Poiché l’eucaristia si riferisce ad un pranzo si capisce che per celebrarla veramente si deve mangiare e bere, come ha ordinato il Signore. Questa Cena del signore, probabilmente il giovedì, attualizzava nel presente il sacrificio di salvezza anticipato; invece noi nella nostra celebrazione eucaristica attualizziamo il sacrificio di salvezza già offerto. Abbiamo sottolineato che Cristo, come uomo era legato alla storia e dunque al tempo e anche allo spazio, ma come Dio non esiste per lui né tempo né spazio.
Il pranzo nel quale Cristo ha voluto inserire la sua Pasqua di morte e risurrezione era il rito ebraico della pasqua. Notiamo che nella lingua ebraica di dice Pesah, nella lingua aramaica Pasqa. Vedremo che, dopo la rovina del Tempio il rituale ha subito delle necessarie modificazioni.
Il rito della Pasqua contiene diverse preghiere di benedizione (Berakah), utilizzate da Cristo. Diamo qui alcuni elementi elementari del rito, tentando di indicare i momenti nei quali Cristo ha inserito la sua Pasqua.
Il rito si celebra abitualmente in casa o in una sala riservata, come fu il caso per Cristo e i suoi discepoli.
Il giorno precedente è stata fatta la caccia del pane lievitato nella casa; non può rimanere un pezzo di questo pane e caso mai questo accadesse, il padre di famiglia dice una preghiera contro questo pane. Si ricorderà la frase di san Paolo: “Purificatevi del vecchio lievito perché siete azzimi”.
Sulla tavola, abitualmente rettangolare, una tovaglia. I partecipanti sono sdraiati attorno la tavola. Presiede il padre di famiglia, un figlio piccolo, è sdraiato ad un angolo della tavola e durante il pranzo interrogherà suo padre per sapere il significato di ciò che si fa.
Sulla tavola un vassoio e delle coppe.
Nel vassoio assai grande e abitualmente rotondo sono disposti:
1. Tre azzime una sull’altra. Queste tre azzime simboljzzano le tre misure di farina che Abraham aveva consigliato a Sara per preparare i pani ed anche i sacerdoti, i leviti e tutto Israele.
2. Una zampa davanti di agnello arrostita, ricordo del sacrificio pasquale: abitualmente solo l’osso con un po’ di carne. Quando esisteva il tempio, l’agnello era portato al tempio, sacrificato e il suo sangue sparso sull’altare, poi, portato a casa era arrostito e mangiato. Adesso che non esiste più il tempio e dunque non si fa più il sacrificio, si mangia soltanto una zampa.
3. Un uovo sodo per ricordare il sacrificio levitico che i padri, convenuti a Gerusalemme, offrivano e mangiavano prima dell’agnello pasquale. Si preferisce l’uovo perché ha una superficie che non ha principio né fine ed è considerato il simbolo dell’eternità della vita.
4. Erbe amare: sedano, lattuga e indivia o altra insalata simile.
5. Una marmellata chiamata “Charoseth”, composta di frutta che ricorda, per il suo aspetto il materiale col quale gli Ebrei costruivano le città in Egitto.
6. Aceto (o acqua salata o succo di limone) che viene posto fuori del vassoio.
Come si svolge il pranzo pasquale.
1. Si recita una formula di benedizione e si beve un primo bicchiere di vino. Coloro che hanno letto la Didachè, antico testo giudeo-cristiano verso l’anno 85.90 e che racconta un agapé cristiana e forse anche una eucaristia hanno visto che si inizia da un bicchiere di vino. La formula è molto simile alla nostra preghiera attuale per il vino: “Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, re dell’universo, tu che hai creato il frutto della vigna”.
2. Si lavano le mani.
3. Si mangia una foglia di erba (abitualmente il sedano) intinta nell’aceto, recitando prima la benedizione usuale per i frutti della terra.
4. Si prendono tre azzime, una sull’altra e si divide in due quella di mezzo; una metà si dispone in luogo dove non sia visibile, per esempio sotto la tovaglia, l’altra parte si ricolloca tra le due intere.
5. Si riempie un secondo bicchiere di vino e poi si legge il formulario detto “Haggadà” (narrazione) che contiene il racconto e gli insegnamenti sull’uscita dall’Egitto e che si conclude con i due primi salmi dell’Hallel. Si beve allora il secondo bicchiere di vino.
Hallel, cioè il salmo 113, 9 seg. Non a noi Signore, non a noi ma dà gloria al tuo nome. Il salmo 114, 1-9 e 115, 10-11: Ho amato perché il signore ha esaudito la voce della mia preghiera. Il salmo 115, 12-18: che dare al Signore per tutto ciò che mi ha dato. Il salmo 116: Tutte le nazioni lodate il Signore. Il salmo 117: Lodate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia. Qui si dicono soltanto le due prime strofe (ciò che rimane sarà detto dopo)
6. Si lavano le mani.
7. Si prendono le tre azzime, la prima e la terza intera e la seconda spezzata.
Si recita la preghiera di benedizione per il pane, quella con cui si ringrazia Dio di averci dato il comando delle azzime: si mangia quindi un pezzetto della prima e della seconda azzima. sembra che sia in questo momento che Cristo abbia detto distribuendo il pane: “Questo è il mio corpo”.
8. Si mangia una foglia di erba amara (si usa generalmente la lattuga) con un po’ di composta di frutta, facendo precedere l’atto da una benedizione.
9. Si fa il pasto serale. Si inizia con un uovo e un pezzo di carne.
10. Si mangia un pezzo di azzima che era stato riposto, detto afiqomen, che sostituisce il sacrificio che si mangiava dopo il pasto ma che non si fa più dopo la distruzione del tempio.
