I Dossier

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Salvezza in Cristo e vita cristiana

di Pietro Rossano


L’EVENTO CRISTIANO




Gesù Cristo

1. Il cristianesimo prende origine da Gesù Cristo, personaggio storico, nato, vissuto e morto nella antica Palestina situata all’incontro di tre continenti e civiltà, l’Asia, l’Africa e l’Europa. Dall’anno della sua nascita prende origine il calendario moderno.

2. Gesù Cristo nacque a Betlemme da una vergine di nome Maria, della stirpe d’Israele, che lo aveva concepito per un intervento straordinario dello Spirito di Dio, e trascorse la più lunga parte della sua esistenza nel silenzio e nel lavoro quotidiano, nel piccolo villaggio di Nazaret.

3. Aveva circa 30 anni quando iniziò con autorità tra i suoi conterranei una predicazione pubblica, portando a tutti ed a ciascuno questo annuncio decisivo: « Dio vi chiama a convertirvi, a credere in lui e ad entrare nel suo Regno ». un invito pressante al rinnovamento spirituale, ma anche un annuncio di liberazione e di gioia: in Gesù, Dio si rivolge agli uomini per invitarli ad entrare in comunione con lui, e ricevere da lui la felicità alla quale aspirano.

4. Proclamò beati gli umili, i miti, i giusti, i misericordiosi, gli amanti della pace, i semplici e i sinceri; richiese il coraggio della rottura con ogni forma di peccato, anche a costo dei massimi sacrifici, dischiudendo gli orizzonti della vita futura: « Che giova all’uomo, disse, guadagnare anche tutto il mondo se poi reca danno all’anima sua? ». Insegnò a ciascuno a sentirsi piccolo davanti a Dio, a considerare gli altri come fratelli e ad essere pronto a perdonare, così come Dio realmente perdona a ogni uomo- In tal modo diede a tutti una speranza, e la possibilità di rivolgersi con fiducia a Dio.

5. Benedisse il lavoro e la famiglia, condivise il dolore e le esperienze della vita, considerò di pari dignità l’uomo e la donna, predilesse i bambini, apprezzò i valori dell’amicizia e della nazione. Prima di morire diede ai suoi discepoli questo distintivo: « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati: da questo gli uomini conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete a vicenda ».

6. Per condiscendenza verso le sofferenze degli uomini e per significare che la salvezza di Dio era presente in lui, operò molti prodigi, guarendo ciechi dalla nascita, facendo camminare storpi e paralitici, risuscitando morti; dimostrava così con i fatti di essere veramente l’inviato di Dio sulla terra.

7. Di sé e della sua missione rivelò personalmente ai discepoli quello che potevano capire, promettendo dopo la sua morte l’invio, da parte di Dio, dello Spirito, che li avrebbe introdotti nella pienezza della comprensione e della verità. Chiamò sempre Dio suo Padre, e parlò di sé come del Figlio, inviato dal Padre, con poteri eguali ai suoi, ma sottomesso in tutto alla sua volontà, della quale disse di nutrirsi come di cibo.

8. Lo scopo della sua esistenza era il compimento di una missione che egli spontaneamente adempiva in spirito di obbedienza e di amore. Disse di essere venuto « non per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto per gli uomini ». Raffigurò se stesso nell’immagine del pastore buono che dona la vita per le sue pecorelle, e paragonò la sua morte al grano di frumento che si dissolve nella terra al fine di risorgere e portare molti frutti.

9. Le sue parole e il suo comportamento urtarono la suscettibilità dei capi religiosi del popolo, i quali decisero di sopprimerlo; ma egli, pur consapevole dei pericoli che si addensavano sulla sua via, non fece nulla per evitarli, fino al giorno in cui, catturato, fu consegnato prigioniero al governatore romano Ponzio Pilato. Questi, per debolezza e per calcolo, lo condannò al supplizio infamante della croce, sulla quale morì affidando la propria vita al Padre e perdonando ai crocefissori. L’ufficiale romano che aveva guidato il picchetto di esecuzione dopo averlo visto spirare esclamò: « Veramente quest’uomo era il figlio di Dio ».

