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Sabato, 19 Giugno 2004 15:48

9. Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? (P. Alberto Valentini)

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CHI È MIA MADRE
E CHI SONO I MIEI FRATELLI
di P. Alberto Valentini



Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.
Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano».
Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?».
Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli!
Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»
. (Mc 3, 31-35).


Il brano sinottico concernente "la madre e i fratelli di Gesù" (Mc 3, 31-35; Mt 12,46-50; Lc 8,19-21) appare particolarmente difficile; non tanto in sé, ma per le interpretazioni parziali e talora polemiche alle quali è stato sottoposto. L'episodio continuerà probabilmente a suscitare discussioni, soprattutto nella redazione di Marco: un testo misterioso e sconcertante per alcuni e un cavallo di battaglia per altri, che vi scorgono un forte pregiudizio nei confronti della famiglia di Gesù e di sua madre. Le posizioni difficilmente evolveranno finché non si prenderà atto che:


- l'intento di questa tradizione sinottica e' positivo, non negativo: si parla della vera famiglia di Gesù, non dell'esclusione di quella naturale;


- non si tratta di un testo antimariano, per il semplice fatto che la pericope non è mariana, ma si occupa della madre e dei fratelli solo in rapporto al Regno;


- Mc 3,31-35 non dev'essere strettamente congiunto e tantomeno reso dipendente da 3,20-21, anche se allo stato attuale i due brani presentano un innegabile collegamento;


- le pericopi non vanno studiate e comprese isolatamente, ma alla luce del contesto immediato e remoto; anzitutto sincronicamente e sullo sfondo della teologia del redattore, e poi diacronicamente, prestando attenzione allo sviluppo delle tradizioni e agli apporti redazionali dei diversi autori del Nuovo Testamento, tenendo presenti le riletture dell'antica tradizione ecclesiale.


Alla luce di queste ed altre premesse - che permettono di intendere la Parola secondo lo spirito con il quale è stata scritta e trasmessa - si può comprendere quanto fragili e riduttive siano le interpretazioni suggerite dalla polemica e inversamente dall'apologetica. Non è più tempo di superficiali e sterili diatribe, ma di religioso ascolto della Parola nella sua densità e globalità: è la condizione, secondo Luca (8,2 1), per entrare nella famiglia di Gesù; è fare la volontà di Dio, nella prospettiva di Marco e Matteo (cf Mc 3,35; Mt 12,50).


In queste riflessioni ci soffermeremo sul brano di Marco, sia perché costituisce il testo-base, cui Matteo e Luca si richiamano o dal quale si differenziano, sia perché pone particolari problemi e suscita maggiori perplessità.



La prima difficoltà, vera "pietra d'inciampo" - che talora impedisce una lettura adeguata, secondo i criteri sopra accennati - è costituita dal v. 3,21, al quale la pericope 3,31-35 è legata in maniera più o meno diretta. Circa tale legame, da qualche decennio sembra divenuto di moda parlare di struttura a sandwich, di Framings, Ineinanderschachtelungen, Verschmelzungen..., termini ed espressioni che possiamo rendere con intercalazioni, strutture ad incastro, a forma concentrica... : un procedimento che compare con relativa frequenza nel vangelo di Marco. Esso consiste nell'interrompere un brano già avviato, introducendo un tema differente che spezza la narrazione, per poi riprendere il brano iniziale portandolo a conclusione. Uno degli esempi più evidenti e noti di questo genere è il racconto della figlia di Giairo, frammezzato dall'episodio dell'emorroissa e ripreso dopo tale interruzione (Mc 5,21-24.[25-34]35-43).


Secondo diversi autori, gli esempi di tale procedimento sarebbero piuttosto numerosi; ma proprio per questo i singoli casi devono essere vagliati con attenzione. Bisogna chiedersi se esista effettivamente continuità tra i due brani collegati e se realmente si possa parlare di struttura ad incastro. In una tesi di laurea, dedicata al nostro argomento e sostenuta presso l'università Gregoriana, A. Yoonprayong nega che in 3,20-35 si possa parlare di procedimento a sandwich. Mancherebbero componenti decisive come la continuità dei principali caratteri del racconto, un sufficiente accordo tra i soggetti e i verbi delle due parti, e in particolare l'effetto dei verbi della prima parte sulla seconda.


In realtà, coerenza e continuità tra i vv. 20-21 e 31-35 non sembrano evidenti: i soggetti sono diversi, come pure le intenzioni che essi manifestano, né si dà continuità a livello di conclusione. D'altra parte, perché si possa parlare di struttura concentrica si richiedono elementi obiettivi, molteplici e convergenti: solo in tal caso gli indizi sono probanti.


