EDUCARE, UN PROBLEMA PER TUTTI
Ÿ 1) Il futuro della società complessa pone all’educazione una serie di problemi Ÿ Passare dall’"addestramento", dove la pedagogia è centrata sull’insegnante, all’"educazione", centrata sull’educando Ÿ Nessuno educa nessuno, ognuno educa se stesso Ÿ 2) Una metodologia orientata all’acquisizione di modalità adulte di relazione Ÿ Una metodologia "sacramentale" al fine di realizzare un vissuto "misterico", "memoriale" e "simbolico" Ÿ 3) Un modello: lo scoutismo Ÿ Per crescere in libertà nella società complessa, maturando gli strumenti per affrontare il futuro.
1) Prima parte
Il nostro secolo e quello che lo ha
preceduto hanno visto l'affermarsi di nuovi soggetti, di nuove
presenze, che hanno rivendicato un ruolo non più marginale nella
storia. Dalle donne, dalle classi subalterne, dalle popolazioni
decolonizzate è giunta una domanda di formazione massiccia e
destabilizzante. All’impatto quantitativo, ben evidenziato, ad esempio,
dal fenomeno di scolarizzazione di massa, si è aggiunto il
rimescolamento dei valori, la crisi dei parametri culturali,
l'impossibilità di mantenere modelli comportamentali di antica
tradizione. L’accelerazione tecnologica ha completato il quadro,
aprendo possibilità illimitate, ma complicando le prospettive,
moltiplicando le agenzie, sovrapponendo i messaggi e i conferimenti di
senso. Il futuro non promette semplificazioni, anzi; in un contesto
planetario e sempre più accelerato i punti di riferimento sembrano
svanire sotto il peso dell'impotenza. Questa è la sfida che il futuro
presenta all'educazione; un'educazione che può scegliere tra una
strategia di difesa, di adattamento, di rimpianti e di fugaci vittorie
e il rischio calcolato di prospettive non collaudate, ma promettenti,
sorrette da una strumentazione capace di affrontare territori
inesplorati.
I parametri pedagogici e ideali di tale alternativa sono chiari.
Da un lato la miopia monoculturale,
costruita su generalizzazioni affrettate e libresche, rigide nella loro
astrattezza e spesso ignare della stessa complessità originaria della
tradizione che vorrebbero difendere. Di fronte al nuovo tali posizioni
si tingono di apertura e cercano di proporre la panoramica, il
confronto, il dialogo interculturale, ma restano incapaci di uscire
dalla propria strumentazione lessicale e concettuale. Il loro tratto
costante è il malcelato senso di superiorità. Dall'altro l'umiltà
disarmata, tenace e paziente, di chi confida nella scoperta e nella
messa a punto di "valori-problemi transculturali", di chi punta
sull'esistenza di un "umanismo generale", foriero di significati
esistenziali profondi e comunicabili, e capace di relativizzare lo
stesso pluralismo, visto come momento d’introduzione, quando non di
mistificazione, del vero ascolto e della vera integrazione. Questa
posizione si materializza nell'autentico domandare e nella capacità di
comprensione e di silenzio. Se l'alternativa teorica è questa, anche le
implicanze metodologiche dovrebbero presentarsi con sufficiente
chiarezza
Dall'addestramento...
Da un lato una pedagogia
magistrocentrica, contenutistica, centrata prevalentemente sulla
convinzione che l'educazione sia soprattutto un trasferimento di
atteggiamenti, di conoscenze e di convinzioni dall'educatore
all'educando; dall'altra una pedagogia puerocentrica, metodologica,
orientata all'ambiente e all'acquisizione di modalità adulte.
Per semplificare si tratta della differenza tra
addestramento e autoeducazione. L’addestramento, nel suo rozzo
efficientismo, nella sua indiscussa utilità, ha spesso esteso la
propria azione oltre gli àmbiti che lo giustificavano. Il fascino dei
"risultati" gli ha consentito d'imporre non solo i propri metodi, ma la
sua stessa ideologia, soprattutto dove il clima culturale ne favoriva
l’espansione.
L’addestramento è semplice, perché la sua
meccanicità si nutre di sbrigative generalizzazioni. Da un lato si
trovano i "saperi", le abilità, i comportamenti mondi, le tecniche, il
tutto chiaramente posseduto dall'istruttore, valido nella sua
organicità, collaudato nel tempo e arricchito dal fascino
dell'autorità: è tutto ciò che dev'essere trasferito. Dall'altra il
neofita, ansioso di apprendere, o comunque destinato alla
trasformazione, all’arricchimento". Al centro le tecniche, gli
esercizi, la disciplina, le tappe, che costituiscono il sicuro
patrimonio dell'istruttore: una guida che si vuole sempre lungimirante,
attenta, capace di governare il cammino di crescita ben oltre la
comprensione dell’educando. La stia abilità sta nel cogliere i limiti e
le potenzialità di chi gli è stato affidato, nello sfruttare al meglio
le potenzialità e nel superare gli ostacoli. L'abilità del neofita è
nell'obbedienza, nella malleabilità, nell'impegno. Tutto è stabilito;
discuterne rasenterebbe il ridicolo. Che si tratti del tennis,
dell'inglese o della perfezione morale, se l'educando aprisse un
dibattito sulle regole, sui modi, sui contenuti perderebbe del tempo,
uscirebbe dal gioco, o, ben peggio, assumerebbe atteggiamenti
rivoluzionari, destabilizzanti e sempre velleitari…
In realtà ciò che importa a entrambi è il risultato.
La meta agognata è il possesso, sicuro e completo, del "patrimonio" in
questione: una scalata all’"avere", pagata con la trasformazione
dell’"essere". L'addestramento ha senso in una società immobile, con
valori rigidamente formulati, con condizioni educative prevedibili, con
una selezione diffusa e con modelli sociali standardizzati. Il perfetto
esecutore, inevitabilmente senz'anima, è il prodotto più frequente e
apprezzato. Se, però, le condizioni cambiano e i contesti si
complicano, l'addestramento si sgretola, o diventa dannoso. È questa
una verità ben compresa dai militari, che si guardano bene
dall'utilizzare come spie o come reparti speciali delle truppe
semplicemente addestrate. Dove il terreno è ignoto e le decisioni
devono essere originali l'addestramento muore e deve sorgere la
formazione.
…all'educazione
Nessuno
educa nessuno, ognuno educa se stesso. L'espressione è volutamente
provocatoria; se venisse presa alla lettera implicherebbe la
dissoluzione di qualsiasi intervento educativo e, automaticamente,
della stessa umanità. Ciò che in essa interessa, invece, è la chiara
affermazione delle priorità pedagogiche e la garanzia di congruità dei
mezzi da adottare. Per necessità, per coerenza con le sfide dei tempi,
l'attenzione educativa deve spostarsi dalla scienza allo scienziato,
dalla cultura all'uomo, dall'educazione all'educando. Non è possibile
affermare la necessità di un brillante navigatore, in vista
dell'assoluta novità delle future traversate, e poi dedicare la propria
attenzione a rotte conosciute, a una scienza nautica desueta, a una
cantieristica inutilizzabile.
GIAN MARIA e FEDERICA ZANINI
Educatori scout. Redattori di "R/S Servire"- Brescia
Da "famiglia domani" 1/99