10. Fu seppellito da alcuni discepoli, e sulla tomba i nemici presero misure di sicurezza; ma ciò nonostante al terzo giorno il sepolcro fu trovato vuoto e Gesù apparve risorto, come aveva promesso, e si manifestò più volte e con evidenza ai discepoli, i quali in seguito diedero testimonianza di averlo veduto risorto con i propri occhi, e toccato con le proprie mani. Poi un giorno, alla loro presenza, si levò verso il cielo e scomparve, ponendo termine alla sua missione visibile sopra la terra. Annunciò che sarebbe tornato solennemente alla fine dei tempi, per raccogliere i frutti del seme da lui gettato, e dare a ciascuno secondo le sue opere.

11. Le parole e i gesti principali di Gesù sono stati raccolti dai discepoli nei quattro libretti dei Vangeli; essi costituiscono per i cristiani la parte più preziosa del Nuovo Testamento, (1) e contengono l’annuncio e la testimonianza che gli Apostoli diedero di lui. Dai Vangeli la sua figura continua a emergere nella storia, ponendo a tutti gli uomini il problema capitale della sua persona e della sua missione: « E voi chi dite che io sia? ».


Nota

1) Sulla Sacra Scrittura dei cristiani, la Bibbia, e sulle due parti dell’Antico e Nuovo Testamento di cui si compone, vedasi il n. 3 del c. « La sapienza cristiana » e il n. 31 del c. « La vita cristiana ».

A proposito dell’Antico Testamento è normale che ci si chieda se, nella varietà del suo formarsi per una lunga serie di secoli e attraverso situazioni storiche, politiche e sociali quanto mai diverse, esso conservi – e come – una sua unità.

Mercoledì, 12 Marzo 2008 00:21

Il mio nome è Nessuno (Marco Galloni)

È possibile, fatte le dovute distinzioni, trovare non poche somiglianze tra l’Odissea e la Bibbia, se non nel genere letterario certamente in alcune delle tematiche affrontate.

Domenica, 09 Marzo 2008 01:40

Religione e spiritualità (Frei Betto)

di Frei Betto

Molti, oggi, hanno una spiritualità che prescinde dal credere in qualcosa e dall’appartenere a un gruppo o movimento religioso. Una spiritualità che non s’identifica con la religione per sé, ma è avvertita come connessione attiva e vitale a una forza o a una percezione di un più profondo “sé”. Non di meno, può significare una chiara apertura alla trascendenza.

di Luciano Manicardi

Il mistero pasquale della morte e risurrezione d Gesù raggiunge nel profondo il cuore della persona umana. Lo raggiunge come liberazione dalla paura della morte e dono di una vita intensa e capace di bene. Il dono pasquale risana la creatura umana e la sottrae da quell’itinerario distruttivo che dalla non accettazione del limite conduce alla paura della morte, fino alla visione del mondo come oggetto di consumo.

La “violenza” della mitezza,
nuova sapienza dell'umanità

di Giovanni Nicolini



Il mondo è invaso da odio e inimicizia. Ma Dio lo ama così com’è. E tramite Gesù ci insegna “tecniche di pace” che anche oggi indicano una diversa prospettiva della storia, non sottomessa alla prepotenza della morte.

Ma a voi che ascoltate, io dico: (.. .)
A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra.
(Luca 6,27-38)

Il cristianesimo non è né ideologia né utopia né idealismo. È la grande avventura della Parola di Dio nella storia dell’umanità. È il precipitare di Dio nella nostra ferita, sino al farsi Carne del Verbo e sino alla Croce di nostro fratello, il Figlio di Dio. Non una vicenda asettica, ma l’immersione del Signore nella nostra povertà. Per la salvezza dell’umanità, che Dio ama così com’è. Un povero mondo malato, e prigioniero del Male e della Morte, un mondo che Egli salva e riempie della sua potenza di bene, potenza d’Amore più ;forte della morte stessa.

