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Giovedì, 19 Maggio 2016 10:29

Le origini dell'antico Israele nell'età del Ferro I - prima parte

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Premessa

UNA STORIA BASATA SULL'ARCHEOLOGIA

Gli studi sulla storia dell'antico Israele sono stati per molto tempo condizionati da una "sudditanza alla Bibbia": le fonti esterne - essenzialmente le scoperte archeologiche che avevano riferimento a luoghi, persone, vicende presenti nella Bibbia - erano utilizzate con l'obiettivo di confermare l'attendibilità storica del testo biblico. Si chiedeva cioè all'archeologia di dimostrare che "la Bibbia aveva ragione".

Così la storia antica di Israele veniva per lo più ricostruita accettando come storica la "trama" essenziale del racconto biblico e aggiungendovi approfondimenti e spiegazioni che le scoperte archeologiche permettevano di fare, ma restando il più possibile fedeli alle linee del racconto biblico. Insomma, il peso schiacciante della Bibbia ha impedito a lungo di formulare un progetto alternativo di ricostruzione propriamente storica. Il dato archeologico ha continuato in molti casi ad essere utilizzato in subordine al testo biblico o al suo servizio, e così si è continuato a fare un uso strumentale dell'archeologia. Anche perché la maggior parte delle storie dell'antico Israele pubblicate fino a non molti anni fa erano scritte da studiosi della Bibbia e non da storici o archeologi orientalisti.

Ma a partire da circa 40 anni fa almeno due nuovi elementi hanno cominciato a far capire che ricostruire la storia dell'antico Israele accettando come storica la trama narrativa della Bibbia era un'operazione sbagliata.

1) Alcuni importanti studi a metà anni '70 hanno chiarito che i racconti su Abramo e i Patriarchi così come li leggiamo erano stati scritti in epoca molto recente rispetto a quello che si credeva e costituivano un racconto ideale che rifletteva gli interessi e i problemi dell'epoca in cui erano stati scritti e non una realtà storica antica. Quindi, anche se dietro quei racconti poteva essere rimasto il ricordo di qualche personaggio antico, non si poteva parlare di una "epoca dei Patriarchi" risalente addirittura al 1800 a.C. (come purtroppo capita ancora di leggere, ad esempio, nella maggior parte dei sussidi destinati alla catechesi di ambito cattolico). Fu chiaro che anche i racconti su Mosè e sull'Esodo dall'Egitto erano stati scritti in epoca recente e, anche se potevano basarsi su qualche ricordo antico, non potevano essere presi come un vero e proprio racconto storico.

2) Le scoperte archeologiche compiute a partire da una quarantina di anni fa hanno rivoluzionato le nostre conoscenze dell'antico Israele. Decisiva è stata la scoperta dei villaggi "proto-israelitici", sorti sugli altipiani della Palestina a partire dal 1200 a.C. circa: si è capito che era in quella "società di villaggi", e non prima, che aveva cominciato a formarsi il popolo d'Israele. Un'archeologia ormai altamente specializzata, che cominciava a sganciarsi dallo scopo di dimostrare che "la Bibbia aveva ragione", stava aprendo un nuovo modo di conoscere il mondo dell'antico Israele; un'archeologia come fonte-base per scrivere una storia anche dell'antico Israele: non più per fornire conferme al testo biblico ma per ricostruire dall'interno la situazione storica in cui tra le altre cose è nata anche la Bibbia.

In questo modo oggi l'archeologia può confrontarsi con il testo biblico per elaborare una storia dell'antico Israele in senso pieno: mentre riconosce la Bibbia come opera di riflessione teologica e quindi non come "storia d'Israele", non nega però che se ne possano trarre elementi storici, in quanto le sue redazioni più recenti o finali hanno utilizzato e rielaborato anche materiali più antichi; così, attraverso un dialogo interdisciplinare che metta a confronto dati archeologici e dati testuali, è possibile costruire una storia dell'antico Israele.

Questa appare la via più proficua per una ricostruzione storica equilibrata e affidabile, perché l'"Israele archeologico" (quello cioè che l'archeologia evidenzia come popolazione e cultura materiale nella Palestina dell'età del Ferro dal XII al VI secolo a.C.) è il contesto indispensabile per capire storicamente i testi biblici: i "dati esterni" offerti dall'archeologia sono lo strumento per individuare nelle narrazioni bibliche dei nuclei storici che permettono di ricostruire un Israele "reale" nell'età del Ferro.

