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Lunedì, 23 Marzo 2020 17:53

3. L’ULTIMA CENA

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del prof. Dario Vota

 

 

L’ultimo giorno di Gesù inizia con un pasto. Ne sono a conoscenza tutti e 4 i vangeli (Mc 14,22-25; Mt 26, 26-29; Lc 22,15-20; Gv 13,1-15) e ne parla Paolo (1Cor 11,23-26). Ma:

- per i Sinottici e Paolo è la cornice dell’istituzione dell’eucaristia;

- per Gv è l’occasione per Gesù di lavare i piedi ai suoi discepoli.

  

L’ULTIMA CENA NELLA TRADIZIONE PAOLINO-SINOTTICA

 

a) La documentazione: testi rielaborati in funzione liturgica

 

I 4 testi (Mc, Mt, Lc e 1Cor) danno a prima vista l’impressione di essere sostanzialmente uguali: termini di base comuni (pane-calice, spezzare-benedire, prendere-rendere grazie, corpo-alleanza, ecc.), struttura simile del racconto (gesti sul pane e sul calice, parole di commento, ecc.).

Ma ci sono numerose differenze, soprattutto tra Mc-Mt da una parte e Lc-Paolo dall’altra; il che ha fatto ipotizzare il formarsi di 2 linee di tradizioni diverse nel complicato processo di formazione di questi testi. Bisogna tener conto che i testi che oggi leggiamo sono il punto d’arrivo di una evoluzione: tutti e 4 hanno “vissuto” in comunità diverse, che hanno via via ritoccato il racconto, non tanto per precisarlo sul piano storico ma per cercarne un significato in funzione liturgica: hanno selezionato le cose essenziali, lasciando cadere il resto. Da ciò il duplice problema:

- com’è stata veramente l’ultima cena?

- cosa le ha dato quel significato che i primi cristiani hanno ritenuto così importante?

 

b) Come si è svolta la cena?

 

Occorre anzitutto confrontare l’immagine che ne danno i testi paolino-sinottici (= pasto eucaristico: duplice azione sul pane e sul calice + duplice commento) con la struttura del pasto festivo e del pasto pasquale degli ebrei al tempo di Gesù.

Ne risulta che:

  • le azioni sul pane e sul calice si collegano all’usanza ebraica sia nel pasto festivo che nel pasto pasquale;

  • i commenti sono un intervento originale di Gesù;

  • nei testi non si dice nulla del pasto vero e proprio, quello che deve aver occupato la maggior parte del tempo della cena.

= I racconti hanno finito per limitare il tutto ai due gesti e ai rispettivi commenti.

 

Secondo molti studiosi l’ultima cena di Gesù non è stata un pasto pasquale. Ma è anche vero che non è stata neppure una cena abituale da tutti i giorni: è stata preparata con cura e solennità, il pasto è stato accompagnato da preghiere e gesti rituali, è stato vissuto con un carico di profondo significato. Lo si può cogliere in alcuni detti che la comunità primitiva ha selezionato (e gli evangelisti hanno ripreso) tra i tanti che Gesù deve aver pronunciato quella sera:

 

- “loghion escatologico” (Mc 14,25 e Lc 22,18): Gesù non imbandirà più alcun pasto (è consapevole della morte vicina), ma non si lascia abbattere dalla disperazione (il suo sguardo va con speranza oltre la morte);

- commenti:

  • la formula originaria di commento sul pane è probabilmente quella di Mc 14,22; Paolo (1 Cor 11,24) e Lc (22,19) l’hanno allargata con l’idea di espiazione. Il punto focale è l’espressione “il mio corpo” = non semplicemente “corpo” ma “la persona nella sua totalità” (quindi la promessa di Gesù è che dovunque venga spezzato il pane eucaristico ci sarà la sua presenza piena);

  • nella formula sul calice, “nuova alleanza” è il compiersi di una nuova e più completa comunione con Dio, e l’espressione “nel mio sangue” significa “attraverso la mia uccisione” (quindi attraverso la sua morte Gesù apre agli uomini la comunione con Dio): Gesù che affronta consapevolmente la morte non può non metterla in rapporto col centro della sua predicazione, il regno di Dio, nel senso che la sua morte è al servizio dell’avvento del regno di Dio. Il fatto che Gesù colleghi l’idea della sua morte salvifica all’offerta di doni conviviali (pane e vino) si spiega ricordando che tante volte il mettersi a tavola di Gesù con altre persone è legato al (è “segno” del) suo portare riconciliazione e salvezza;

  • fate questo in memoria di me”. Mc (ripreso da Mt) ignora questo comando; lo citano invece Paolo (1Cor 11,24-25) e Lc (22,19). Questo ha fatto supporre che si tratti di una frase aggiunta dalla comunità cristiana; ma se anche fosse così, con questa formula la comunità avrebbe solo esplicitato quanto era già in qualche modo contenuto nelle due formule di commento al pane e al vino.

