Formazione Religiosa

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Sabato, 19 Giugno 2004 15:04

6. L'acquedotto. Commento al Sermone di San Bernardo (P. Alberico Maria Giorgetti)

Vota questo articolo
(2 Voti)

L’Acquedotto


Commento al Sermone di San Bernardo


di P. Alberico Maria Giorgetti
Abbazia Chiaravalle Milanese



San Bernardo ha tenuto il sermone dell’acquedotto (1) per la festa della Natività della Beata Vergine. Già il simbolo "dell’acquedotto" ci rimanda al problema del genere letterario. Un sermone o non piuttosto un piccolo, ma completo trattato di mariologia? In ogni caso l’argomento è chiaro fin dalle prime parole del testo latino. Si tratta infatti della Fecundae Virginis della Vergine Madre o con una traduzione più letterale Vergine feconda. L’espressione si riferisce in modo singolare a Maria, ma anche alla chiesa nel suo insieme e ad ogni persona consacrata. La verginità per il nostro autore e per la sua epoca definiva l’ordine monastico, il monachesimo preso nel suo insieme.


Fin dalle prime parole del sermone è richiamato il cielo. Vi è come un confronto tra la liturgia celeste e quella che si celebra sulla terra:



«Il cielo onora la presenza della Vergine Madre, mentre la terra ne venera la memoria. Così, lassù, si ha la fruizione di tutta la sua bellezza, quaggiù il semplice ricordo: lassù la sazietà, quaggiù soltanto un piccolo assaggio delle primizie; lassù la realtà, quaggiù il nome». (par. 1).



  • Il cielo abbraccia la presenza, la terra venera la memoria;


  • lassù si trova la pienezza d’ogni bene, quaggiù il ricordo;


  • lassù la sazietà, quaggiù una certa tenue primizia;


  • lassù la realtà, quaggiù il nome.

L’accenno al nome porta subito Bernardo alla domanda sul perché, avviene questo? La risposta la trova nel Padre nostro di cui l’autore inizia qui un commento.


Esso è preghiera autentica, esprime veramente la fede della Chiesa perché insegnata da Gesù stesso. Fin dalle prime parole, "Padre nostro" rivela il mistero dell’adozione a figli e della santificazione del nome. Questo vale per noi, pellegrini sulla terra; infatti, nella beatitudine celeste non si vive nell’ombra, "ma piuttosto in piena luce". Il Padre ha generato il Verbo in santi splendori lo ha generato prima di lucifero: "Tra gli splendori dei santi, dal mio seno", afferma autorevolmente il Padre, "prima della stella del mattino, io ti ho generato" (Sal 109,3) (par. 1).


Letteralmente prima della stella del mattino, foriera di luce, ma anche prima della creatura angelica più bella e più splendente, Lucifero, che per la sua bellezza, si è ribellato a Dio ed è precipitato nell’inferno. Notiamo anche che, l’abate di Chiaravalle, parla giustamente, riguardo al Verbo di generazione non di creazione: Egli è, secondo l’espressione del concilio di Nicea, generato non creato.


(1) Testo latino in Opera Omnia S. Bernardi, a cura di J. Leclercq e H. M. Rochais, Romae editiones Cistercienses, 1968, Vol. V, pp 275-288. Testo italiano in: Testi Mariani del secondo millennio, cura di Luigi Gambero, Roma, Città Nuova, 1996, Vol. III, pp. 248-260.


Dalla generazione del Padre a quella della Vergine Madre


"Ebbene – dice S. Bernardo – la Madre ha senza dubbio generato quel medesimo splendore, ma nell’ombra, e precisamente in quella stessa ombra con la quale l’ha adombrata l’Altissimo. Ha ragione pertanto la Chiesa, non quella dei Santi, (2) che risiede negli splendori del cielo, bensì quella che è ancora viatrice sulla terra, di cantare: "mi sono seduta all’ombra di colui che avevo desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato" (Ct 2,3), (…) come se dicesse: dolce al mio gusto " (3). (par. 2). Quest’ombra è misericordiosa perché i nostri occhi infermi non potrebbero sopportare la luce del sole.