 

 LE ORIGINI DELL'ANTICO ISRAELE

 LA PIU' ANTICA TESTIMONIANZA: LA "STELE DI MERNEPTAH"

La più antica testimonianza sicuramente datata dell'esistenza di un'entità "Israele" è la "stele di Merneptah" (1208 a.C.). E' una lastra di granito nero (Museo del Cairo) che celebra le vittorie del faraone Merneptah (1212-1204 a.C.), figlio del famoso Ramesse II, nel suo 5° anno di regno contro una coalizione di tribù libiche e nel corso di una campagna in Palestina.

Nel finale dell'iscrizione, che elenca le distruzioni operate dalle truppe egiziane in Palestina, sono citate alcune città cananee e poi si dice: Israele è devastato, il suo seme non c'è più. Il nome Israele è introdotto dal determinativo di "popolazione" (= entità socio-etnica e non città o stato) e la parola "seme" va intesa come "grano" (la sua scomparsa vantata da Merneptah sta così a indicare la distruzione della risorsa agraria di sussistenza). Insomma, verso fine XIII secolo a.C. una popolazione nota come "Israele" viveva in Canaan con una struttura sociale o politica diversa dalle città-stato di quella regione e con un sistema di sussistenza basato sull'agricoltura.

Una rappresentazione figurata della spedizione di Merneptah è oggetto di alcuni rilievi del tempio di Karnak in Egitto. Su un muro nel "cortile della Cachette", 4 scene raffigurano episodi di quella campagna: l'attacco alle città di Ashqelon, Gezer e Yano'am (raffigurati come centri fortificati) e alla popolazione di Israele (un nemico in campo aperto privo di fortezze). Se l'identificazione (proposta dall'egittologo americano F. Yurko) è esatta, si ha qui la più antica raffigurazione di "Israeliti". I tratti con cui sono rappresentati – individui dai capelli lunghi fermati con una fascia oppure rasati e con vesti lunghe, caratteri tipici del modo egiziano di raffigurare i Cananei – indicherebbero che l'entità "Israele" di fine XIII secolo a.C. era considerata dagli Egiziani una popolazione con caratteristiche cananee.

 

LA PALESTINA ALLA FINE DELL'ETA' DEL BRONZO

Nella Palestina di fine XIII secolo a.C., alla fine cioè del periodo che gli archeologi chiamano Età del Bronzo Tardo (circa 1500-1200 a.C.), "Israele" compare per la prima volta in un documento come un'entità riconosciuta da un suo potente vicino. Qual era allora la situazione socio-politica della regione?

Il territorio e i suoi abitanti

Un paese piccolo e arido. Dimensioni ridotte (non più di 200 km da nord a sud, 80 km al massimo in linea est-ovest tra Mediterraneo e Giordano, più una quarantina in Transgiordania), modeste risorse idriche, incerte precipitazioni, poco territorio utilizzabile per l'agricoltura rispetto a quello adatto alla pastorizia: un paese, insomma, dalle potenzialità limitate. A ciò si aggiungevano la scarsità di materie prime (dai metalli al legname pregiato), poche opportunità portuali, un paesaggio per lo più frammentato tra montagne e colline. Eppure l'uomo era riuscito a trarre da questo territorio risorse sufficienti a sostentare una popolazione abbastanza diffusa su livelli di vita accettabili per il mondo antico.

L'insediamento a fine Bronzo Tardo non era però distribuito in modo uniforme. La popolazione si concentrava nelle aree più adatte all'agricoltura: parti della fascia costiera e le colline a ridosso di essa, la piana di Yizre'el, la media e alta valle del Giordano. Qui esistevano delle città-stato, piccoli regni di qualche migliaio di abitanti ciascuno, dove il centro urbano controllava e organizzava il territorio circostante con i suoi villaggi. I centri abitati tendevano ad addensarsi nelle zone agricole, mentre nelle aree di montagna e nelle steppe vivevano per lo più gruppi di pastori dediti a una transumanza stagionale ma legati da interscambi economici con le comunità di agricoltori.

Nelle città di quel periodo, centri per lo più di modeste dimensioni, la struttura direttiva era il palazzo reale, residenza del sovrano locale, sede dell'amministrazione e della direzione economica. Una parte della popolazione cittadina lavorava per il palazzo e riceveva da questo i mezzi di sostentamento, ma al suo interno erano forti le differenze di condizione e di retribuzione: c'erano i gruppi privilegiati, costituiti da capi militari, scribi, amministratori vari; c'era un ceto medio di artigiani e mercanti; e c'erano i servi. Il resto, soprattutto gli abitanti dei villaggi, lavorava per sé e doveva fornire al re una quota del proprio reddito come tassazione. Tra XIV e XIII secolo a.C. queste città erano abbastanza floride sul piano economico e culturalmente vivaci.

