Gli Atti degli Apostoli e il loro valore storico
La tesi di M. Hengel sull’affidabilità di Lc storiografo
Ci si può fidare delle opere di storiografia antica? Nell’antichità si trovano da sempre tendenze a ridurre la materia raccolta dalle fonti di prima mano in compendi storiografici più sintetici: è il modo di agire proprio dello storiografo, a differenza del "piacere di fabulare" caratteristico di chi scrive romanzi e tende ad ampliare un nucleo narrativo con l’aiuto della fantasia (cfr il romanzo aretologico). I vangeli e gli atti non sono certo romanzi religiosi: dunque si tratta di racconti storicamente affidabili, che rivelano un nucleo storico difficile da ricostruire non per la scarsa fedeltà dell’autore ai dati oggettivi, bensì per la loro compendiosità. Sono la classica "punta di iceberg": dai pochi dati riferiti occorre ricostruire scenari più ampi, ben chiari all’autore ma sconosciuti a noi. "Perciò non è possibile affermare senz’altro, come oggi accade sovente che del periodo iniziale de cristianesimo Luca sapeva solo ciò che riferì. Egli sapeva senza dubbio assai di più di quanto mise per iscritto e se non disse certe cose, ciò fu per motivi ben precisi" (M. Hengel, La storiografia protocristiana, Paideia 1985, 59).
Per la ricostruzione storica sono forse più importanti delle narrazioni lucane i documenti di prima mano come le lettere di Paolo; ma At offrono il contesto ermeneutico necessario per inquadrare i dati, contesto senza il quale gli elementi riferiti da Paolo non sarebbero neppure recepiti come significativi. Del resto Pl e At si integrano abbastanza bene e non si contraddicono mai. Né si registrano conflitti con altre fonti storiografiche coeve (Flavio Giuseppe) o con i reperti archeologici.
Il tentativo di negare l’affidabilità agli scritti di Luca è sorto in nome della rivalutazione teologico-letteraria dei vangeli: se gli evangelisti hanno scritto dei vangeli con una ben definita chiave teologica (e non racconti storiografici neutri ideologicamente) non sono da ritenersi "storia". Ma il concetto di "storia" che avevano gli antichi è diverso dal nostro: di nessun personaggio dell’antichità si può ricostruire la storia come la vorremmo oggi. Le narrazioni evangeliche prendono a modello quelle dell’AT (storie dei patriarchi ecc.) nella chiara consapevolezza che la storia di Gesù è storia di salvezza per tutti: storia, appunto, non fantasia. L’interesse teologico e quello storico sono una sola cosa, se si parte dall’assunto dell’incarnazione: storia e kerygma non si oppongono ma si coappartengono, perché da un lato la salvezza si compie nella storia, dall’altro la narrazione storica è un invito ad un consenso di fede e non si ferma al resoconto di cronaca.