La Chiesa pellegrina sulla terra desidera la luce e si deve invece accontentare dell’ombra. Per questo il grido, fino a quando? ripetuto due volte:



"Fino a quando non mi risparmierai e non mi libererai dalla tua presenza, così che io possa inghiottire la mia saliva? (Gb 7,19) ". "Fino a quando resterà inattuata quella sentenza: "Gustate e vedete com’è buono il Signore? (Sal 33,9) " (par. 2).


Tuttavia anche quest’ombra è soave e dolce. Per questa ragione nella celebrazione liturgica, la Chiesa sposa può realmente prorompere in rendimento di grazie e di lode.


(2) Per Bernardo, come del resto per sant'Agostino la Chiesa dei Santi è la Chiesa che vive in cielo, che ha già raggiunto la gloria.
(3) Notiamo la sensibilità di san Bernardo ai sensi, in questo caso al gusto, più sotto all'olfatto con il profumo, alla vista, al tatto. Egli sembra dipingere con le parole. Accanto ad una teologia profonda rivela un'altrettanta sensibilità all'arte, alla poesia.



L’acquedotto: tramite indispensabile alle sorgenti della grazia


Realmente Bernardo pensa e parla con la Bibbia. L’immagine dell’acquedotto è anche essa biblica. Come non pensare solo a titolo d’esempio, alla profezia d’Isaia riguardante l’Emmanuele? "Il Signore disse ad Isaia: Va’ incontro ad Acaz, tu e tuo figlio Seariasùb, fino al termine del canale (latino aquaeductus) della piscina superiore sulla strada del campo del lavandaio" (Is 7,3).


L’autore attinge anche dall’esperienza personale. L’acqua non si poteva sfruttare senza un canale che la convogliasse là dove doveva servire.


Cristo è la sorgente della vita eterna, la pienezza della vita, la fonte sempre viva, ma questa pienezza giunge a noi per mezzo di un acquedotto, quasi come uno stillicidio, un gocciolio di grazie, per quanto noi, nella nostra limitatezza di creature, possiamo attingere.



"Avete già capito – dice Bernardo – se non erro, di quale acquedotto intendo parlare, acquedotto che ha fatto giungere fino a noi la pienezza della sorgente che è sgorgata dal cuore del Padre, perché ne ricevessimo, se non in tutta la sua abbondanza, almeno nella misura della nostra capacità" (par. 4).


È Maria quell’acquedotto di cui Bernardo intende parlare. È infatti lei che è stata salutata dall’angelo come piena di grazia: "Ti saluto, o piena di grazia" (Lc 1,28) è lei la donna forte, di cui parla il libro dei Proverbi 31,10, profezia di Cristo e perciò profezia anche di Maria. Quest’acquedotto è stato costruito meravigliosamente da Dio stesso, quando è venuta la pienezza, dei tempi, dopo aver atteso cioè tanto tempo: "Ecco perché per tanti secoli il genere umano fu privo dei rivoli della grazia: perché non esisteva ancora il tramite di quel tanto sospirato acquedotto di cui stiamo parlando. E non c’è di meravigliarsi che si sia fatto attendere così a lungo, se si pensa per quanti anni il giusto Noè dovette dedicarsi alla costruzione dell’arca". (par. 4). Il riferimento all’arca serve ad indicare Maria, arca della nuova alleanza, perché portatrice e generatrice del Verbo di Dio. Se nell’antica arca, solo poche persone poterono trovare la salvezza, nella nuova tutti possono raggiungerla.



"Ma in che modo l’acquedotto in questione poté allacciarsi ad una sorgente così elevata? In nessun altro modo, se non con lo slancio del desiderio, con l’ardore della devozione, la purezza della preghiera come sta scritto: "La preghiera del giusto penetra i cieli" (cf. Sir 35,21) " (par. 5).


L’acquedotto ha potuto raggiungere una fonte così sublime per la purezza della preghiera e della vita. Questa è schematizzata con il consueto schema ternario:



  1. la violenza e la forza del desiderio. Quaggiù Dio si può raggiungere solo mediante il desiderio. Più ci si avvicina a lui, più cresce il desiderio di goderlo;

  2. il fervore della devozione, una vita consacrata al Signore non può essere tiepida ma fervorosa: occorre anche notare che devotio, non esprime solo le pratiche di devozione, ma piuttosto la piena consacrazione, de-votio, al Signore;

  3. la purezza della preghiera. Questa, non può essere pura, se non lo è il cuore.