Sotto il dominio egiziano

Ai tempi dell'"Israele" di Merneptah la Palestina sottostava da due secoli e mezzo al dominio dell'Egitto. Siamo a conoscenza della situazione politica ed economica di quell'epoca grazie a una preziosa fonte di informazione, costituita dalle lettere dell'archivio egiziano di el-'Amarna (metà XIV secolo a.C.): quasi 400 tavolette, parte della corrispondenza politica dei faraoni Amenhotep III (1390-1352 a.C.) e Amenhotep IV – Akhenaton (1352-1336): lettere inviate in Egitto dalle cancellerie di potenze internazionali come Hittiti e Babilonia, ma anche dai governatori di città-stato cananee vassalle dell'Egitto.

Queste ultime ci offrono per la Palestina il quadro di una serie di piccoli sovrani locali relativamente autonomi ma tributari dell'Egitto, mentre la presenza di governatori e di guarnigioni militari inviati dal Faraone si limitava a qualche centro e a un personale di poche centinaia di uomini. Era un modo poco dispendioso di controllare un territorio, con una gestione diretta ridotta al minimo.

Ma le lotte locali di potere erano numerose. Un esempio tra i tanti emerge da una lettera inviata alla corte egiziana da Biridiya, signore dell'importante centro di Megiddo: egli chiedeva invano al faraone l'invio di truppe per difendere la città, già colpita da un'epidemia, dalle mire e dagli attacchi di Labayu di Sichem, che aveva esteso il suo potere anche ad alcuni territori a est del Giordano e puntava così a controllare alcune importanti vie di transito delle merci che attraversavano la Palestina.

Crisi sociale

Vari indizi archeologici concorrono a far pensare che in quella fase finale del Bronzo Tardo le élite cittadine avessero aumentato la pressione economica sulla popolazione contadina e pastorale dei villaggi circostanti: quote sempre più alte di prodotti venivano prelevate dalle campagne per il mantenimento di gruppi cittadini. Ne risultò così sbilanciato il rapporto tra le città e la loro base territoriale in termini sempre meno sostenibili. Contadini indebitati, ad esempio, cominciarono a darsi alla fuga verso aree di difficile controllo come zone montuose o steppe semidesertiche, magari legandosi a gruppi di pastori che già frequentavano quelle aree, diventando così habiru, una categoria di sradicati e fuggiaschi che i testi di el-'Amarna citavano con allarme come potenziali nemici dell'ordine costituito.

Insomma, l'atteggiamento duro dei re cananei in materia economica produsse una notevole disaffezione della popolazione di base, agro-pastorale, nei confronti del Palazzo. Se a questa tendenza di fondo si uniscono i danni causati dall'indifferenza egiziana riguardo alle lotte sociali e i segnali piuttosto chiari di ricorrenti carestie, di crisi demografica, di restringimento delle zone agricole, insediate e sfruttate, si avrà un quadro di grave difficoltà che contraddistingue la società palestinese alla fine del Bronzo Tardo.

 

IL PROBLEMA DELLE ORIGINI DI ISRAELE

Che poco prima del 1200 a.C. da qualche parte nella terra di Canaan ci fosse una "popolazione" chiamata Israele, è un fatto chiaramente testimoniato da una fonte esterna e contemporanea come la Stele di Merneptah. Il problema è precisare chi erano questi "Israeliti" e qual era stata la loro origine.

La vecchia impostazione del problema

Fino a poco più di 30 anni fa si assumeva come dato base l'idea biblica di un Israele venuto da fuori della terra di Canaan e diverso dalla sua civiltà, e si fissava al XIII secolo a.C. (periodo che per la Palestina l'archeologia considera di passaggio tra l'età del Bronzo Tardo e l'inizio dell'età del Ferro) l'epoca della penetrazione dei gruppi israeliti in Canaan. Infatti l'A.T. per lo più considera Israele "straniero" in Canaan e ne pone l'entrata nel paese al termine di un "esodo" dall'Egitto che sembrerebbe databile ai tempi di Ramses II, dunque nel XIII secolo a.C.; inoltre certe fonti vicino-orientali parlano di movimenti di popolazioni in quel turbolento periodo. E la discussione sembrava potersi risolvere su 3 possibili "modelli" di stanziamento.