11. Si lavano le mani come sempre dopo il pasto e si recita il birkath-hamazon, cioè azione di grazia e poi si beve il terzo bicchiere di vino con la benedizione relativa. Sarebbe in questo momento, dunque dopo il pranzo, che Cristo avrebbe distribuito il calice del suo sangue.
12. Si termina con i salmi che rimangono dell’Hallel (vedere 5).
13. Si recitano vari inni di lode a Dio e si beve un quarto bicchiere di vino. Ricordiamo che il vangelo nota “Detto l’inno..
Durante il rito il più giovane della famiglia pone le domande. Per esempio; Perché tutte le altre sere mangiamo indifferentemente pane lievitato e pane azzimo, questa sera solamente pane azzimo?
Abbiamo visto che durante il rito vi sono parecchie preghiere di benedizione (Berakah) che Cristo ha utilizzato. Queste preghiere hanno una struttura particolare che è passata nelle Chiese cristiane con alcune modifiche. Per capire le nostre Preghiere eucaristiche occorre partire dalla struttura della preghiera di Benedizione ebraica. Vedremo che questa si è conservata meglio nella Chiesa di Antiochia, la quale ha seguito fedelmente la struttura della Benedizione ebraica, introducendo in essa ciò che è cristiano. Questa struttura è stata ripresa nelle nuove Preghiere eucaristiche utilizzate adesso e che studieremo. Invece la Chiesa alessandrina, pur rispettando nelle grandi linee la Benedizione ebraica ha introdotto alcune modifiche che il nostro Canone romano (Preghiera I) dell’epoca di sant’Ambrogio di Milano (Secolo IV) ha ripreso. Ambrogio e anche Roma avevano relazioni con Alessandria.
Vediamo ora in modo comparato le diverse preghiere
Iniziamo con la preghiera ebraica.
1. L’acclamazione sorge alla vista delle meraviglie che Dio ha fatto per il suo popolo.
2. Sappiamo ciò che è l’anamnesis. Un ricordo a Dio di ciò che ha fatto e che noi attualizziamo davanti ai suoi occhi affinché veda e si ricordi. Tutte le preghiere hanno l’anamnesis, evidentemente la preghiera ebraica soltanto l’anamnesis dell’Antico Testamento. Le altre Preghiere hanno l’anamnesis dell’Antico e del Nuovo Testamento, cioè la venuta di Cristo, la sua morte, la sua risurrezione, il suo ritorno alla fine dei tempi. La Preghiera I ha soltanto l’anamnesis del Nuovo Testamento (4) . Alcune volte, come nella Preghiera II, l’anamnesis può consistere in una sola parola.
Tra il 2 e il 7 le Preghiere cristiane introducono gli elementi cristiani, cioè:
3. Istituzione dell’eucaristia
4. L’anamnesis dei misteri di Cristo
5. Questo è il centro e il motivo principale dell’istituzione dell’eucaristia. L’offerta del sacrificio al Padre.
6. L’Epiclesi. Parola composta di due parole greche. Epi che significa sopra, e la parola Kalein, kalo, che significa chiamare. Il radicale greco kal si rovescia e, la vocale a si prolunga in è: Kal = Kla = Klè. Epiklèsis = chiamata sopra. Si, chiede al Padre d’inviare il suo Spirito per operare il cambiamento del pane e del vino e dei partecipanti (6), Nella Preghiera antiochena è soltanto un’unica Epiclesis che chiede al Padre d’inviare il suo Spirito sul pane e sul vino affinché coloro che lo mangiano e lo bevono siano confortati nella fede e nell’unità, e... Tutte le Preghiere orientali di questa linea hanno questa formula epicletica. Nelle nostre Preghiere attuali è stata introdotta una prima epiclesi, prima della consacrazione e che chiede che il pane e il vino siano consacrati, poi viene una seconda epiclesi che chiede che coloro che mangiano il pane e il vino siano confortati nella fede, l’unità, ecc. Si è voluta evitare l’unica epiclesi dopo la consacrazione, malgrado la sua formulazione più chiara e unita perché si voleva insistere sull’efficacia diretta delle parole della consacrazione. Però notiamo che le chiese orientali cattoliche utilizzano l’unica epiclesi dopo la consacrazione. La Preghiera alessandrina non ha sempre una vera epiclesi prima della consacrazione ma soltanto una domanda di consacrazione senza che l’intervento dello Spirito sia richiesto. Nella nostra Preghiera I non esiste neanche la seconda epiclesi, non viene richiesto in parole espresse chiaramente l’intervento dello Spirito né per la consacrazione, benché si sappia che la trasformazione del Pane e del vino sia dovuta all’intervento dello Spirito come la trasformazione di coloro che comunicano.
7. Intercessioni, significa le richieste fatte al Padre.
Esistono in tutte le Preghiere verso la fine. La Preghiera alessandrina e la nostra Preghiera I ha due posti per queste intercessioni. Il secondo posto è il Memento per i morti, malgrado parole antiche come refrigerii lucis et pacis cioè il banchetto di luce e di pace richiesto per i morti che era soltanto utilizzato per le messe per i defunti.
8. La Dossologia. Due parole greche legate. Doxa che significa Gloria, lode e Logos che significa qui modi di fare. Dunque breve inno di lode finale che dà il significato globale di ciò che è stato fatto.
Nella nostra liturgia romana è stata uniformata la Dossologia. Nelle preghiere orientali sono variabili e legate intimamente al contenuto particolare della Preghiera che la precede.
Si vede che la Dossologia è la conclusione di tutta la Preghiera eucaristica sacerdotale e non ha senso farla dire o cantare da tutti i fedeli i quali, secondo la più antica tradizione devono cantare soltanto Amen, anche ripetendo parecchie volte l’acclamazione.
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