Lo Spirito sopravviene in Maria come un balsamo che effonde all’intorno il suo profumo: " … su di te riverserà il suo unguento prezioso in tanta sovrabbondante pienezza, da farlo straripare copiosissimo da ogni parte" (par. 5).


Per san Bernardo il contemplativo o meglio lo spirituale deve riempirsi dello Spirito Santo per effondere il sovrappiù della contemplazione. Solo così potrà dare senza inaridirsi, perché, come vedremo più avanti, attingerà sempre dalla pienezza della sorgente stessa d’acqua viva.


Maria dispensatrice di grazia e di salvezza


Il piano di Dio è consiglio di sapienza e di pietà. L’uomo deve cercare di comprenderlo o meglio di in-tuere, di conservarlo e di scorgerlo nello stesso tempo già attuato e non ancora nel cuore:



"Considera attentamente o uomo, il piano di Dio, riconosci il disegno della sapienza e della misericordia. Come per irrorare l’aia di celeste rugiada Dio la riversò dapprima tutta sul vello (cfr Gdc 6,36-40), così per riscattare il genere umano ne depose l’intero prezzo in Maria. Per quale ragione agì in questo modo? Probabilmente perché Eva venisse scagionata per mezzo della figlia e l’uomo ponesse fine alle sue recriminazioni nei confronti della donna. D’ora in poi non dirai più, o Adamo: "La donna che mi hai dato, mi ha offerto dell’albero" (Gn 3,12) antico; dirai piuttosto: "La donna che mi hai dato mi ha nutrito col frutto benedetto"" (par. 6).


Maria è la Figlia per eccellenza che ha (ex-tratto fuori) scusato, la colpa della madre Eva. L’uomo non può più accusare la donna di avergli dato da mangiare dall’albero (de ligno) proibito, ma deve piuttosto dire di aver da lei ricevuto il frutto benedetto. (Gesù è il frutto benedetto dell’utero verginale di Maria). "Se elimini il sole che illumina il mondo – dice Bernardo – dove potrai trovare il giorno? Se elimini Maria, autentica stella che brilla sul mare grande e spazioso del mondo, che cosa rimarrà se non avvolgente caligine, ombra di morte e densissima tenebra? " (par. 6).



Maria, nostra avvocata presso il Figlio


Notiamo come, all’inizio del paragrafo sette, siano espressi i motivi, propriamente teologici della venerazione mariana. Venerazione, non adorazione, la quale è rivolta soltanto a Dio. È la volontà di Dio venerare Maria, ma è anche una sua volontà per noi, in nostro favore (motivo soteriologico). Vediamo cosa dice Bernardo:



"Veneriamo dunque Maria dal più profondo del nostro cuore, con i nostri più teneri affetti e desideri, perché così vuole colui che ha stabilito che noi ricevessimo tutto per il tramite di lei. Questa, insisto, è la sua volontà, ma per il nostro bene. Provvedendo in tutto e per tutto a noi miserabili, egli ci conforta nella trepidazione, tiene desta in noi la fede, rafforza la nostra speranza, allontana da noi la diffidenza, nella paura ci infonde coraggio".


Gesù è advocatus, Avvocato, presso il Padre. Maria è advocata presso Gesù: Ad vocatus, letteralmente è colui che è chiamato "ad", vicino presso. Bisognerebbe più propriamente tradurre forse avvocato difensore:



"Avevi paura di accostarti al Padre; al solo sentirne la voce ti nascondevi tra il fogliame? (cf. Gn 3,8-10). Ecco che egli ti ha dato Gesù come mediatore. Che cosa non riuscirà ad ottenere un tale Figlio da un tale Padre? (…) Hai paura anche di avvicinarti a Lui?" Ma è tuo fratello e carne tua... "provato in ogni cosa escluso il peccato" (Eb 4,15), per diventare misericordioso. Te lo ha dato Maria come fratello. Ma forse anche in lui temi la Divina maestà, perché, essendosi fatto uomo tuttavia ha continuato a essere Dio. Vuoi avere un avvocato e presso di lui? Allora ricorri a Maria. In lei l’umanità e certamente pura, e non solo perché non alterata dal peccato, ma per prerogativa naturale. Non ho alcun dubbio nell’affermare che anche lei sarà esaudita "per la sua pietà". Il Figlio esaudirà immancabilmente la Madre, come il Padre esaudirà il Figlio " (par. 7).


