Dall'inno di Maria [il Magnificat] una nota di gioia penetra nella nostra vita, una nota che altrove non ci è dato di ascoltare. Essa non ci raggiunge ad un'altezza verso cui non possiamo protenderci bensì discende nel profondo in cui noi giacciamo. Essa non si presenta con vestito di festa ma nell’umiltà di una serva. È infatti la gioia nelDio che solleva gli umili e sazia gli affamati e realizza le sue speranze in un popolo abbandonato. Ascoltiamo questo inno alla gioia ma accostiamo anche ad esso tutte le nostre lamentazioni e quelle del mondo, che ogni giorno leggiamo sul giornale. Riconosciamo questo Dio, ma non dimentichiamo niente del peso che grava sulle nostre spalle. Lasciamo che questa gioia in Dio penetri nel nostro mondo, in cui il resto è spesso soltanto silenzio. Allora anche noi conosceremo la gioia, l'irresistibile gioia di questo Dio, che è più profonda dei dispiaceri e delle preoccupazioni e possiede un respiro più lungo del male che regna nel mondo.
“L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”, dice Maria. E ciò la pervade con la sua forza liberatrice. Essa dimentica ciò che invece dicono gli uomini cui sono stati fatti ricchi regali. Essa non dice: Io sono contenta. Finalmente qualcuno ha pensato anche a me! No: “L'anima mia magnifica il Signore”, proclama grande colui che è grande e compie grandi cose. È come se volesse dire: Non so più chi sono e ciò che volevo. Essa è presa da un amore insperato che rende insignificanti tutti i suoi desideri. Perciò essa è letteralmente “fuori di sé” per la gioia e si dimentica, dimentica la sua fame di vita e il suo desiderio difelicità. Ciò è ben più del respiro di un essere liberato dall'indigenza. È la felicità di un essere per il quale la presenza di Dio e la visione del suo regno sono divenute più importanti dei propri interessi. È inoltre in maniera unica il compimento di un essere umano che viene reso letteralmente corpo materno del salvatore del mondo. Le convulsioni dell'autosoddisfacimento e il tormento delle autocritiche sono lontani da Maria. La sua gioia in Dio è senzapaura ma anche senza orgoglio. — “L'anima mia magnifica il Signore”.
Osserviamo ancora un istante Maria, anche se essa è tutta intesa ad allontanare da sé gli sguardi. Chi era essa prima di quest'ora? Un nessuno o un qualcuno, come noi. Una contadina di Galilea, fino a quando il Signore l'ha eletta e l'ha resa madre di Cristo. Non perché sia pura e bella essa viene amata, ma viceversa, perché è amata ed eletta da Dio essa diviene pura e bella nei suoi sentimenti. Chi sarà essa dopo quest'ora? Conosciamo un po' il suo destino: il parto in una stalla a Bethlehem e, da ultimo, le sue lacrime sotto il patibolo del figlio suo sul Golgotha. Ma tutto questo: la sua origine e la domanda: Chi sono io? — e il suo avvenire e la domanda: Che sarà di me e del mio bambino? sono qui dimenticati. Qualunque sia il passato che ci grava addosso, qualunque sia il futuro che ci attende — “l'anima mia magnifica i! Signore e il mio spirito esulta in Dio”. Prima di pensare se ciò che le viene incontro è amore o sofferenza, essa esulta in Dio; gode ch'egli sia ora presente, che egli venga e colmi le speranze degli uomini abbandonati. Al di là del bene e del male qui si annuncia una svolta nella derelizione che incombe su tutti gli uomini, e Maria ha visto ciò spontaneamente; Dio stesso viene e infrange le tenebre che avvolgono la terra e ogni vita: “Anche sopra di te si leva il Signore e la sua gloria appare sopra di te” (Is, 60,2). Nella sconosciuta ragazza di Galilea avviene qui perciò ben più che un privato lenimento della indigenza e un po' di fortuna. Qui si annuncia la svolta di tutte le cose. Il liberatore dalla colpa, dalla violenza e dall'oppressione sta per nascere. Per questo Maria esulta in Dio con tutto il suo essere. La sua gioia è pura, perché essa non vuole servirsi di Dio per godere della sua vita e del suo bambino. Essa dona la sua vita e la dona all'alba del nuovo giorno della liberazione, Che senso hanno qui ancora le nostre domande egoistiche: Dove vivo? Che sarà di me? Qui rimane soltanto una cosa: “Cancella il tuo io e sarai beato” (Lutero), poiché Dio viene ed è già vicino a te. Noi cerchiamo la nostra felicità all'esterno e corriamo affaccendati e ci affatichiamo molto per conquistarla. Ma Dio è già qui, in mezzo a noi in questo figlio di Maria, in Gesù. E con lui la liberazione e la felicità, la dilezione e l’amore ci sono divenuti molto più vicini di quanto non pensiamo. Chi ammette ciò non ha più bisogno di andare alla caccia della felicità, non ha neppure più bisogno di diventare diverso. Egli ha solo da accettarsi così come è, perché è stato accettato da Dio come e dove si trova.
