfetto, e lo riconosce così la Costituzione sulla Liturgia e altri documenti, si realizza nella comunione sotto le due Specie. Il permesso di realizzare questo dipende dalle feste ma anche dal vescovo. Sono realizzazioni semplici:
1. Il sacerdote colloca alla sua sinistra un ministro, anche laico, che tiene il calice e il celebrante, tenendo la patena, immerge l‘ostia nel prezioso sangue prima di conferirla al fedele.
2. Il sacerdote dà l’ostia nella mano del fedele, il quale se lo desidera, immerge l’ostia nel calice tenuto come nel numero 1 da un ministro.
Si raccomanda, almeno alcune volte di avvertire i fedeli dicendo: Tutti coloro che lo desiderano, dopo aver ricevuto l’ostia nella mano, la immergono nel calice a loro presentato, poi si comunicano.
Quando il rito della comunione è finito, si fa un momento significativo e dunque sufficiente di silenzio dedicato al raccoglimento privato. Non si dovrebbe in questo momento né cantare né suonare l’organo
Le rubriche permettono di non pulire i vasi sacri subito dopo, ma quando la celebrazione è finita. Difatti, non è conveniente farlo davanti a tutta l’assemblea. Oppure i vasi si lasciano sopra l’altare o, meglio, sono portati alla credenza e coperti o anche sono portati nella sacrestia. Dopo la celebrazione vengono puliti dal celebrante o da un ministro.
Se, per la liturgia della parola, l’altare non deve essere usato e dunque la colletta viene proclamata dalla cattedra, per la preghiera dopo la comunione che conclude la celebrazione eucaristica, essa può essere proclamata dall’altare. Si può anche proclamarla dalla cattedra, da dove, in questo caso, si dà la benedizione prima del rinvio.
Dopo la preghiera dopo la comunione e prima di dare la benedizione, è il momento di dare ai fedeli le comunicazioni importanti che non si devono fare tra la proclamazione del vangelo e l’omelia. Se non è stato fatto all’inizio della celebrazione come si dovrebbe, il celebrante presenta all‘assemblea un eventuale sacerdote che non appartiene alla comunità ed è venuto a concelebrare l’eucaristia.
Il congedo non dovrebbe essere: “La Messa è finita”, abbiamo detto il controsenso di questo avviso. Sarebbe meglio utilizzare altre formule previste.
Non abbiamo detto niente di canti e dell’organo.
I canti rappresentano una pesante difficoltà. Difatti, si dovrebbe evitare di cantare un qualsiasi canto d’entrata, un qualsiasi canto dell’ordinario della Messa, un qualsiasi canto responsoriale, un qualsiasi canto alleluiatico, un qualsiasi canto di comunione anche se avessero un minimo rapporto con i testi proposti dal messale. Facendo così, è chiaro che provochiamo una certa povertà celebrativa. Per esempio, cantare sempre come canto responsoriale “La tua parola è verità” non è senza legame con il testo che precede, ma il messale propone un’antifona e un salmo che corrispondono con la lettura che precede. Cantare un canto eucaristico come canto di comunione non rispetta la ricchezza proposta dal messale che propone spesso il canto di un brano del vangelo, sacramentalizzando così la parola proclamata e diventata eucaristia.
Ma è chiaro che questa varietà ogni settimana pone problemi pesanti.
Come risolverli?
1. I cantori devono ricordarsi che il canto più importante nella celebrazione della parola è il canto responsoriale. Dunque l‘attenzione del Maestro di coro deve concentrarsi su questo punto. Come? Il sistema più semplice sarebbe cantare i versetti del salmo utilizzando una cantilena a scelta, l’antifona invece viene recitata da tutti e i fedeli dovrebbero averne il testo sotto gli occhi. Dunque il salmo è cantato dalla scuola e il ritornello recitato dai fedeli. Lo stesso per il canto della comunione. Tutto questo fino al momento in cui sarà trovato un vero canto adatto alla Parola del giorno.
2. Per la scelta del Kyrie ecc., scegliere canti semplici che tutti possono cantare facilmente e distribuire libretti con i canti.
Come abbiamo già detto con insistenza, si deve anzitutto formare i lettori e scegliere i migliori. Abitualmente il difetto dei lettori è doppio, non aprono la bocca e mangiano le parole e leggono troppo velocemente. Abbiamo detto che il lettore deve aver studiato il suo testo secondo angolature diverse:
1. la lettura materiale del testo, aver superato le difficoltà di lettura e dell’uso del microfono.
2. aver studiato il senso della lettura e avere pregato la lettura.
Chiaro che tale realizzazione si chiama “celebrare” e richiede una grande applicazione mentale e spirituale.
Non si potrebbe realizzare tutto nello stesso momento. Ci si deve concentrare su un tale punto, poi su un altro. A mio parere una buona realizzazione richiede al minimo un anno di concentrazione e di sforzo con un lavoro di equipe nella carità e la volontà di realizzare una celebrazione a gloria di Dio.
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