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Venerdì, 16 Novembre 2007 19:37

UN PROBLEMA, MA ANCHE UNA RISORSA

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UN PROBLEMA, MA ANCHE UNA RISORSA

di Piersandro Vanzan
da Vita Pastorale n. 6/2007

Il nostro Paese sta cambiando: i volti delle persone che incontriamo per le strade sono diversi, le lingue che sentiamo parlare risuonano estranee, gli odori che provengono dalle case vicine ci sono sconosciuti, eppure siamo sempre nello stesso luogo, sempre in Italia, seppur trasformata, plurale, vale a dire multietnica, multiculturale e multireligiosa. Chi sono queste nuove persone? Da dove provengono? Vogliono restare o ripartire? E se rimanessero, saprebbero accettare e rispettare i valori della nostra Costituzione? Potremmo considerarli cittadini italiani soltanto dopo cinque anni?

In occasione della Giornata mondiale del migrante, Benedetto XVI ha preso a esempio la Famiglia di Nazaret per mostrare come, attraverso il suo peregrinare, è possibile intravedere la dolorosa condizione di tanti migranti, specialmente dei rifugiati, de- gli esuli, degli sfollati, dei profughi, dei perseguitati che si trovano ad affrontare numerosi disagi, ristrettezze economiche, diffidenze e notevoli fragilità psicologiche, nella difficile ricerca di un nuovo luogo in cui vivere. Il Papa ha sottolineato che nel vasto campo delle migrazioni la persona umana dev’essere sempre al centro: «Soltanto il rispetto della dignità umana di tutti i migranti, da un lato, e il riconoscimento da parte dei migranti stessi dei valori della società che li ospita, dall’altro, rendono possibile la giusta integrazione delle famiglie nei sistemi sociali, economici e politici dei Paesi di accoglienza1». Solo così questo fenomeno non costituirà soltanto un problema, ma anche e soprattutto una risorsa per l’umanità.

Immigrazione: alla ricerca delle giuste regole

Eppure i migranti restano, sotto certi punti di vista, uno degli elementi negativi delle nostre società, la parte oscura e ignota, quella da cui ci si vuole salvaguardare, quella che si teme perché sconosciuta, diversa, a volte clandestina. Per questo è necessario in primo luogo tutelarli: sia attraverso opportuni presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, sia mediante una rete di servizi, di punti di ascolto, di strutture di assistenza che ne permettano la conoscenza e l’inserimento nei diversi contesti sociali. Di fatto, nel trattare dell’immigrazione è fondamentale, come scrive Johan Ketelers, segretario generale dell’Icmc (International catholic migration commission), considerare anzitutto i diritti umani e «l’ulteriore sviluppo di un sistema legale internazionale, volto a proteggere gli immigrati, che sia accettato, ratificato e applicato da tutti i Paesi »2, senza tralasciare però i doveri e gli obblighi degli stessi immigrati, e le ragionevoli aspettative che i Paesi di arrivo nutrono a tale riguardo.

Per questo tutti i protagonisti della vita pubblica, inclusi gli immigrati e le loro organizzazioni, devono contribuire a formulare regole serie e trasparenti, che permettano lo sviluppo del processo d’integrazione e di un fondamentale cambio di mentalità, volto al rinnovamento della convivenza civile. Il presidente Napolitano, in uno dei tanti suoi interventi sul tema, dopo aver sostenuto l’importanza e la valenza positiva del fenomeno immigrazione nell’Italia di oggi - per sopperire alla carenza di mano d’opera in vari settori, per combattere il decremento delle nascite; per una modernizzazione sociale e culturale -, ha aggiunto: «La strada dell’integrazione è ancora lunga e va affrontata con coerenza e rigore. A tal fine è anzitutto necessario che gli ingressi avvengano per via legale. Gli immigrati non devono più avere la paura di vivere in condizione irregolare e di sopportare le conseguenze dell’emarginazione che all’irregolarità si associa. È soprattutto cruciale evitare i gravissimi rischi collegati agli ingressi clandestini. Dare certezze al percorso migratorio fin dai Paesi d’origine, con regole che tutti devono rispettare, significa far rientrare nella normalità un fenomeno che ormai contrassegna questo secolo»3.