Ed ecco l’audacia delle parole del Salvatore: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”. Perché questo è il mondo: invaso dall’inimicizia, dall’odio, dalla violenza dei pensieri e delle opere. Ma ecco la potenza divina liberata nella storia e donata agli uomini e alle donne di tutto il mondo: l’amore, la misericordia, la preghiera. Ecco le “terribili” armi di Dio! Ad esse niente e nessuno può resistere. Da qui il comando perentorio, rivolto al cristiani e alle chiese, di ripudiare ogni mondanità e ogni giustificazione del vecchio do ut des e di una legge del taglione che, essendo puramente vendicativa, moltiplica il male e non crea il bene.

Gesù ci regala anche qualche esempio, qualche “linea di comportamento”, qualche “tecnica di pace”: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra”. Ricordo sempre con gratitudine la grande lezione di Luciano Eusebi, valente studioso e cristiano limpido e geniale. Il “porgere l’altra guancia” ce lo indicava come il gesto forte, ben più forte del restituire la violenza subita. È il costringere l’altro ad assumersi la responsabilità della sua violenza, fino a indurlo a pensare se ripeterla. Il “pacifista assoluto” non reagirebbe, ma il cristiano reagisce con la “violenza” della sua mitezza. E lo fa perché la salvezza e il bene di chi lo ha colpito gli importano tanto quanto la propria verità e la propria pace.

Scoprire la perla preziosa

Tutto chiaro? SÌ! Però qui dentro c’è un problema enorme, che è impossibile ignorare. Veniamo da secoli in cui questi atteggiamenti, queste “risposte al male”, sono stati confinati nella sfera del comportamento individuale, della testimonianza profetica di individui superiori, di episodi isolati e, proprio per questo, non esemplari. Oggi però la vicenda storia delle chiese e dei popoli, dalle relazioni più intime e immediate ai grandi e sanguinari conflitti, ci appare troppo stringente e tumultuosa, sino al pericolo di una universale autodistruzione.

Proprio oggi è allora necessario intraprendere coraggiosamente un cammino di riflessione e preghiera, un contatto più continuo e serrato con il Testo Sacro, un impegno storico delle comunità cristiane più responsabile, per trarre dalle parole di Gesù una sapienza nuova, una prospettiva nuova della storia che faccia di queste perle evangeliche una provocazione a tutte le legislazioni, le istituzioni, i patti. Invece la storia sembra malinconicamente subire la prepotenza del Signore della morte, e si fa timida e restia fino a concedere l’etica veramente evangelica solo all’obiezione di coscienza del singolo. E, anche questo, non sempre! Aiutiamoci, dunque, a scoprire insieme la “perla preziosa” di una nuova sapienza dell’umanità, che faccia veramente del Vangelo la testimonianza concreta e collettiva delle comunità cristiane, come bene per il mondo intero.


(da Italia Caritas, febbraio 2007)


Cristianesimo e buddismo offrono due vie universali di salvezza caratterizzate da un potente altruismo. Fino a dove arrivano le loro affinità e quali sono le loro incompatibilità?

La sequela di Cristo casto, povero, obbediente


 


Segno del primato di Dio,
non soltanto servizio

di Sante Bisignano


 



Il decreto Perfectae caritatis va situato nella vita della Chiesa sia nel suo rapporto con il mondo sia nella sua tensione escatologica. Per questo la vita consacrata viene definita, prima che dal concetto di servizio, dal suo essere segno, testimonianza «della trasfigurante presenza di Dio», come ha affermato papa Benedetto XVI.


Domenica, 09 Marzo 2008 00:26

Sotto lo stesso cielo (Gianbattista Maffi)

Sotto lo stesso cielo

Gianbattista Maffi *

Il Decreto Conciliare NOSTRA AETATE ha aperto una nuova epoca nei rapporti tra la Chiesa e le altre religioni monoteiste (ebraismo e islam). Proponiamo una riflessione teologica di quel documento, soffermandoci su alcuni punti che possono aiutare nella conoscenza reciproca e nel dialogo continuo tra cristiani e musulmani. Con lo scopo di ristabilire la pace là dove questa è minacciata; promuovere la giustizia e la libertà di coscienza, che implica quella religiosa.

«La chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente (...) E sebbene, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto sinodo esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà» (Nostra Aetate, 3).