Detto questo, bisogna però riconoscere che tra i vv. 31-35 e 20-21 esiste un collegamento formale e tematico che merita attenta considerazione. C'è discussione tra gli studiosi se il blocco 3,20-35 risalga alla tradizione premarciana o se l'evangelista abbia ricevuto i tre episodi indipendenti e li abbia collegati così come adesso si presentano, o ancora se egli abbia diviso una tradizione unitaria tradizionale circa i parenti (3,21.31-35), inserendovi l'episodio degli scribi (vv. 22-30). Senza pretendere di risolvere tale problema, del resto non decisivo per noi, prendiamo atto della struttura tramandataci.


Nel blocco 3,20-35 si hanno dunque tre parti, riguardanti i parenti, gli scribi e la famiglia di Gesù, ma in realtà siamo di fronte a due temi che prendono l'avvio e sono raccordati dal v. 21: il primo, quello del 'incredulità nei confronti di Gesù, che trova accomunati - anche se a livelli nettamente diversi i parenti e gli scribi; l'altro, riguardante la vera famiglia di Gesù, nei confronti della quale sia oi par autou (coloro che gli stanno intorno) la madre e i fratelli sono fuori, in rapporto non tanto alla casa, ma a coloro che sono dentro, vale a dire intorno a Gesù.


 



In tale contesto, aperto dalla scena dei familiari e concluso dalla venuta della madre e dei fratelli, l'episodio degli scribi, oltre che aggiunto, sembra anche piuttosto marginale. Ciò è vero, ma bisogna affermare, paradossalmente, che tale inserzione (vv. 22-30) è responsabile per buona parte del clima negativo che grava sul v. 21 - col quale è collegata - e in qualche misura anche sui vv. 31-35, che immediatamente seguono.


Eppure il brano concernente gli scribi è profondamente diverso. La sua diversità, già insita nel fatto che si tratta di un elemento che interrompe il discorso, appare da molteplici indizi. Gli scribi non sono uditori occasionali, ma ascoltatori puntigliosi e sistematici del Maestro, pur non facendo parte della folla, né tantomeno dei discepoli: sono personaggi che si pongono sulle orme di Gesù per spiarne - direbbe Paolo - la libertà evangelica (cf Gal 2,4). Messi in discussione dalla sua azione e dalle sue parole - Gesù parla con autorità e non come gli scribi (cf Mc 1,22) -, essi compaiono fin dall'inizio del suo ministero e ne ostacolano in ogni modo lo svolgimento. Dopo un'impressionante sequenza di dispute (cf 2,1-12; 2,13-17; 2,18-22; 2,23-26; 3,1-6), giungono alla determinazione - già nella prima fase del ministero galilaico - di eliminare Gesù (cf Mc 3,6). Gli scribi, menzionati non di rado insieme con farisei, sommi sacerdoti ed anziani, ed anche con gli erodiani, sono gli avversari dichiarati di Gesù, il quale nei loro confronti usa un atteggiamento di severità e durezza estreme. Qualificandoli, nel nostro caso, con la formula "venuti da Gerusalemme", Marco li presenta come "I peggiori nemici", essendo Gerusalemme, nel secondo vangelo, la città notoriamente ostile a Gesù.


La punta estrema e isolata dell'incomprensione e del rifiuto, nella nostra pericope, si ha pertanto nei vv. 22-30: a differenza degli stessi spiriti maligni, che confessano la sua messianicità, gli scribi di Gerusalemme lo accusano di essere indemoniato - Lui che è venuto per distruggere le opere del diavolo (cf 3,27)- e di agire col potere del principe del demoni.


Nel confronto con i personaggi dei vv. 22-30, oi par autou risultano del tutto diversi e il loro giudizio, per quanto obiettivamente grave, si riduce a ripetere una voce (elegon) raccolta forse dagli stessi scribi (come potrebbe suggerire il vicino elegon del v. 22), ma senza la carica di negatività presente nella posizione di questi ultimi: si noti che l'accusa di peccato contro lo Spirito lanciata da Gesù, non è legata alle parole dei parenti ("è fuori di sé", v. 2 1), ma a quelle degli scribi ("ha uno spirito immondo", v. 30; cf v. 22). "I suoi" non vengono da Gerusalemme, né fanno parte delle autorità che han già deciso il suo destino: si muovono piuttosto per difenderlo e sottrarlo ad una situazione che a loro parere rischia di travolgerlo.