Un’occasione per testare le nostre capacità di accoglienza e la chiara applicazione delle regole è arrivata il 1° gennaio, con l’estensione della cittadinanza europea a bulgari e rumeni. Secondo quanto stabilito dall’articolo 18 del Trattato istitutivo della Comunità europea, è riconosciuto loro il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio di tutti gli Stati membri e, per quel che riguarda l’Italia, non saranno più sottoposti alla disciplina normativa prevista dalla Bossi-Fini(d.l. 1998,n. 286). Pertanto i cittadini rumeni e bulgari già esentati dall’obbligo del visto per soggiorni turistici, non dovranno munirsene nemmeno per altri motivi di ingresso - lavoro, famiglia, studio -, ma basterà il possesso di un normale documento di identità o di un passaporto4. Temendo ripercussioni in ambito lavorativo, il Governo italiano nel Consiglio dei ministri del 27 gennaio 2007; analogamente a quanto previsto in altri Paesi dell’Ue, ha deciso di avvalersi di un “regime transitorio” (durata un anno), prima della completa liberalizzazione dell’accesso al lavoro subordinato, lasciando invece senza alcuna restrizione il lavoro autonomo.

Se a marzo dello scorso anno si poteva parlare di 400.000 unità per i rumeni presenti in Italia e di 30.000 per i bulgari, queste cifre hanno ovviamente subito un incremento in seguito all’apertura delle frontiere che, per quanto non ancora quantificabile, ha vieppiù alimentato la già alta diffidenza verso i Rom5, minoranza etnica in Romania, dove costituiscono circa il 10% dei 23 milioni di quella popolazione. I Rom, proprio per il loro stile di vita nomade, sono fortemente discriminati in Romania, ottenendo presso quel Parlamento un solo rappresentante, nonostante le 40 comunità presenti nel Paese. Ebbene, questa situazione negativa in patria, unita al diritto alla libera circolazione acquisito il 1° gennaio, ha fatto temere un’invasione delle nostre città da parte dei Rom i quali, solitamente ghettizzati nelle periferie italiane, rischiano ancora una volta di diventare il “capro espiatorio” e di essere cacciati, quando invece - proprio per la loro mobilità -, sono i meno desiderosi di trattenersi in un Paese.

Va invece rilevato che, a. partire dal 1992, proprio i rumeni (non Rom) hanno decuplicato la loro presenza in Italia - sono oggi quasi tre milioni -, pur non avendo casa o residenza comunale, e rimanendo sprovvisti di iscrizione alle anagrafi comunali. Come, sottolinea la Caritas italiana, «l’andamento degli ultimi anni può far pensare a una pressione migratoria di 60.000 lavoratori». Anche la “questione nomadi” - rispetto alla quale la Caritas è molto impegnata a livello sia dell’accoglienza, sia del confronto istituzionale - evidenzia aspetti complessi, che richiedono di considerare attentamente le disposizioni europee, ricordando che l’applicazione delle leggi e la sicurezza sono valori condivisi anche dalla maggior parte degli immigrati, tanto più che in Italia, nel 2006, il 23,3% delle assunzioni, secondo i dati della Camera di commercio di Milano, è stato appannaggio di immigrati - particolarmente nel settore dei servizi, immobiliare, del noleggio, delle pulizie e della vigilanza, ma con presenze anche nella sanità, nell’istruzione, nella ristorazione e nel commercio -, evidenziando come il flusso extracomunitario, se gestito con razionalità, può diventare una preziosa, risorsa per lo sviluppo nazionale6.

Cittadinanza e integrazione. Quali i tempi?