In Maria non vi è solo l’umanità, e pura, perché esente dal peccato ma anche un’umanità senza la divinità.


Il Figlio non vorrà certo opporre un rifiuto ad una richiesta della Madre, né il Padre negare qualche cosa al Figlio. Questa è la scala dei peccatori, la nostra fiducia, e la ragione della nostra speranza: "Hai trovato grazia presso Dio" (Lc 1,30) "le dice felicemente l’angelo".


Solo per grazia, siamo salvati. Notiamo la forma passiva.


Non dobbiamo cercare altre cose, afferma Bernardo nel paragrafo otto:



"cerchiamo la grazia, e chiediamola per intercessione di Maria, perché ella ottiene tutto quello che vuole e non resta mai inesaudita. Cerchiamo la grazia, ma presso Dio; presso gli uomini infatti la grazia è fallace. Vadano pure altri in cerca di meriti, quanto a noi preoccupiamoci di trovare la grazia" (par. 8).


Per l’abate di Chiaravalle, i nostri meriti sono la misericordia del Signore, né noi mancheremo di meriti finché il Signore non mancherà di misericordia. "Che se le misericordie del Signore sono molte, anche i miei meriti sono molti" (Sermone sul Cantico dei Cantici, LXI, 5). Prima di tutto viene la misericordia, la grazia. Per grazia siamo in questo luogo e abbiamo abbracciato la vita monastica. Una grazia rivolta non perché eravamo giusti, ma perché eravamo peccatori (4). Un insegnamento fermo che si appoggia a Paolo (1Cor 4,13). La conversione sta alla base della vita monastica. L’esperienza più forte è designata con le parole di Paolo dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia. Essa guarisce le nostre ferite proprio là dove il peccato ha deturpato la rassomiglianza con Dio. Della vita monastica elenca quella che sono le caratteristiche principali: l’umiltà, la conversione di vita e la verginità. Proprio perché Maria è rimasta umile, pur essendo in posizione così elevata da generare in lei il Signore degli Angeli, e, nello stesso tempo, vergine, ha potuto meritare la visita da un angelo.


(4) Un insegnamento fermo che si appoggia a Paolo (1 Cor 4,13). Si appoggia anche, e fortemente, all'esperienza di quei cavalieri che avevano abbandonato il mondo per servire Cristo. Essi avevano fatto l'esperienza della conversione, conversio o meglio conversatio morum, della Regola di S. Benedetto. La conversione della vita, dei costumi, morum, sta alla base della vita monastica.



Maria attinge alla sorgente che sta al di sopra degli angeli


Il discorso si avvia alla parte centrale. Maria è acquedotto, ma acquedotto che deve sempre risalire alla sorgente, "…come cioè non penetri più nei cieli soltanto con la preghiera, ma anche con l’incorruttibilità, la quale, come dice il Saggio, fa stare vicino a Dio" (cf. Sap 6,20).



"È infattii necessario che ella attinga al di sopra degli Angeli quell’acqua viva che deve riversare sugli uomini" (par. 9).


Maria si eleva, sopra gli Angeli, verso la stessa sorgente. Questo perché ciò che avverrà in lei è opera dello Spirito Santo, il quale sopravverrà su lei. Non basta un Angelo per quanto forte e sapiente. In Maria ha operato la Trinità intera. Maria è il capolavoro di Dio. Essa deve salire oltre gli Angeli per giungere a colui del quale essi proclamano incessantemente la santità. In principio era il Verbo e "il Verbo si è fatto carne", uomo, senza per questo cessare d’essere Dio; "e ormai abita fra noi (cf. Gv 1,14).



Abita certamente per mezzo della fede nei nostri cuori (cf. Ef 3,17), abita nella nostra memoria, abita nel nostro pensiero e si degna di abitare perfino nella nostra immaginazione. Poteva infatti l’uomo farsi un’idea di Dio prima dell’Incarnazione, se non si fosse costruito un idolo nel proprio cuore?" (par. 10).



