La questione del nucleare in Italia
di Henry SOKOLSKI
da Today’s Wall Street Journal Europe
Henry Sokolski evidenzia innanzitutto che il debito pubblico italiano, il terzo al mondo, è di 1.624 miliardi di euro, con un reale rischio di cresce ancora. Per affrontare l’ascesa dei prezzi di petrolio e gas e la crescente importazione di energia elettrica dalla Francia sembra che la strada giusta sia quella di reintrodurre il nucleare, ma c’è che: “le centrali nucleari promesse da Berlusconi sono improbabili dall’essere costruite”.
Le ragioni sono tre: “elevatissimi costi di costruzione; tempi di costruzione da uno a due decenni, e non identificabile comunità italiana disposta a vedere un reattore nucleare realizzato nel loro territorio”.
Non si tratta di posizioni antinucleari di verdi. Stime effettuate da E.On, gigante tedesco dell’energia che sta realizzando una grande centrale nucleare in Finlandia, e dalla Florida Power and Light, grande società elettrica statunitense, indicano “il costo di costruzione in 6 miliardi di euro per impianto”. Detto importo è di 10 volte superiore il costo di costruzione di un moderno impianto a gas che produce la stessa quantità di energia. Questo costo, inoltre, si riferisce esclusivamente alla costruzione dell’impianto, non sono contemplate infatti le spese gestione dei rifiuti nucleari o le spese di funzionamento.
Come primo ministro Italiano del governo dal 2001 al 2006, “Berlusconi ha speso molto in progetti pubblici e ripetutamente non ha raggiunto gli obiettivi di bilancio fissati dalla Unione Europea. Egli ora afferma che mostrerà moderazione finanziaria”.
Ancora, l'amministratore delegato di Enel, che con ogni probabilità potrebbe costruire e gestire l’eventuale reattore nucleare, la scorsa settimana sibillinamente ha avvertito che al fine di procedere, avrebbe bisogno di nuova regolamentazione e forte accordo sul piano all'interno del paese -- Vale a dire garanzie, crediti e sovvenzioni dal governo.
Si potrebbe sostenere che l’attuale impegno di spesa per il nucleare potrebbe in futuro consentire di risparmiare. Nel caso italiano, tuttavia, queste probabilità sono basse. L'Italia non ha gestito o costruito una centrale nucleare sin dalla loro chiusura avvenuta in seguito all'incidente di Cernobyl del 1987. Difficilmente quindi si potrà attuare qualsiasi programma nucleare rapidamente o gestirlo senza incidenti.
La scorsa settimana, il Ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola, all’assemblea di Confindustria, ha dichiarato che “il governo italiano poserà la prima pietra per la costruzione di una nuova generazione di reattori entro cinque anni”. Dirigenti dell’Enel, tuttavia, sono stati un pò più cauti. Hanno infatti rilevato che potrebbero occorrere “dai sette ai 10 anni” prima di poter effettivamente portare un reattore in linea. I loro concorrenti italiani, Edison SpA, sono stati ancora più cauti: "potrebbero esserci difficoltà a rendere la prima stazione operativa entro il 2020."
Da evidenziare poi che la quarta generazione di reattori che il governo italiano si è impegnato a costruire, addirittura non è stata ancora interamente progettata e, quindi, potrebbero passare dai 20 ai 25 anni per renderla operativa. Eventuali reattori nucleari italiani non rappresenterebbero una risposta ai problemi energetici per almeno il prossimo decennio o più. Quali fonti di approvvigionamento energetico e quale sarà la domanda nei prossimi 10, 20 anni, così come quello che sarà il costo dell’energia, nessuno è in grado di stabilirlo. Certamente il governo Berlusconi avrà terminato la legislatura prima di allora. D'altro parte, gli alti costi e l’opposizione politica a qualsiasi specifica costruzione nucleare sarà politicamente significativa e immediata.
Perché allora Berlusconi ha annunciato il nucleare ora? Come la riduzione delle tasse sulla benzina e sul diesel, fa apparire il governo impegnato sul fronte dell'aumento dei prezzi del petrolio e del gas.
Esperti in materia energetica, però, sospettano qualcosa di più sinistro. L'annuncio potrebbe essere parte di uno sforzo a lungo termine da parte della più grande utility europea per spingere i concorrenti più piccoli ad organizzare un massiccio sostegno governativo per i grandi, costosi programmi di centrali nucleari. Italiani ed europei possono solo sperare che questa speculazione sia semplicemente sbagliata.
Si suppone che l'UE incoraggi la concorrenza e l'eliminazione delle sovvenzioni pubbliche nel settore energetico, ma ciò non è mai stato facilmente attuato. La Francia sovvenziona indirettamente il suo programma nucleare. E’ altrettanto noto che la Germania sostiene il carbone. Le sovvenzioni di Germania e Francia al progetto di reattore che AREVA e Siemens stanno costruendo, nel frattempo, sono state recentemente confermate dalla Commissione europea a seguito di vari reclami.
La preoccupazione è che l'Unione europea possa finire per reprimere la concorrenza di mercato nel settore energetico. L'Unione europea, dopo tutto, afferma che è impegnata a ridurre le emissioni di carbonio. La soluzione sta nell’aumentare l'efficienza per ridurre la domanda di energia e rendere più vantaggiose le tecnologie energetiche.
Nessuna pianificazione può determinare in anticipo come effettuare questa operazione, riducendo le emissioni di carbonio in modo economico e veloce. Invece, l'effettiva applicazione dei meccanismi di mercato è la migliore speranza per guidare attraverso il bosco delle decisioni - come ad esempio la scelta tra impianti centralizzati e distribuiti, le nuove tecnologie contro le vecchie, diverse fonti di gas naturale, ecc
E’ concepibile che detta concorrenza potrebbe favorire l'energia nucleare in futuro. Tuttavia, tenuto conto delle previsioni della UE di arresto di 145 reattori nei prossimi 17 anni, la probabilità di una qualche crescita netta nella capacità nucleare, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere tra molti decenni di distanza. Nel frattempo, Italia e Europa farebbero bene a stare lontane da investimenti energetici che nessuna banca privata farebbe senza aiuti statali.