Ma quanti sono gli immigrati in Italia? Secondo i dati Istat, forniti dal Ministero dell’Interno, al 1° gennaio 2006 i cittadini stranieri residenti in Italia erano 2.670.514, cifra alla quale vanno aggiunti sia i minori residenti, sia gli irregolari: il Rapporto Eurispes parla di 800 mila persone, arrivando così a più di 3 milioni7 . Naturalmente in crescita, visti i nuovi arrivi - nel mese di marzo 2006 sono state presentate 485.000 domande di assunzione - e le nascite dei figli di cittadini stranieri. Inoltre, il nostro Paese si conferma primo, tra i Paesi europei, per numero - assoluto e relativo - degli immigrati irregolari8, e presenta la più alta percentuale di extracomunitari sul totale degli immigrati, oltre che di immigrati disoccupati o sottoccupati. Se nell’arco di dodici anni, dal 1992 al 2004, si è passati da 650 mila permessi di soggiorno a più di due milioni, oggi siamo arrivati a parlare di cittadinanza agli stranieri dopo cinque anni di permanenza in Italia.

Nel progetto della nuova legge sulla cittadinanza, all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, si legge che due sono gli aspetti su cui poggia il testo unificato: la concezione della cittadinanza come strumento volto a favorire l’integrazione; la concezione della cittadinanza come, atto di volontà individuale che, in presenza di determinate condizioni, impegna lo Stato. Inoltre gli elementi costitutivi della nuova disciplina consistono nello ius soli, nell’appartenenza fisica e sociale alla comunità, nell’adesione ai principi costituzionali e nella possibilità della doppia cittadinanza. Quindi: cittadinanza dopo cinque anni di residenza regolare e continua nel Paese per gli adulti; cittadinanza per i bambini che nascono in Italia, a patto che almeno uno dei due genitori risieda legalmente da almeno cinque anni senza interruzioni; cittadinanza per i ragazzi che non nascono qui ma che, da almeno cinque anni, studiano o lavorano e hanno almeno uno dei due genitori nella stessa condizione.

L’art. 5 della legge recita: «L’attribuzione della cittadinanza è condizionata dalla conoscenza della lingua italiana equivalente al livello del terzo anno della scuola primaria»9, ma è necessario chiedersi: se la cittadinanza è la forma giuridica di un contenuto alto, che dovrebbe certificare l’appartenenza a una comunità e la condivisione di una serie di valori fondanti, basteranno cinque anni di residenza e la minima conoscenza della nostra lingua per fare di uno straniero un cittadino nel senso pieno del termine? La riduzione drastica dei tempi favorirà il processo di integrazione, o aiuterà persone che vogliono soltanto sfruttare i vantaggi derivanti dall’acquisizione di certi diritti, senza la sottomissione ai relativi doveri? E infine, siamo certi che i valori della nostra democrazia, il conseguente rispetto della dignità umana, le libertà civili e religiose, il primato della legge, saranno considerati sacri e inviolabili dai nuovi cittadini, compresi quelli di religione islamica?

Non va dimenticato infatti che nel nostro Paese, al 31 dicembre 2006, gli immigrati musulmani con regolare permesso di soggiorno erano un milione e che l’Islam è la seconda religione in Italia, con il 33,2% di praticanti; senza tener conto degli irregolari, la cui presenza - elevata in alcune zone e in alcuni periodi dell’anno - non è ben quantificabile, a causa della grande mobilità e del continuo ricambio di persone. Com’è noto, esistono più forme di Islam riconducibili a tre differenti atteggiamenti: il primo rappresentato da una fede vissuta interiormente da musulmani moderati, pacifici coabitatori tra noi, che tendono a integrarsi, pur mantenendo salde le proprie radici; il secondo caratterizzato da un’indifferenza verso i legami con la tradizione di provenienza e incurante di ogni espressione di religiosità; il terzo, apparentemente il più forte e aggressivo, non solo pretende dallo Stato italiano di finanziare le istituzioni islamiche - scuole coraniche e moschee10 -, ma anche si oppone vivacemente a concedere alternative nelle scelte personali dei corregionali, come dimostrano le vicissitudini della Carta dei valori e dei principi, in cui l’Ucoii ha avuto e continua ad avere un ruolo determinante11.

