Disagi
Quadro panoramico dei diversi significati
Immaginiamo di camminare per una delle
strade delle nostre città verso l’ora di cena e di osservare le persone
che incontriamo.Quali potremo definire "a disagio"?
Incontriamo adulti (professionisti,
impiegati) che tornano da lavoro di corsa, stanchi ed affamati,
qualcuno triste, qualcuno con l’aria soddisfatta. Signore e signori
eleganti, magari più avanti con l’età, che si avviano al cinema o ad
uno dei teatri del centro. Commessi che stanno chiudendo i negozi, adolescenti a spasso o in motorino, extracomunitari con le loro bancarelle, talvolta inseguiti dai vigili urbani che hanno ricevuto l’ordine di sequestrare la merce, barboniche si preparano a dormire in questo od in quell’altro antro di una
banca o di un porticato. Tutti, credo, vivono in quel momento una
situazione scomoda, imbarazzante…a disagio. Vi è un fuggi-fuggi
generale, che spesso fa galoppare la mia fantasia.
Comincio ad immaginare la cena di quella ragazzina
con l’ombelico di fuori, con un pantalone troppo stretto per il suo
fisico, che ha attirato la mia attenzione strada facendo. Immagino cosa
si dirà a cena con gli altri componenti della sua famiglia. Che
significa quel look con l’ombelico di fuori? Negli anni ’70, gonne
lunghe a fiori e zoccoli ai piedi comunicavano voglia di andare lontano
senza mete, felici come i nomadi, amanti della precarietà senza
preoccupazioni per il domani. Impegnarsi per un futuro sicuro era da
provinciali borghesi. Anche col modo di vestire, i figli dei fiori
contestavano il mondo statico e vetusto che li opprimeva e poneva
limiti alla loro fantasia e creatività e tanti altri bla bla bla.
Allora sì che tutto andava stravolto ed in tutti i modi!
Tutti i giovani – in quanto tali – si sentivano a
disagio. Ciò che era caro agli adulti creava disagio: i pranzi nelle
case patrizie, le vacanze nelle ville di famiglia, lo studio
professionale paterno, i gioielli, l’eleganza talvolta anche la
bellezza della madre…
Certo che gli adulti ne hanno fatti di sforzi! Oggi
nessun genitore oserebbe fare una scenata al figlio che ostenta i
pantaloni strappati e gli orecchini al naso, labbro e lobo anche al 50°
anniversario di matrimonio dei nonni. Per carità…tutto è concesso,
tutto è tollerato eppure ci si veste in maniera aggressiva, violenta,
per il proprio corpo e per lo sguardo degli altri!
Ebbene, seppure regna la comprensione del mondo degli adulti, i ragazzi di oggi vivono comunque un disagio. C’è
un disagio del benessere, che forse a noi scout fa ridere e/o talvolta
rabbia: siamo – sicuramente – più sensibili a quello originato dalla
povertà, dalla marginalità e forse di più dall’handicap che non a
quello di chi non avrebbe proprio da lamentarsi!
Non dobbiamo essere indifferenti anche al disagio di
chi non ha problemi primari (cibo, casa ed affetti) perché "quei"
ragazzini – comunque – non sono felici. Piuttosto l’appagamento
generale li rende apatici a qualunque tipo di conquista: non lottano
contro niente e per niente. Non hanno alcuna speranza. Talvolta sono
soli, sono i figli di quelli che verso l’ora di cena corrono per
ritornare alla propria casa dove – da 12 ore – hanno lasciato le
proprie creature, da soli o a "qualcuno".
Quei figli belli ma sempre più fragili, sani ma
senza possibilità di conoscere i propri limiti fisici, se la cavano a
scuola ma senza progettarsi la vita, sempre al telefono, ma senza
amici, cosa faranno sabato sera o meglio cosa potrà mai divertirli
sabato sera? Qual è la sensazione forte, nuova, diversa che sperano di
vivere uscendo con gli amici? Sarà una pizza, una spaghettata, un fuoco
sulla spiaggia od altro…sempre più costoso, sempre più pericoloso,
sempre più lontano da se stessi?
Beh! Questo lo potevamo leggere dappertutto. Vorrei
illuminare con i nostri riflettori quella parte di ragazzi
completamente opposta a quanto sopra. Immaginiamo dei cosiddetti
ragazzi "sani", con una famiglia attenta e vicina, pronta a stimolare,
coccolare, sostenere. Dei ragazzi sicuri di sé, spigliati, simpatici,
con molti interessi, da quelli socio-politici a quelli culturali. Che
faranno questi il sabato sera, con chi potranno parlare delle loro
aspettative per il proprio futuro e delle loro speranze per il mondo?
Con chi litigheranno per l’ultimo film o per l’ultimo libro sull’Islam?
Ebbene anche loro scommetto saranno soli, tristi, sfiduciati. Anche
loro vivranno il proprio disagio in un ambiente scolastico degradato,
maleducato, tracotante.
Ma come si fa a stabilire quando il disagio sta per
scaturire in comportamenti pericolosi e malesseri profondi e quando si
tratta di un fenomeno tipico dell’animo in evoluzione?
Quando il "non volerci stare" porta a degli
atteggiamenti di autolesionismo e quando la mediocrità circostante
origina un’ansia di scoprire per cambiare?
Quando l’adulto educatore può intuire se
l’egocentrismo sta portando a degli estremismi a rischio o ad una
voglia di impegnarsi per migliorare?
Agli adolescenti non andrebbero fatte troppe
domande…vanno osservati ed ascoltati, compresi e non giudicati, in
qualche caso. Bisogna essere vigili, presenti ma pazienti…C’è una
canzone di De Gregori che parla di un ragazzo che aveva "una luce
strana nei suoi occhi che qualcuno ha chiamato cattiveria ma poi chissà
la gente che ne sa dei suoi pensieri sul cuscino che ne sa, della sua
rabbia in fondo al cuore che ne sa…". Di quel terribile momento di
transizione che tutti gli adulti di oggi hanno passato! La via di
uscita è tutta da ri-cercare. I ragazzi che dovremmo sperare di poter
formare nei nostri gruppi sono sicuramente del secondo tipo. Intanto
perché la gestione è più essenziale (abbiamo idea di quanto costino le
uscite del sabato sera?) ed inoltre la sana insoddisfazione porta a una
fattiva irrequietezza, ad una voglia di fare "con" e "per" gli altri
che passo dopo passo porta a dei cambiamenti. Ma dei ragazzi "primo
tipo" chi si dovrà occupare? Vi ricordate la ragazza figlia dei fiori
di circa 20 anni fa? Secondo voi se oggi fosse un capo scout od una
madre, i suoi ragazzi sarebbero del primo o del secondo tipo?
Graziella Landi
(AGESCI Proposta Educativa)