La gioia di Dio, notiamo nell'inno di Maria, è tranquillità e serenità piena. Non si devono più stringere i denti, ma ci si può abbandonare ad essa che ci strappa a noi stessi e ci immette nella corrente della libertà. Per questo Maria dice qui con disinvolta apertura: “Egli ha riguardato la bassezza della sua serva”. Essa non si vergogna della sua insignificanza. Essa non ha bisogno di dar da intendere nulla a Dio e agli altri. Se Dio ha guardato la sua bassezza vuol dire che essa può addirittura gloriarsi e rallegrarvisi. Nella sua beata bassezza i figli e i figli dei figli, come è detto qui, per amore di Cristo la celebreranno e non la dimenticheranno.
Come invece noi siamo continuamente indaffarati a superare la nostra bassezza e a raggiungere un posto al sole nella vita, a dare da intendere qualcosa a noi stessi e agli altri. Ma Dio non guarda il fariseo o lo zelota che desideriamo essere, ma il povero diavolo che siamo e non vogliamo essere. Egli non ci prende sul serio là dove noi vorremmo essere rispettabili, ma ci libera là dove siamo semplicemente miserabili. Per questo la gioia nella sua liberazione è più profonda della paura che è sempre legata alle nostre immaginazioni.
In tal modo questo Dio diviene la trasvalutazione di tutti i valori del non-uomo. Il cantico di Maria dice tutto questo. Esso è sovversivo. È l'inno di una grande rivoluzione della speranza, poiché questo Dio, nel quale Maria esulta così filialmente, rende supremo ciò che è infimo. “Egli ha fatto grandi cose con il suo braccio, ha distrutto quelli che si inorgogliscono nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha esaltato gli umili. Ha colmato di beni gli affamati, ed ha rimandato vuoti i ricchi”. Questa è in realtà sovversione e forza. Questo inno risuona come la marsigliese del fronte cristiano di liberazione nelle lotte tra le potenze e gli oppressi di questo mondo. E nella Bibbia a cantare tali inni sovversivi sono sempre delle donne. Così cantò Mirjam al momento dell'esodo di Israele dall'Egitto accompagnandosi col timpano: “Celebriamo il Signore: egli si è coperto di gloria; egli ha gettato in mare cavallo e cavaliere” [Es. 15,20-21). Così cantò Anna (1Sam. 2,4): “L'arco dei potenti è spezzato, ma i deboli sono cinti dì forza”. E così qui inizia la storia di Cristo con il cantico di Maria al Dio rivoluzionario. “Dio” non è una decorazione solenne per le nostre feste. Dio è un Dio terribile e, per questo, anche magnifico. “Egli conduce fino agli inferi e riconduce indietro”. Dal deserto, dalla desolazione e dalle tenebre egli chiama in vita la sua creazione. Egli libera gli israeliti schiavi e getta in mare con i loro carri e le loro fruste gli schiavisti egiziani. Egli proclama giusto il Giobbe tentato e accusatore mentre svergogna i suoi pii amici. Egli riconduce dalla morte alla sua gloriosa libertà il Gesù maledetto dalla legge e crocifisso dal potere romano. Questo Dio pertanto arriva là dove noi uomini non vogliamo essere ma spesso vi condanniamo a vivere gli altri, là egli fa sorgere il suo regno. Per questo Gesù proclama beati i poveri e deplora il destino dei ricchi. Per questo il povero Lazzaro riposa “nel seno di Abramo” e il ricco epulone è posto nell'inferno. Per questo Gesù proclama beati i sofferenti e non coloro che infliggono sofferenza agli altri. Per questo egli rende suoi alleati coloro che hanno fame di giustizia e non coloro che violano il diritto con la forza. Chi quindi chiama per nome questo Dio parla di un “fatto che tutto sconvolge”, parla di una grande trasvalutazione di tutti i valori. Egli con Cristo vede irrompere un futuro in cui i potenti vengono gettati a terra, i ricchi vengono rimandati a mani vuote e i superbi, i furbi e i saggi vengono dispersi. Egli con Cristo vede irrompere un futuro in cui gli umili vengono esaltati e si esaltano, e gli affamati vengono colmati di beni e si rallegrano.
Jürgen Moltmann
(testo tratto da Il linguaggio della liberazione, Brescia 1973, pp. 127-127)