La frase che apre questo documento sembra quasi ovvia e apparentemente banale, invece rappresenta un fatto unico, un inizio assoluto nelle dichiarazioni ufficiali della chiesa cattolica al suo più alto livello - quello del Concilio, appunto - riguardo all'islam. Guardare con stima i musulmani significa innanzitutto capire il loro atto di fede e la loro pratica religiosa, punto di partenza per conoscerli e farsi conoscere, per il rispetto reciproco, e per costruire insieme una comunità umana fondata su valori religiosi.

Alla luce degli avvenimenti di questi ultimi anni, il documento rappresenta ancora oggi un punto di forza nei rapporti tra cristiani e musulmani. Soffermiamoci sul contenuto dettagliato della dichiarazione, sottolineandone alcuni importanti elementi.

Dio - La fede nell'unicità di Dio e l'atto di adorazione sono il centro e il cuore dell'islam. Questo è anche il primo articolo della fede cristiana: «Credo in unum Deum», anche se per noi l'Unicità divina si apre sulla Trinità delle persone. Certamente noi, cristiani e musulmani, adoriamo lo stesso Dio Unico, non dandogli però sempre gli stessi “nomi", né attribuendo lo stesso senso a questi nomi divini. Per questo il Concilio ne rileva alcuni particolarmente importanti per l'islam e comuni alle due religioni. «Vivente e sussistente»: sono due attributi ritenuti sia dal Corano che dalla Bibbia, e hanno un profondo impatto nel cuore dei musulmani. «Misericordioso e onnipotente»: sono ripetuti in continuazione dai musulmani, non solo nella preghiera rituale ma anche come giaculatoria che introduce ogni azione quotidiana. Il primo evoca la bontà paterna di Dio e dà equilibrio e giusto significato alla Sua onnipotenza. «Creatore del cielo e della terra»: è uno dei temi essenziali del Corano e l'argomento che apre la rivelazione biblica, che dà all'islam e al cristianesimo la base essenziale e fondamentale dei rapporti tra l’uomo e Dio. «Ha parlato agli uomini»: il Concilio ha rifiutato di specificare «per mezzo dei profeti», come invece e precisato nel Credo. Questa omissione è stata voluta a causa dell'ambiguità che può nascere dal riferimento ai profeti, i quali non sono sempre gli stessi per le due tradizioni, non hanno sempre lo stesso volto né lo stesso ruolo. Dio che parla agli uomini rimane, però, il carattere più importante della fede musulmana, la quale non fa riferimento a un dio inventato dalla ragione umana, bensì al Dio trascendente che si è fatto conoscere attraverso la sua Parola affidata a degli uomini, i profeti. La fede musulmana è pienamente espressa dalla parola araba islam, che significa l'abbandono, la sottomissione attiva del credente alla volontà e ai «decreti anche nascosti di Dio». Viene, così, sottolineato l'aspetto del mistero che comporta questa fede, ragionevole senza voler essere razionale, proprio in linea con il Corano, che domanda al credente di accettare la volontà di Dio anche quando sembra paradossale agli occhi della ragione umana. Alcune eminenti figure coraniche rappresentano questo atto di fede puro e assoluto: Abramo, innanzitutto, al quale è chiesto di sacrificare il proprio figlio; Zaccaria e Maria, i quali credono all'annuncio della nascita miracolosa di Giovanni Battista e di Gesù; anche Mosè segue ciecamente una guida misteriosa e sconosciuta posta sul suo cammino. Abramo rimane, comunque, il prototipo e il modello perfetto di questo atto di fede e di sottomissione: in questo la sua figura trova il suo vero ruolo nella fede musulmana, prima ancora di essere il padre della fede monoteista.

Gesù e Maria - Sono tra i personaggi più venerati dal Corano e dai musulmani stessi. Il testo conciliare segnala, però, il rifiuto da parte loro di vedere in Gesù più che un grande profeta. Ciò non è una considerazione negativa per i musulmani, i quali fanno vanto del fatto che Gesù, figlio di Maria, è sempre e solo un uomo, nel rispetto totale della trascendenza assoluta di Dio.