Al di là della complessa “questione islamica”, ancora pressoché irrisolta, va sottolineato che un documento, sia passaporto o carta d’identità, non determina il sentirsi parte di uno Stato, né la cittadinanza può essere considerata un punto di partenza per una futura integrazione. Essa è semmai il punto di arrivo di un processo molto lungo, che inizia dalla conoscenza della lingua, della storia, delle tradizioni, dei principi giuridici fondamentali del nostro Paese, per passare poi dall’estraneità all’accettazione sincera, dall’ostilità al sentirsi a casa, dal multiculturalismo alla piena integrazione socioculturale e politica. Ciò non significa pretendere una coincidenza tra nazionalità e cittadinanza, ma semplicemente l’accettazione piena e consapevole da parte del migrante - pur nel rispetto delle sue diversità culturali e religiose -, dei fondamenti costituzionali e dell’ordinamento giuridico del nostro Stato: dopo averlo effettivamente conosciuto. Solo così sarà possibile una convivenza in cui, se da un lato la nostra tradizione saprà arricchirsi con nuovi contributi, diverse realtà, altre culture con essa compatibili - senza mostrare alcun timore di perdere la propria identità -, dall’altro i cittadini “acquisiti” potranno sentirsi parte di questa nazione.

Note

(1) Migranti-press, anno XXIX, n. 3, p. 1. Proprio in relazione a quanto detto, e per mantener vive le parole del suo predecessore Giovanni Paolo II – “L’uomo che soffre ci appartiene” -, Benedetto XVI ha personalmente visitato la mensa di Colle Oppio una delle tante gestite dalla Caritas romana, definendola “un luogo significativo della città di Roma, ricco di umanità. In questa mensa è possibile toccare con mano la presenza di Cristo nel fratello che ha fame e in colui che gli offre da mangiare. Qui si può sperimentare che, quando amiamo il prossimo, conosciamo meglio Dio”. Ricordiamo che i pasti serviti dalla mensa di Colle Oppio – a Roma e Ostia ce ne sono altre tre -, nel 2005 sono stati 122.000 e, su un totale di 4.573 ospiti, il 73% erano stranieri, provenienti da 98 Paesi diversi.

(2) Migranti-press, anno XXIX, n. 4, p. 2.

(3) Migranti-press, anno XXVIII, n. 51, p. 9.

(4) In caso di provenienza diretta dalla Romania o Bulgaria, i soggetti verranno sottoposti a controlli minimi alla frontiera, tipo: accertamento dell’identità della persona e verifica della validità e autenticità dei documenti di viaggio. Il diritto di ingresso può essere limitato solo per motivi di ordine pubblico o di sicurezza.

(5) Migranti-press, anno XXIX, n. 13, p. 3. A tal proposito è intervenuto monsignor Piero Gabella, responsabile della Fondazione Cei Migrantes, sostenendo che “gli allarmismi fanno nascere paure nella gente, che poi interpreta i fatti in modo poco cristiano. Occorre abbassare i toni e vedere cosa accade realmente, senza pregiudizi”. Innegabilmente, però, la “questione zingari” – nella sua formulazione più vaga – coinvolge negativamente presso l’opinione pubblica i Rom (e altri gruppi di nomadi), come visto nel paginone de La Stampa, 18 aprile 2007, “Ho visto gli zingari rubare i bambini”, dove si evoca il rapimento della piccola Denise.

(6) Cf ivi, p. 5. Secondo un’inchiesta di Repubblica, 11 aprile 2007, il settore edile è quello in cui maggiormente sono presenti gli immigrati, spesso con garanzie e tutele minime, il 45% su 1.200.000 operai. Di questi 600.000 sono in nero e, quindi a rischio di gravi infortuni, perché di solito costretti a lavorare senza alcuna attrezzatura di sicurezza.