Due ipotesi su una provenienza esterna:

- Conquista armata. A partire dagli anni '30 del '900 alcuni studiosi collegarono il testo biblico della conquista di Canaan di Gs 1-11 con i risultati di alcuni scavi archeologici (dell'americano W. Albright negli anni '30 e poi dell'israeliano Y. Yadin negli anni '50) che avevano evidenziato la distruzione di siti cananei poco prima del 1200 a.C.; sostennero così l'attendibilità storica di quei racconti biblici e affermarono che l'insediamento delle tribù israelitiche in Canaan era avvenuto come una conquista armata.

Ma in questa tesi c'erano troppe discrepanze tra archeologia e Bibbia: in molte località che l'AT associa alla "conquista" israelitica (Gerico, Ai, Gabaon) nel XIII sec. a.C. non c'erano insediamenti e le distruzioni di siti come Hazor, Bethel e Lakish erano state causate dai "popoli del mare" e da altri episodi violenti legati al collasso del sistema delle città-stato cananee a fine età del Bronzo Tardo. Perciò la tesi della conquista armata è oggi definitivamente abbandonata.

- Infiltrazione pacifica. Negli anni '20 lo studioso tedesco A. Alt propose la teoria della "presa di possesso pacifica": gruppi di pastori nomadi in transumanza periodica tra steppe e altopiano avrebbero avviato, verso fine Bronzo Tardo, un graduale e pacifico processo di insediamento, sistemandosi dapprima sugli altopiani di Canaan fino allora poco abitati, con qualche scontro locale quando col numero dei nuovi sedentari crebbe anche il bisogno di terre e acqua. Gli israeliti sarebbero quindi arrivati come gruppi di pastori e non come un unico blocco organizzato, e ad essi potrebbe essersi unito qualche gruppo di schiavi fuggito dall'Egitto.

La teoria di Alt fu però attaccata negli anni '60 sulla base di nuovi studi sul rapporto tra nomadismo pastorale e comunità sedentarie nel Vicino Oriente: pastori nomadi e contadini sedentari erano molto più integrati e meno estranei tra loro di quanto si pensava.

L'ipotesi di un processo interno:

- Rivolta sociale. Una teoria nettamente diversa, su un'origine degli israeliti come processo interno alla terra di Canaan, fu elaborata negli anni '60 dal biblista americano G. Mendenhall, sviluppata negli anni '70 dal biblista e sociologo N. Gottwald. La nascita di Israele sarebbe legata a una rivolta delle classi sociali inferiori e marginali contro i gruppi dirigenti delle città-stato cananee: nella società cananea del Bronzo Tardo forti disuguaglianze e tensioni sociali avrebbero spinto contadini poveri e sfruttati a ribellarsi all'oppressione e a fuggire, alcuni diventando dei "fuorilegge", molti altri invece emigrando sull'altopiano, dove avrebbero fondato una società più equa (sulla base di idee di uguaglianza portate da un gruppo uscito dall'Egitto).

La svolta archeologica

La nuova impostazione del problema è venuta da una sistematica esplorazione archeologica delle alture centrali della Palestina a partire dagli anni '70. La scoperta di una fitta rete di villaggi (circa 300) sorti sulle alture centrali intorno al 1200 a.C. lontano dai centri cananei in decadenza, ha rivelato che all'inizio dell'età del Ferro I sugli altopiani di Canaan si era attuata una forte crescita nel popolamento e con essa una trasformazione sociale, non provocate da un'invasione armata né da un'infiltrazione pacifica di un gruppo etnico esterno, ma legate a un cambiamento interno del modo di vivere.

I villaggi dell'altopiano

I nuovi insediamenti, sorti in zone povere e marginali, erano villaggi piccoli e sparsi (in quelle zone un abitato con economia agro-pastorale poteva dare da vivere a un numero limitato di persone); l'assenza di edifici pubblici e di oggetti di lusso, e le dimensioni delle case abbastanza simili, fanno pensare a piccole comunità dalla ricchezza abbastanza equamente distribuita. I ritrovamenti segnalano una modesta economia a base agricola e pastorale condotta da unità famigliari e, in generale, un sistema di vita semplice e relativamente pacifico.