  

L’ULTIMA CENA SECONDO GV

 

Nel racconto di Gv 13,1-15 Gesù non istituisce l’eucaristia ma lava i piedi ai discepoli.

 

Il brano va inquadrato nell’organizzazione che Gv dà al suo vangelo:

dopo una prima parte (capitoli 1-12) che presenta Gesù che rivela Dio al mondo, proprio col cap. 13 inizia la seconda parte (capitoli 13-21) in cui la rivelazione di Dio e del suo Figlio è rivolta soprattutto ai discepoli; Gesù si apre a loro con colloqui e discorsi intimi (capitoli 13-17) e il vertice della rivelazione divina diventa la Passione (capitoli 18-19).

Il racconto dell’ultima cena appare dunque come il “portale” del racconto della Passione.

 

Gv 13,1-15 è divisibile in 3 parti:

  • la lavanda dei piedi (vv. 4-5);

  • un primo commento, sul significato del soffrire e morire di Gesù (vv. 6-11);

  • un secondo commento, che indica gli impegni di chi vuol essere discepolo di Gesù (vv. 12-15).

 

a) Lavanda dei piedi

 

Nella Palestina antica, dove ci si spostava a piedi su strade polverose, la buona educazione imponeva al padrone di casa di offrire all’ospite la possibilità di lavarsi i piedi o di lasciarseli lavare. Nelle case ricche all’ingresso c’erano delle anfore piene d’acqua e dei catini di pietra o terracotta con traversa per appoggiare il piede (documentati archeologicamente). Il servizio di lavare i piedi a un altro toccava, ai tempi di Gesù, a chi era ritenuto di categoria inferiore: alla moglie per il marito, a un figlio per il padre, a un servo per l’ospite.

La scena di Gesù che lava i piedi ai discepoli non può essere un’invenzione dell’evangelista: è pienamente coerente con i comportamenti di Gesù e si può collegare a qualche suo detto (es. Lc 22,27) e parabola (es. Lc 22,37).

 

b) I due commenti di interpretazione

 

Secondo vari studiosi, è il 2°commento quello che probabilmente riporta più fedelmente le parole originarie di Gesù, mentre il 1°potrebbe essere stato rielaborato nell’ambito delle prime comunità.

 

2° commento: Gv 13,12-15. Gesù indica la regola che deve guidare le relazioni tra i suoi discepoli:

1) mettersi all’ultimo posto (il più grande è chi serve) = Gesù lo si incontra dove si rinuncia a potere e dominio e ci si apre agli altri;

2) farsi umilmente servo degli altri (alla “linea verticale” del dominio si contrappone la “linea orizzontale” del servizio) = la legge dell’amore che serve non è facile, ma là dove qualcuno ha il coraggio di viverla l’ordine del mondo viene capovolto, i veri valori emergono (e si comincia a intravedere cosa voleva dire Gesù quando parlava del “regno di Dio”).

 

1° commento: Gv 13,6-11. E’ una scena costruita in 3 momenti di un dialogo tra Gesù e Pietro:

- Pietro coglie nell’azione di Gesù solo l’aspetto esterno e profano;

- Gesù la intende con un significato teologico. E’ quest’ultimo il significato che l’evangelista vuole trasmettere (v. 7: il significato della lavanda dei piedi sarà capito solo “più tardi”, ossia dopo la risurrezione di Gesù si capirà che essa è simbolo della croce = sofferenza e disonore accettati da Gesù; v. 8: chi non è pronto ad accettare la croce non partecipa alla salvezza portata da Gesù; v. 10: non c’è bisogno di altro che di accogliere la croce per essere liberati da ogni colpa), e per farlo ha probabilmente un po’ rielaborato le parole di Gesù.


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Letto 19520 volte Ultima modifica il Lunedì, 23 Marzo 2020 19:43

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