Non mi piace l’Angelus domenicale del Papa proiettato sui maxi-schermi di piazza Duomo, a Milano, oltretutto su iniziativa unilaterale del sindaco Letizia Moratti, che non ha ritenuto neppure opportuno interpellare l’arcivescovo di quella cattedrale. Perché la sua è una manifestazione politica, che ha ben poco a che fare con la devozione.
Parto da un dettaglio marginale — l’esempio milanese — per dirvi il senso di falsità che avverto in tutta la disfida dell’Università La Sapienza, e il male che sta facendo alla chiesa stessa per prima. Non mi piace il clima di lesa maestà costruito intorno a Benedetto XVI. Colui del quale i credenti cattolici lo riconoscono vicario in terra, Gesù di Nazareth, affrontò rischi maggiori di qualche sberleffo goliardico o di una contestazione anticlericale.
Né l’Italia né il mondo hanno bisogno oggi di una chiesa trionfatrice attraverso l’esibizione di forza numerica, come l’ha convocata in Piazza San Pietro il cardinale Ruini, quasi occorresse lavare un’onta subita. Posso dire, anche se non sono battezzato, che ci vedo assai poco di evangelico in questo abusare del ruolo ecclesiale in chiave ossequiosa e gerarchica?
L’Avvenire, che ha letteralmente nascosto in pagina interna, tra mille eufemismi, la giornata mondiale di penitenza saggiamente promossa dal Papa per chiedere scusa dello scandalo dei preti pedofili, esulta quotidianamente della frattura inferta allo schieramento laico. È vero. La novità è che una parte dell’intellighenzia laica converge in materia di difesa della vita e di morale familiare sul punto di vista della dottrina cattolica. Non solo. Un sistema politico frantumato guarda con appetito a quel 5% di voti che la Conferenza episcopale italiana (Cei) può ancora spostare di qua o di là: scatenandosi in un inseguimento della porpora, a prescindere da alcuna coerenza nella fede o tanto meno nella condotta di vita.
Temo che la componente oggi egemone nella Cei abbia accolto quella frattura tra l’intellighenzia laica e l’ossequio politico neoclericale come un dono della provvidenza. Poco importandole l’autenticità del senso religioso, e relegando in secondo piano la fede come testimonianza.
Per questo, credo che il ritorno alla tradizione, fino a questa specie di nostalgia per il Papa-re, manifesti una debolezza e non certamente una forza rinnovata della chiesa.
Non mi turba affatto lo spazio recuperato in tutto il mondo dalla religione nel discorso pubblico, e anche nell’argomentare politico. Ma allora dico ai miei amici cattolici impegnati nel sociale e in politica: cosa aspettate a protestare contro questo modo strumentale di intendere la religione? Non è forse il contrario della carità cristiana? Di che cosa avete paura? Perché lo dite solo sottovoce?
di Gad Lerner
Nigrizia – febbraio 2008