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Lunedì, 23 Giugno 2008 23:18

INVASIONE? È IL MOMENTO DI IMPARARE A CONOSCERSI

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INVASIONE? È IL MOMENTO DI IMPARARE A CONOSCERSI

di Oliviero Forti e Manuela De Marco
Italia Caritas / Marzo 2008

Primo gennaio 2007: Romania e Bulgaria entrano a far parte dell’Unione Europea Un evento storico - ennesimo passo di un processo di allargamento ormai decisamente proiettato verso est -, ma anche foriero di timori e preoccupazioni. I precedenti stadi dell’allargamento non avevano prodotto, almeno in Italia, effetti così immediati e polemici, tali da ingenerare nell’opinione pubblica sentimenti contrastanti, come quelli a cui si è assistito in seguito all’arrivo di centinaia di migliaia di persone, soprattutto rumeni, nel nostro paese.

Che ne è, un anno dopo l’apertura delle frontiere (ma giova ricordare che gli arrivi di massa si erano consolidati negli anni precedenti, come ha ribadito di recente un rapporto di Ecas, centro studi di Bruxelles), delle ansie diffuse di quanti paventavano un “pericolo invasione”’ riferendolo in particolare ai rom, minoranza cospicua (ed emarginata) in Romania? La questione, soprattutto su quest’ultimo versante, presenta aspetti complessi, che Caritas (promotrice nelle diocesi di molte iniziative di accoglienza nei confronti dei rom e protagonista di un confronto istituzionale sia in sede governativa, sia con gli enti locali) non ha mai sottaciuto. Al contempo, va ricordato che l’applicazione delle leggi e la sicurezza sono valori condivisi anche dalla maggior parte degli immigrati. E non meno rilevante è la questione relativa alla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo, che ha nella Romania uno tra i principali paesi di partenza e transito delle vittime. D’altro canto, anche considerati questi problemi, Caritas Italiana aveva affermato, in un documento all’indomani dell’allargamento, che la “aumentata presenza (dei migranti romeni, ndr) costituisce un ulteriore arricchimento della comune casa europea, ma anche un’opportunità per l’Italia (...). Risulta positiva la possibilità di questi lavoratori di circolare liberamente e di continuare a inserirsi nel mercato del lavoro come badanti, colf, operai edili, metalmeccanici e stagionali, senza essere più soggetti alla complicata procedura del decreto flussi e dello sportello unico”.

Quanti sono davvero?

Nei fatti, è stato evidente, negli ultimi dodici mesi, l’intensificarsi dei flussi dalla Romania verso l’Italia, anche se una quantificazione risulta impossibile. In passato, almeno per i regolari, si poteva conoscere il numero di permessi di soggiorno. Oggi, venendo meno quest’obbligo, non si è in grado di sapere quanti si trovano sul territorio nazionale. Anche i dati anagrafici, basati sul numero dei residenti, non sono esaustivi, poiché non tutti effettuano la prescritta registrazione, né richiedono, come prevede la legge, un permesso comunitario per soggiornanti di lungo periodo. Inoltre la consapevolezza di non poter essere espulsi, poiché una direttiva europea esclude categoricamente l’espulsione di un cittadino dell’Unione che si rende responsabile di un’irregolarità amministrativa, ha contribuito al processo di insediamento e permanenza non dichiarati. L’esito è una presenza rilevante di persone e lavoratori che appare contraddittoria: sappiamo che si tratta di concittadini europei, ma al contempo non li percepiamo come tali, tanto che molti ritengono che dovrebbero continuare a essere assoggettati alle regole che disciplinano ingresso e soggiorno in Italia degli extracomunitari.

L’impressione generalizzata è che alla rapidità con cui si è addivenuti all’inclusione della Romania nell’unione europea non sia corrisposta un’efficace capacità di governare le conseguenze del processo. Il quadro, purtroppo, è stato aggravato da una serie di eventi di cronaca (culminati nell’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, nello scorso autunno), la cui eco mediatica ha rafforzato un diffuso senso di insicurezza, tanto da indurre il governo Prodi a disporre misure restrittive nei confronti dei cittadini europei, emanando un decreto d’urgenza con il quale si è disposta la possibilità, da parte dei prefetti, di espellere chi si rende responsabile di gravi atti contro l’ordine pubblico.

La consapevolezza dei limiti del provvedimento non deve far trascurare il fatto che il paese chiedeva e chiede segnali in questo senso. I motivi sono molteplici, certamente riconducibili a un’incapacità, da parte delle istituzioni, di accompagnare in maniera adeguata; sotto il profilo culturale, ancor prima che normativo, le conseguenze migratorie del processo di allargamento. Ogni afflusso massiccio da altri paesi è stato vissuto in Italia, nel recente passato, come un’inaccettabile invasione e questa volta non costituisce un’attenuante il fatto che ad arrivare siano cittadini comunitari. Per molti italiani si tratta semplicemente di stranieri che, spinti dal bisogno, si rendono responsabili di fatti criminosi. La stragrande maggioranza della popolazione italiana fatica a considerare i rumeni (e soprattutto i rom) alla stregua di francesi, inglesi o anche polacchi: a costruire questa percezione contribuiscono le distorsioni mediatiche e le strumentalizzazioni politiche, ma ciò accade anche perché, nei fatti, si tratta di un’immigrazione diversa, che necessita di tutte le attenzioni che andrebbero riservate ai flussi provenienti da paesi emergenti.

Inefficacia delle politiche

Questa constatazione, però, non deve spingere ad atteggiamenti di chiusura o, peggio, a compiere passi indietro rispetto a un processo di integrazione comunitaria necessario e ormai avviato. Tale fenomeno va agevolato nei modi e nei tempi più opportuni, anzitutto attraverso una maggiore conoscenza da parte di chi è chiamato a lavorare con questi migranti. Il convegno dell’8 febbraio, organizzato dall’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, in collaborazione con Caritas Italiana e Migrantes, ha costituito un primo passo nella direzione di un cammino di conoscenza reciproca e di documentato confronto. Oltre a delineare un quadro sulle caratteristiche dell’immigrazione romena in Italia, ha approfondito il punto di vista degli stessi immigrati e illustrato, attraverso l’intervento di un rappresentante di Caritas Romania, i problemi che la sostenuta emigrazione sta comportando per lo stesso paese neocomunitario. Nel convegno è stato trattato anche l’emblematico caso spagnolo, che presenta diverse analogie con quello italiano, riguardo sia all’integrazione dei migranti che alla questione rom, riacutizzatasi, nella percezione dell’opinione pubblica, con l’inizio della libera circolazione.

Proprio su questo punto si dovranno compiere ancora molti progressi: le relazioni hanno sottolineato l’inefficacia degli interventi sinora adottati dalle istituzioni nei confronti delle popolazioni rom, i cui membri (tanti, peraltro, di nazionalità italiana, benché molti siano ormai i rumeni), sono spesso privati dei più elementari diritti legati alla tutela della persona fisica e della dignità umana. Le esigenze di sicurezza che l’opinione pubblica manifesta dovranno conciliarsi, in proposito, con misure, altrettanto legittime e necessarie, di accompagnamento e integrazione sociale: non è escludendo, che l’Europa può consolidare la sua identità, la sua sicurezza e il suo benessere.
Letto 3507 volte Ultima modifica il Sabato, 05 Luglio 2008 20:15