Maria è la madre sempre vergine di Gesù, secondo l'islam: su questo punto non vi è mai stato dubbio. Maria, più che Gesù, è oggetto di venerazione da parte di molti musulmani, uomini e donne, i quali vanno a pregare nei santuari cristiani a lei dedicati; questo, però, senza generalizzare: «talvolta pure la invocano con devozione».

Il Giorno del Giudizio finale - Viene brevemente ricordato. La resurrezione dei corpi e il giudizio che ne seguirà sono uno dei punti essenziali che accomunano la fede cristiana e musulmana, anche se le modalità e i criteri di questo giudizio possono variare da una teologia all'altra. Rimane però il fatto che, come per il Corano così pure per il Vangelo, ognuno sarà giudicato secondo le proprie azioni e, soprattutto, sia per i cristiani che per i musulmani, il mondo che viene da Dio ritornerà a Lui per trovarvi il suo compimento.

L’apprezzamento della vita morale - Viene accennato senza entrare nei dettagli. Questo, a ragion veduta. I padri conciliari, infatti, hanno rifiutato di fare riferimento alla morale familiare a causa della poligamia e del ripudio ammessi dal Corano, ma anche alla morale sociale a causa del legame di principio tra lo spirituale e il materiale, tra la religione e lo stato. Ciò avrebbe richiesto sfumature e precisazioni di rilievo.

Il culto musulmano - È descritto con le sue tre principali manifestazioni: la preghiera rituale fatta cinque volte al giorno, l'elemosina che indica l'attenzione al povero e il digiuno del mese di Ramadan come forma di ascesi. Sono questi tre dei cinque pilastri che formano la pratica cultuale musulmana. Il documento conciliare non ha voluto soffermarsi sugli altri, per il fatto che non era sua intenzione fare una esposizione completa dell'islam.

La seconda parte del documento Nostra Aetate verte sulle prospettive di comprensione e di collaborazione attuali e future tra cristiani e musulmani. Si esprime l'invito a «dimenticare» il passato di rancori e guerre: non a ignorarlo ma ad andare oltre. La comprensione vicendevole, oggettiva e rispettosa, richiederà ancora molti sforzi da una parte come dall'altra. Se il dialogo islamo-cristiano è la base indispensabile per questa mutua comprensione, l'invito è di andare oltre per arrivare a una effettiva collaborazione fra i credenti verso un unico scopo: affrontare insieme le sfide del pensiero e della cultura moderna e globalizzata, non soltanto per salvaguardare l'uomo sul piano della fede ma anche per offrire il contributo di una fede sincera e impegnata alla nostra civiltà minacciata da un neo-paganesimo abietto. In questo senso, cristiani e musulmani hanno il compito di affrontare insieme i gravi problemi di questa epoca per la costruzione di un mondo migliore: promuovere la giustizia sociale all'interno dei vari paesi e tra quelli più ricchi e quelli più poveri; difendere i valori morali non con “moralismo", ma con una vita conforme alla fede; salvaguardare o ristabilire la pace là dove questa è minacciata; far regnare e promuovere la libertà nell'interesse del bene comune sul piano sociale e politico, ma anche a livello della libertà di opinione, in particolare della libertà di coscienza, che implica quella religiosa.

Sul piano della visione cristiana dell'islam, il Concilio Vaticano II, beneficiando degli sforzi precedenti dell'islamologia cristiana, ha rappresentato un momento forte per la coscienza cristiana, aprendo prospettive del tutto nuove e dando nuovo impulso al dialogo fra le religioni. Interessanti progressi sono stati fatti nell'intento di formare la coscienza cristiana a una più giusta visione dell'islam e favorire l'incontro fra i credenti. Ma ciò che può condizionare profondamente la visione cristiana dell'islam sarà la riflessione della chiesa su sé stessa e sul proprio ruolo nel mondo, in particolare l'applicazione di questa riflessione alla teologia delle religioni non cristiane.

* professore al pontifico istituto di studi arabi e islamistica (Pisai), Roma.

(da Nigrizia, dicembre 2005, pp. 49-51)

Quale reciproco apporto potranno dunque offrirsi una teologia e una psicologia, che non siano chiuse in se stesse, e che perciò sappiano farsi aperte e interrogative del Mistero, l'una in ascolto dell'altra, insieme in ascolto dell'Altro?