(7) Secondo Caritas-Migrantes, Immigrazione, Dossier Statistico 2006. XVI Rapporto, Centro Studi e Ricerche Idos, Roma 2006, gli stranieri in Italia sarebbero 3.035.144. il Dossier è un progetto di ricerca e sensibilizzazione che fa capo alla Caritas italiana, alla Fondazione Migrantes e alla Caritas diocesana di Roma. Per un’approfondita analisi delle cifre ivi riportate cf Simone M., Il Dossier sull’immigrazione , in Civiltà Cattolica 2006 IV, pp. 490-499.

(8) Vanno ricordati i continui sbarchi di clandestini nell’isola di Lampedusa, con non pochi incidenti, oltre che nel resto delle coste italiane. Secondo il Corriere della Sera, 12 aprile 2007, è al vaglio del Consiglio dei Ministri la nuova legge sull’immigrazione Amato-Ferrero che, sostituendo la Bossi-Fini, intende rendere più flessibile l’incontro tra offerta e domanda di lavoro. Tra l’altro, l’ultima relazione di Palazzo Chigi sui servizi segreti conferma che la maggior parte dei clandestini (64%) sono stranieri col permesso di soggiorno scaduto, overstayers che magari lavorano in nero, mentre sono più ridotte le quote di chi varca “fraudolentemente” le frontiere terrestri (23%) e di chi sbarca sulle coste italiane (13%). Tra i 700.000 senza documenti, molti sono gli extracomunitari che hanno chiesto il permesso di soggiorno grazie ai decreti flussi 2006: e su questo fronte, assicura Amato, «il 68% delle 400.000 domande risulta ormai definito. A Milano, su 33.665 domande ne sono state definite 18.660 (di cui 8.980 respinte)». Davanti a questi numeri, il ministro Ferrero non esclude una regolarizzazione «tale e quale a quella fatta dalla Cdl», che sanò la posizione di 700.000 persone. Il Giornale, 12 aprile 2007, riferisce che la nuova legge sull’immigrazione vorrebbe ridurre l’irregolarità e potrebbe permettere a un milione e mezzo di immigrati di votare alle elezioni amministrative o di essere eletti nei Comuni – da sottolineare il fatto che il 20% degli iscritti alla Cgil è extracomunitario -, con l’unico requisito di avere la carta di soggiorno, che viene consegnata a chi risiede nel nostro Paese da almeno cinque anni e ne fa richiesta.

(9) Per una lettura di tutti gli articoli del nuovo testo unico riguardante le «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza», e che riduce da 10 a 5 gli anni necessari per ottenere la cittadinanza italiana, cf Migranti -press, anno XXIX, n. 10, p. 8.

(10) Il Giornale, 12 aprile 2007. In 7 anni, le scuole coraniche e le moschee, presenti in Italia, sono aumentate del 50%, grazie ai finanziamenti dello Stato per le organizzazioni assistenziali e religiose.

(11) L’Ucoii (Unione delle Comunità e delle Organizzazioni islamiche in Italia), nata nel 1990 e ideologicamente legata ai Fratelli Musulmani - un movimento fondamentalista e radicale -,è salita ai vertici delle cronache nazionali per essere l’interlocutore principale con cui il ministero dell’Interno, fin dai tempi di Pisanu, ha dato vita a una Consulta islamica, organo composto di 16 membri, col compito di favorire l’integrazione degli islamici in Italia. L’8 febbraio 2007 Hamza Piccardo e Mohamed Nour Dachan, rispettivamente presidente e portavoce dell’Ucoii sono stati indagati - dopo mesi di indagini - dalla Procura di Roma per l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale, in seguito ad alcune dichiarazioni nelle quali era scritto «ieri stragi naziste, oggi stragi israeliane: Marzabotto = Gaza, Fosse Ardeatine = Libano», con l’evidente intento di paragonare le stragi naziste a quelle in Libano. Per ulteriori approfondimenti cf Vanzan P. - Scatena M., “L Islam tra noi, da Regensburg alla Carta dei valori”, in Studium settembre/ottobre 2006, pp. 651-667, e Vanzan P., Nota politica, in VP 6/2007.

Letto 1586 volte Ultima modifica il Venerdì, 18 Gennaio 2008 18:48

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