Maria fa gustare ai credenti la memoria dei misteri di Cristo


Dio, "era incomprensibile e inaccessibile, invisibile e assolutamente inimmaginabile" (par. 11). Ha voluto essere visto toccato, pensato, imitato. Sicuramente Bernardo pensa alla Prima Lettera di Giovanni: "Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato, e ciò che le nostre mani hanno toccato, il Verbo della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi" (1 Gv 1-3).


Conseguentemente, quando pensiamo ai fatti della vita di Gesù, dal concepimento all’Ascensione al cielo, noi pensiamo Dio ed è l’unico modo che abbiamo di pensarlo. Ogni fatto della vita di Gesù è mistero e sacramento. Suscitano pensieri di santità e di pace, non solo perché lo sono in sé, ma anche perché li generano in noi. Notiamo in questi passaggi i principi teologici della lectio divina.


Vediamo anche tutta l’importanza della meditazione della vita di Cristo per poi imitarlo nella sequela. S. Bernardo afferma:



"ho sempre detto che meditare tali verità è sapienza, e che è indice di saggezza esternare il ricordo della loro dolcezza, dolcezza simile a quella che il bastone sacerdotale produsse in quantità nelle sue mandorle (cf. Nm 17,16-24), dolcezza che Maria, attingendola nei cieli altissimi, riversò ancor più copiosamente su di noi" (par. 11).



Perché Madre di Dio, Maria è superiore agli angeli


Maria, per la pienezza di grazia è giunta fino agli Angeli, per lo Spirito Santo super-veniente (sopra-veniente) li ha sorpassati. "Negli Angeli c’è carità, c’è purezza c’è umiltà. Ma in queste virtù non fu certo da meno Maria". Non dovrebbero essere queste le virtù principali in un cristiano e a maggior ragione in un monaco o monaca? Queste virtù sono state eminenti in Maria: Ma qual è la sua sovra-eminenza?



"Proseguiamo ora trattando della sua superiorità. "Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto" (Eb 1,5): "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te, stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo; colui che nascerà da te sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio"? (Lc 1,35) ". "Pertanto la maternità della Vergine è gloria eminentissima, e per singolare favore Maria fu resa tanto più eccellente degli angeli, quanto il titolo di Madre che ha ricevuto è superiore a quello dei ministri attribuito agli angeli" (par. 12).


Maria ha il nome ben più eminente di Madre. La grazia ha trovato colei che:



"…Era già piena di grazia, in quanto ardente di carità, integra nella verginità e pia nell’umiltà, ha meritato quest’altra grazia: di concepire senza conoscere uomo e di dare alla luce senza provare i dolori di parto. Ma c’è di più: quello che è nato da lei è chiamato Santo ed è il Figlio di Dio" (par. 12).



Maria modello di collaborazione con la grazia


Il nostro impegno dovrà essere quello di far sì che il Verbo, uscito dalla bocca del Padre per opera della Vergine, non venga a noi invano, ma per mezzo della stessa Vergine ritorni alla sorgente:



"Quanto a noi, fratelli, dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze affinché il Verbo, che dalla bocca del Padre è sceso fino sulla terra per il tramite della Vergine, non ritorni al Padre a mani vuote, ma, sempre per mezzo della medesima Vergine, riceva da noi grazia per grazia. Ricordiamoci bene che, finché viviamo nel desiderio della sua presenza, le grazie devono risalire alla sorgente dalla quale sono scaturite per continuare a fluire con sempre maggiore abbondanza. Se invece non ritornano alla sorgente, si disseccano, e così risultando noi infedeli nel poco non meriteremo di ricevere il massimo (cf. Lc 19,11-27) " (par. 13).


Eruttare (5), un verbo, che per noi ha un senso piuttosto dispregiativo, ma che per Bernardo e i medioevali era segno di una pienezza, in questo caso di cibo, che eruttava al di fuori.


La memoria, certamente nel primo senso della memoria liturgica e anche biblica, è un cibo spirituale che continuamente, masticato e ruminato, (letto e riletto, pregato, ascoltato e cantato) esce nello stesso tempo come pienezza (eructare) e sospiro di una presenza.


Anche noi, come Maria, dobbiamo risalire continuamente alla sorgente perché i fiumi non si dissecchino.


Se rimarremo fedeli all’ombra della memoria senza dubbio otterremo la luce della presenza.