Ma chi sono concretamente i personaggi indicati con quel vago oi par autou? Rinunciando a spiegazioni ingegnose, ma poco convincenti, proposte da alcuni studiosi anche recentemente, e senza la pretesa di volerli identificare con esattezza, diciamo che sono quelli "dalla parte di Gesù"; possiamo qualificarli come familiari in senso lato, nei confronti della madre e dei fratelli che sarebbero i familiari più stretti. Il loro giudizio su Gesù: "è fuori di sé" e i loro intenti di "impossessarsi di lui", per quanto forse condizionati, rivelano un atteggiamento di forte incomprensione. Nonostante il dubbio formulato da Taylor, che i parenti "abbiano detto più di quanto effettivamente pensassero", oi par autou possono essere assimilati ai personaggi nazaretani - tra i quali sono inclusi anche quelli della sua casa e della sua famiglia - i quali "si scandalizzavano di lui", suscitando lo stupore di Gesù a motivo della loro incredulità (cf 6,1-6). Della mancanza di fede dei parenti abbiamo testimonianza anche nella tradizione giovannea (cf Gv 7,5). Ma si badi, né in ambito sinottico, né in contesto giovanneo si accenna mai a carenza di fede da parte della madre di Gesù. E neppure la si coinvolge, almeno esplicitamente, in iniziative in contrasto con la missione del Figlio.


 



Siamo così introdotti nel terzo episodio - quello della madre e dei fratelli, che conferma quanto ora si è affermato. Il brano non soltanto non presenta alcun contatto con la pericope degli scribi, nonostante la vicinanza, ma rivela un clima diverso anche nel confronti del v. 21: qui non c'è nessun giudizio o pregiudizio nei confronti di Gesù, né si ha intenzione di condizionarne l'attività. Più che le affinità, tra i vv. 20-21 e 31-35 emergono le differenze: i personaggi dei vv. 31-35 non necessariamente sono da identificare con quelli del v. 21; la stessa ambientazione della scena è diversa: la madre e i fratelli restano fuori e mandano a chiamare Gesù non a causa della folla che riempie la casa (come nel v. 20), ma a motivo della gente seduta intorno a Lui. Il fuori, che non è semplice indicazione spaziale, si spiega in rapporto al dentro, dove sono quelli che ascoltano il Maestro: in tale scenografia, Gesù appare come il centro di una cerchia interiore, di una nuova famiglia, che si distingue da tutti coloro che sono all'esterno, compresi i suoi familiari. Tale cerchia non va confusa con la folla del v. 21, nonostante il lettore sia portato ad identificarle. L'episodio dei vv. 3lss non si fonda su alcun precedente: "Nulla in 31-35 fa pensare a 3,21" (B. RIGAUX). Attenzione in 3,31-35 è centrata sulle parole di Gesù e non sulle intenzioni e le parole dei parenti.


Le differenze tra i vv. 31-35 e 21 sono dunque molteplici e di non lieve entità. Tuttavia il loro inserimento in una struttura del tipo A-B-A', nel blocco di 3,20-35, non si può ridurre a semplice artificio letterario: certamente i due episodi nell'intenzione dell'evangelista obbediscono ad una medesima tendenza. La domanda-risposta di Gesù circa la sua vera famiglia costituisce non solo il punto centrale dei vv. 31-35, ma influenza in qualche modo anche il v. 21.


Non sarebbe dunque la scena del v. 21 a condizionare quella dei vv. 31-35 - come frequentemente si sostiene - ma è quest'ultima, più articolata ed esplicita, caratterizzata dalla parola autorevole di Gesù, ad illuminare l'episodio del v. 21. Sullo sfondo dei vv. 31-35, la prima scena - molto breve e senza alcuna conclusione - appare più compiuta e positiva. I due episodi, lo ribadiamo, nonostante le differenze e l'originaria indipendenza, rivelano una medesima tendenza: affermare la nuova famiglia, costituita da quelli che sono dentro, seduti intorno al Maestro e aperta a tutti coloro che fanno la volontà di Dio. Tale famiglia è fondata sull'ascolto della Parola di Gesù espressione concreta della volontà del Padre - e si distingue, perfino si contrappone a tutti coloro che sono fuori, non esclusi i familiari. I vv. 31 – 35, sia ben chiaro, non intendono rifiutare la madre e i fratelli di Gesù, ma affermare positivamente la nuova famiglia spirituale ed escatologica nella quale gli stessi parenti sono invitati ad entrare.


L'assoluto del Regno ha segnato, anzitutto, l'esistenza di Gesù, il quale ha lasciato ogni cosa per dedicarsi alla sua missione e alla famiglia escatologica da Lui inaugurata. La sua dedizione al disegno del Padre è così radicale e totalitaria da causare l'incomprensione dei parenti, i quali si decidono a intervenire ritenendolo fuori di sé. Per tale forma di vita, Gesù ha costituito i "dodici" ("li fece dodici perché stessero con Lui" [3,14]); al medesimo genere di esistenza, subito dopo, invita i suoi familiari. La scelta dei dodici (3,13-19), che costituiscono il nucleo centrale della famiglia spirituale ed escatologica, precede infatti immediatamente la pericope dei parenti (3,20-35). Tale famiglia non è limitata, come quella terrena, ad alcuni con esclusione di altri, ma è spirituale ed universale: vi appartengono tutti coloro che fanno la volontà di Dio.


