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Martedì, 27 Maggio 2008 23:38

«ASSEMBLEA PERMANENTE PER LA PACE»

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«ASSEMBLEA PERMANENTE PER LA PACE»

 

di Maria Longhi Vicenza

 

 

Il progetto di costruzione di una nuova base militare
americana a Vicenza era stato visionato dall’amministrazione comunale berica
nel 2004, ma solo nel 2006 la cittadinanza ne è stata informata dal Giornale
di Vicenza,
il quotidiano locale.

Attualmente l’esercito americano ha, nella città di
Vicenza e nei comuni circostanti, una caserma, un villaggio residenziale, due
basi sotterranee, sulle quali vige il più rigoroso segreto militare, e due centri
logistici.

Il progetto che aggiunge una nuova caserma e un nuovo
villaggio residenziale, ha scatenato una forte reazione in gran parte della
cittadinanza, sia per l’impropria collocazione della caserma, al centro di un
territorio densamente abitato, sia perché l’amministrazione comunale in carica
e i due governi nazionali che si sono susseguiti hanno dimostrato una totale
indifferenza al dovere di informazione e una ancora più grave intolleranza
verso percorsi di trasparenza democratica.

La cittadinanza si è mobilitata e sono sorti numerosi
comitati, orientati prioritariamente alla raccolta e divulgazione di
informazioni, ma anche alla ricerca di possibili alternative al progetto, che
alcuni presentano come un volano economico per la provincia vicentina. Anche il
mondo cattolico si è inserito in questo dibattito, a partire dall’interrogativo
se sia eticamente accettabile affidarsi, in questo particolare contesto
storico, a un’economia fondata sulle armi. Gruppi spontanei, commissioni
«Giustizia e pace», singoli credenti, dopo un iniziale smarrimento di fronte al
silenzio dei vertici della chiesa locale, hanno iniziato un percorso di
discernimento che si va progressivamente approfondendo e radicando nelle
comunità.

Una di queste è la comunità cristiana di Quinto e
Valproto, sul cui territorio comunale dovrebbe sorgere il nuovo villaggio
militare americano. Per conoscere il loro percorso abbiamo incontrato il
parroco, don Fabrizio Cappellari, che ci ha raccontato quanto segue.

«Tutto è cominciato il primo di novembre 2006, al
cimitero. Si parlava di “testimoni”; cioè di persone che hanno segnato la vita
del nostro paese, della nostra storia. Come loro, anche noi ci troviamo di
fronte a eventi che ci interrogano. Oggi per noi sono la base e il villaggio
militare. Ho chiesto alla comunità di fermarsi e riflettere.

Abbiamo poi organizzato una serata pubblica, alla
quale è intervenuta anche l’amministrazione comunale, che in quell’occasione si
è impegnata a promuovere nuovi incontri informativi e una consultazione
popolare per verificare il consenso sull’operazione.

Il consiglio pastorale ha prodotto un documento dove
si esprime la contrarietà della parrocchia al villaggio in quanto collegato
alla base militare. Lo abbiamo inviato all’amministrazione comunale di Quinto,
a tutte le famiglie, ai consigli pastorali e amministrativi dei paesi confinanti
e per conoscenza al vescovo.

Dopo di questo, si è costituito un gruppo spontaneo
che ora sta prendendo la forma di una «Assemblea permanente per la pace». Vuole
essere un segno di incontro e di dialogo, che ogni domenica si apre per
iniziative sui temi della pace, della giustizia, della legalità. Stiamo
cominciando a parlare anche di mafia; vogliamo fare esperienze di incontro con
la realtà del Sud che non conosciamo, per capire, per dare una mano se serve.

Vogliamo stare calati nella realtà quotidiana
mantenendo un orizzonte ampio per non rischiare di venire fagocitati da
monopolizzazioni politiche, da prese di parte. Per non diventare solo il
«comitato no» alla tal cosa.

Sullo specifico del villaggio abbiamo fatto degli
incontri in preparazione della consultazione popolare tenuta il 15 aprile.
Abbiamo voluto invitare degli esperti di urbanistica, diritto e d’impatto
successivo, cioè su quello che resterà, quando gli americani se ne andranno.
Faremo ancora incontri sulla guerra, su cosa lascia dietro di sé. Vogliamo
tenere viva l’attenzione, perché non si tratta solo di costruire case, bisogna
avere chiaro il disegno complessivo.

Per i credenti, la militarizzazione del territorio e
la corsa agli armamenti in atto è contraria al vangelo. E anche tacere non è
evangelico. E’ così chiaro che l’esperienza cristiana evangelica è una
esperienza di non violenza.

E noi che
possiamo farlo abbiamo il dovere di interrogarci e operare, perché si cambi
direzione, anche nella gestione dei conflitti internazionali. Sono stato un po’
di tempo in Camerun, come missionario. Lì la gente non ha modo di pensare alle
caserme, allo sfruttamento di cui sono oggetto. Noi che abbiamo cibo e lavoro
garantiti, abbiamo il dovere anche nei loro confronti di capire e operare.
Stare fuori da questo interrogarsi è peccato. Uno può anche essere favorevole a
questo sistema, se proprio vogliamo. Quello che non si può accettare è
l’indifferenza, il sentirsi fuori, perché questo è un venir meno al nostro
dovere di cristiani».

Letto 2088 volte Ultima modifica il Sabato, 07 Giugno 2008 02:50

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