Intanto dobbiamo fare la volontà di Dio e dobbiamo farla come in cielo, " …affinché la lode di Gerusalemme venga stabilita sulla terra", nella gioia e nella festa. L’Angelo non cerca la lode dall’Angelo, ma tutti insieme lodano il Signore. "Mentre sulla terra l’uomo aspira con cupidigia alla gloria che gli può venire da un altro uomo" (par. 14). Perché dunque l’uomo dovrebbe cercarla dall’uomo? "Quale esecrabile perversità!", esclama Bernardo.


(5) Eructemus memoriam donec praesentiam suspiramus: eruttiamo il ricordo, mentre sospiriamo la presenza.



Ai santi si addice la lode



"Taccia dunque fra noi la lingua maldicente, la lingua blasfema, la lingua boriosa, perché è bene per noi "attendere in" questo triplice "silenzio, la salvezza di Dio", in modo che si possa dire: "Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10) ". (par. 14).


Tuttavia, se si deve tacere dalle parole cattive, non bisogna rimanere del tutto muti, "per non costringere anche Dio al silenzio", dice Bernardo:



"Confessa a lui la tua vanagloria, per ottenere il perdono delle colpe passate. Invece di mormorare, ringrazialo per i benefici che ti ha concesso, così che te ne conceda ancora di maggiori. Quando sei scoraggiato parlagli nell’orazione, ed egli ti rassicurerà sulla vita eterna che ti attende. Confessagli, ripeto, le cose passate, per le presenti rendigli grazie e poi pregalo con maggior fervore per le future, affinché anch’egli non si astenga dal pronunciare parole di perdono, di munificenza e di fedeltà alle premesse fatte. Non tacere, torno a ripetere, per non costringere anche lui al silenzio. Parlagli invece, affinché anche lui ti parli e ti possa dire: "Il mio diletto è per me e io per lui" (Ct 2,16). (par. 15) ".


Bisogna parlarne, non agli uomini, ma al Signore. Della millanteria, per ottenere il perdono; della mormorazione, per essere riconoscenti per il passato e ottenere maggiori grazie per il presente; della diffidenza per ottenere la gloria futura. Questa non è la voce di mormorazione, ma quella della tortora:



"Ormai non sarà più considerata straniera colei di cui lo sposo dice: la voce della tortora si è fatta sentire nella nostra terra (Ct 2,12) " (par. 15).


Di che cosa è simbolo questo uccello? Esso è dello stesso genere della colomba, ma assai più piccolo e per lo più di colore bigio. La sua voce è spesso molesta; tuttavia ha qualcosa di piacevole perché annuncia la primavera. Per sentimento comune dei Padri in lei è allegoricamente encomiato il dono della castità, comunicato in speciale modo alla Chiesa, la quale ha sempre avuto un gran numero di persone dell’uno e dell’altro sesso degne di seguire l’Agnello ovunque vada. Le tortore vivono a coppie ed è provato che per tutta la vita non cambiano compagno. Sono quindi simbolo della fedeltà, come esprime san Bernardo. Le tortore, insieme alle colombe erano usate per i sacrifici, soprattutto da persone povere (6). L’amore di Dio è forte e costante ed anche noi dobbiamo rispondergli con la stessa fedeltà e costanza.


Se vogliamo rimanere fedeli al Signore occorre lottare con l’Angelo. È chiaro il riferimento scritturistico che riporto per intero: "Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpi all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto". Gli domandò: "Come ti chiami? Rispose Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai lottato con Dio e con gli uomini ed hai vinto" " (Gen 32,23-28). Occorre combattere fino all’aurora, perseverare nelle prove fino all’esaudimento.


Occorre ricordare che il giorno ebraico iniziava con la sera precedente con il Vespro. Occorreva quindi passare tutta la notte, il tempo dell’oscurità, del pericolo, prima di giungere all’aurora, foriera del nuovo giorno.


(6) Cfr. Bestiario biblico, Cultrera Paolo, Roma, Libreria editrice Vaticana, 2000, pagg. 194-195.



Il Diletto ama pascolare tra i gigli


Il giglio delle valli è il giglio comune abbondante nella terra di Gesù. Perciò lo Sposo del Cantico ama paragonarsi al giglio (7).