 



L'intenzione della nostra pericope pertanto non è polemica, anzitutto, ma kerigmatica: lo scopo non è di svalutare la famiglia terrena, ma di affermare la priorità e la necessità di entrare a far parte della comunità escatologica, attraverso la parola di Gesù e il compimento della volontà del Padre.


La necessità di passare da fuori a dentro risponde alla concezione marciana circa il segreto messianico del Figlio dell'uomo, che percorre tutto il vangelo. E un segreto che nessuno comprende, neppure i discepoli, i "dodici" e lo stesso Pietro - nonostante la professione di 8,29 - finché non sarà svelato dalle parole del centurione ai piedi della croce (15,39).


Su tale sfondo, si ridimensiona il contrasto - spesso notevolmente gonfiato - con la famiglia di Gesù, almeno come elemento caratterizzante della pericope. La "durezza" del linguaggio di Marco, del resto, è cosa ben nota: non soltanto i suoi nemici gerosolimitani vengono presentati ostili a Gesù, ma anche i suoi concittadini e familiari (cf 6,1-5); gli stessi discepoli appaiono dissociati da lui, mancano di fede (4,10), sono tardi a comprendere (4,13; 6,49-52; 7,18; 8,17-21; 9,32). Tale incomprensione e dissociazione si manifesterà soprattutto nella passione: nessuno come Marco ha sottolineato la solitudine di Gesù e l'abbandono da parte di tutti (cf 14,50).


Si dissolve così anche la presunta interpretazione "antimariana" della pericope: un aspetto che non emerge dal testo, per il fatto che in esso non è riscontrabile alcuna diretta intenzione mariologica. La madre di Gesù viene nominata insieme con i fratelli e le sorelle per affermare che la nuova parentela, che si instaura con Gesù e intorno a Gesù, presenta i connotati di una vera famiglia, non di semplice fraternità.



Ad eliminare dalla pericope ogni eventuale influsso negativo, derivante dal v. 21, hanno provveduto Matteo e Luca, i quali concordemente hanno omesso la scena dei parenti che vanno per impadronirsi di Gesù. Così facendo, essi hanno liberato il testo non solo dai pregiudizi derivanti dal v. 21, ma anche - sciogliendo la struttura concentrica A-B-A' di Mc 3,20-35 dall'influsso proveniente dall'episodio degli scribi.


Si noti che gli altri due sinottici, i quali hanno eliminato la prima scena, non hanno incontrato difficoltà nel riferire l'episodio della madre e dei fratelli, che pure costituisce una netta presa di posizione nei confronti della famiglia terrena di Gesù. Matteo non solo ripropone con immutata forza le medesime esigenze del Regno, ma, come Marco, addita la nuova famiglia in alternativa a quella naturale.


Luca, pur insistendo sulla comunità spirituale di Gesù, evita di contrapporre i due gruppi. Egli omette la domanda discriminante di Gesù ("chi è mia madre e chi sono i miei fratelli"), col gesto degli occhi o della mano, presenti rispettivamente in Marco e Matteo (cf Mc 3,33-34; Mt 12,48-49), ed esprime in positivo la condizione richiesta per essere madre e fratello di Gesù: l'ascolto e la pratica della parola di Dio. In ciò è evidente una trasformazione del logion riferito da Marco; non meno evidente è la sottolineatura della figura di Maria, quale credente (cf Lc 1,38.45; 2,19.51 b; 11,28), madre prima nella fede e poi nella carne. Ciò viene confermato dalla disposizione redazionale dell'episodio:


Luca colloca la scena della madre e dei fratelli, in un contesto diverso rispetto a Marco e Matteo: mentre questi riferiscono il brano prima della sezione delle parabole, Luca lo pone dopo di essa, presentando la madre di Gesù quale "terra buona", che accoglie la Parola, la custodisce e produce frutto nella perseveranza (cf Lc 8,15).


In conclusione - al di là di queste ed altre differenze dovute ai redattori ci sembra di poter affermare con B. Maggioni che: "In nessuno dei tre vangeli si scorge, nell'episodio preso in esame, un qualche tratto direttamente mariologico, se non la preoccupazione (assente in Marco, ma profondamente presente in Luca) di togliere qualsiasi ombra dalla figura della Madre. Si può dunque parlare di una crescente attenzione mariana, non però di una teologia mariana"; in ogni caso, è escluso un atteggiamento negativo nei confronti della madre di Gesù.


 

Letto 3800 volte Ultima modifica il Sabato, 26 Giugno 2004 10:59

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