I dati archeologici (ceramica, quadro insediativo, architettura, pratiche funerarie) segnalano un chiaro legame di continuità con la cultura materiale di Israele e Giuda nella successiva età del Ferro II ( X secolo in poi). Il che significa che nel Ferro I (1200-100 a.C.) si avviò il processo di sviluppo della realtà di Israele.

Se erano i primi israeliti i fondatori e abitatori di questi villaggi, si trattava dunque di pastori e contadini dediti a una semplice cultura di sussistenza. Il problema è chiarirne le origini: da dove arrivavano? Da dove o da chi avevano derivato i loro modi di vivere?

Poiché i racconti biblici sull'insediamento di Israele in Canaan (contenuti in Gs e Gdc), pur contenendo qualche elemento di tradizione assai antica, sono frutto di un'elaborazione letteraria e teologica di parecchi secoli dopo, la soluzione del problema è legata essenzialmente all'interpretazione dei dati archeologici relativi a questi villaggi del Ferro I: è nei resti dei loro primi insediamenti che va cercata una risposta alla questione delle origini degli israeliti.

Contadini cananei (e altri) emigrati sull'altopiano...

Gli elementi archeologici più indicativi (forma e tecnica di fabbricazione delle ceramiche, tipologia delle abitazioni, planimetria e distribuzione degli insediamenti, sistema economico di sussistenza) individuano nei coloni dell'altopiano degli inizi del Ferro I una società contadina con una cultura materiale segnata da elementi di continuità con la precedente cultura cananea del Bronzo Tardo. Capofila di questa tesi è l'archeologo americano W. Dever, secondo cui i primi israeliti provenivano dall'ambito delle comunità sedentarie di Canaan.

Alla loro sussistenza contribuivano un'orticoltura a terrazze, la coltivazione di vite e olivo, la cerealicoltura, allevamento e pastorizia in zone marginali: insomma, una modesta economia rurale e agropastorale, senza commercio se non piccoli scambi tra villaggi, in uno stile di vita utilitario legato alle unità famigliari; così segnala anche il tipo di abitazioni (case con spazi per il ricovero di animali, tipiche piccole fattorie). E l'assenza di mura difensive confermerebbe l'idea che i nuovi venuti sull'altopiano non fossero invasori ma semplicemente immigrati da altre parti di Canaan, già esperti di agricoltura e allevamento.

Che si debba trattare dei primi israeliti, sembra verosimile se si collega questa gente insediata sugli altopiani almeno dal 1200 a.C. con la notizia della "Stele di Merneptah", che segnala Israele come "popolazione" rurale presente in quegli anni in Canaan.

Questi "proto-israeliti" sono all'inizio del processo di formazione del più tardo Israele biblico, con cui c'è piena continuità di cultura materiale. Ma non erano all'inizio un'entità omogenea, li componevano gruppi di origini diverse: la maggior parte erano cananei emigrati, soprattutto contadini, a cui potevano essersi aggiunti gruppi di marginali, profughi, pastori, immigrati dalla Transgiordania e dalla zona siriana; tutti comunque sradicati dai mutamenti intervenuti a fine Tardo Bronzo nelle pianure di Canaan con il declino della vita urbana nel quadro di una crisi economica, demografica e politica che stava indebolendo il sistema delle città-stato cananee. Forse un piccolo gruppo può aver vissuto l'esperienza dell'Egitto e dell'Esodo, ma la maggior parte dei primi israeliti erano gruppi locali cananei.

... o ex pastori sedentarizzati?

Ci sono però anche altre spiegazioni, sempre basate sull'interpretazione dei dati archeologici. La principale tra esse parte dall'ipotesi della "simbiosi", avanzata negli anni '80 dallo studioso tedesco V. Fritz, e ha un suo particolare sviluppo nella tesi dell'archeologo israeliano I. Finkelstein.

In base a certe caratteristiche dei più antichi tra i villaggi sull'altopiano, Fritz e Finkelstein pensano ai loro abitanti come a gruppi inizialmente costituiti da pastori nomadi, che si sarebbero gradualmente sedentarizzati diventando contadini, quando il declino del sistema delle città-stato cananee ruppe l'integrazione economica che prima doveva esistere tra agricoltori cananei e pastori nomadi, costringendo questi ultimi ad adattarsi a un modo di vita sedentario e agricolo.


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BIBLIOGRAFIA

Il presente contributo non ha note, per facilitare la lettura del testo che ha taglio divulgativo. I contenuti si basano sugli studi elencati nella seguente bibliografia.

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