"Così dunque il Diletto "si pasce tra i gigli, finché non spiri la brezza del giorno" (Ct 2,16-17) e alla bellezza dei fiori non succeda l’abbondanza dei frutti. Ma intanto, per noi, questo è il tempo dei fiori e non dei frutti, poiché viviamo nella speranza più che nella realtà... " (par.17).


"Camminiamo "nella fede e non nella visione" (2 Cor 5,7) " – aggiunge S. Bernardo – godendo nell’attesa più che del possesso della felicità. Il giglio è un fiore molto profumato, ma anche estremamente delicato. Occorre tener presente la nostra debolezza, "noi abbiamo questo tesoro in vaso di creta" (2 Cor 4,7) ".


Lo sposo, il diletto, ama camminare tra i gigli, "lo sposo non si pasce di un giglio solo, né si accontenta della sua compagnia. Ascolta che cosa dice infatti colui che dimora tra i gigli: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20) " (par.17). Gesù ama, stare nel mezzo, non la singolarità o che ci si apparti in luoghi reconditi (8).


Riguardo ai gigli, mi sembra opportuno ricordare alcuni passi del commento di San Bernardo: "Forse pascersi tra i gigli vuol proprio dire compiacersi del candore e del profumo delle virtù... ? È suo cibo la mia penitenza, suo cibo la mia salvezza, suo cibo io stesso" (Sermone sul Cantico, LXXI 4,5).


(7) Cfr. Erbario biblico a cura di Paolo Cultrera, Roma, Libreria editrice Vaticana, 2000, pagg. 128-132.
(8) Non si intende certo disapprovare la vita eremitica, ma la singolarità; l'appartarsi da soli, oppure a piccoli gruppi, evidentemente per mormorare o per fare congiure.



È sempre gradito quello che si offre a Dio per le mani di Maria



"In Maria egli si pasceva abbondantemente come tra una distesa di gigli. Non sono infatti altrettanti gigli la bellezza della sua verginità, l’eccellenza della sua umiltà, il fulgore della sua carità? Certo, possiamo coltivare anche noi tali gigli, ma saranno di qualità assai inferiore. Ebbene, neppure tra questi lo sposo disdegna di pascersi, purché davvero, come abbiamo detto, una gioiosa devozione illumini il nostro rendimento di grazie, la purità di intenzione renda più gradita la nostra orazione e il nostro atteggiamento indulgente ci ottenga la remissione dei peccati, come sta scritto: "Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve, e se fossero rossi come porpora, diventeranno bianchi come lana" (Is 1,18).


Ad ogni modo, qualunque sia l’offerta che ti appresti a fare, ricordati di affidarla a Maria, affinché per il medesimo canale attraverso il quale la grazia è giunta fino a noi, essa ritorni al Largitore di ogni grazia. Se lo avesse voluto, Dio avrebbe potuto fare a meno di questo acquedotto e donarci la sua grazia direttamente; invece ha pensato bene di servirsi di tale tramite. Forse le tue mani grondano sangue o sono immonde perché non le hai scosse per disfarti di qualsiasi regalo (cf. Is 33,15). Perciò, se non vuoi che risulti a Dio sgradito quel poco che desideri offrire, cerca di affidarlo alle mani amabilissime e degnissime di Maria. Poiché esse sono come altrettanti candidissimi gigli, colui che ama bearsi tra i gigli non potrà lamentarsi di non aver trovato tra i gigli qualunque cosa egli trovi tra le mani di Maria". (par.18).


L’ultimo paragrafo è quasi una conclusione di tutto il sermone. Gesù amava pascolare presso Maria. Trovava in lei gigli profumatissimi e bellissimi: la verginità, l’umiltà. Questi gigli deve trovarli anche in noi, seppure di minor valore rispetto a quelli di Maria. Sono la gratitudine e la gioia, la purezza d’intenzioni e la preghiera, la compassione e la confessione dei peccati. Tutto quello che ci prepariamo ad offrire, facciamolo per mezzo di Maria. Gesù lo gradirà certamente. Chi ama i gigli, non respingerà, né rifiuterà quello che si trovano nelle mani di Maria.

 

Letto 4707 volte Ultima modifica il Sabato, 26 Giugno 2004 10:56

Search