Gli atlanti geografici, con le loro tradizionali carte politiche e fisiche - queste ultime ormai sempre più sostituite da fotografie satellitari- rappresentano ancora il volto reale del pianeta Terra?
I dati fisici - le montagne, i mari, i fiumi - sono sostanzialmente immutati, anzi meglio definiti, ma quei colori che formano un variopinto mosaico, identificando gli Stati nei loro confini come portatori di valori nazionali ed unitari, quanto sono ancora i veri protagonisti della scena mondiale?
Se la prima Società delle Nazioni , nata nel 1919 a Parigi, contava su 42 stati, l'Organizzazione delle Nazioni Unite ne raccoglie oggi ben 191. In poco meno di un secolo, cioè, sotto la spinta della decolonizzazione e degli avvenimenti, le tessere del mosaico si sono quasi quintuplicate. Questa moltiplicazione ha paradossalmente facilitato l'emergere di processi di senso opposto quali la internazionalizzazione e la globalizzazione, fenomeni che postulano una rivisitazione del modo di intendere la geografia politica ed economica del pianeta
Oggi, occorre tener conto e dare spazio a realtà transnazionali - organizzazioni internazionali , organismi interstatuali, raggruppamenti regionali, grandi regioni transfrontaliere, imprese multinazionali- che acquistano sempre più peso rispetto agli equilibri tradizionali ancorati agli stati e ancor più ne rivendicano nella Comunità mondiale, in nome della loro capacità di produrre benessere per l'uomo, assicurando maggior competitività e mercati più ampi alle economie dei singoli stati.
Le trasformazioni nel nostro modo di essere e di porci in rapporto con gli altri, dovute alle interrelazioni sempre più strette tra paesi e popoli, alla circolazione sempre più veloce e penetrante dell'informazione, pongono nuovi interrogativi sulle prospettive della società umana. Ci inducono ineluttabilmente a riflettere sul futuro delle forme storiche di aggregazione ed organizzazione della società umana , tendenti a basarsi non più esclusivamente sul radicamento su di un territorio fisicamente definito, ma sull'identificazione in comuni interessi.
Si affaccia sempre più insistentemente alla ribalta il cosiddetto “glocal”, ossia il “globale localizzato”, che vede nella persona non più solo “il cittadino di uno stato”, ma un individuo caratterizzato da una pluralità di appartenenze economiche e culturali, derivanti non solo dal nuovo rapporto tra il locale e globale, ma dalla riorganizzazione che il processo di globalizzazione richiede alla comunità internazionale, nella direzione di una de-localizzazione tale da introdurre necessariamente nuove forme di aggregazione e una modifica degli schemi organizzativi territoriali degli stati e della esclusività ed unicità de rapporto di cittadinanza . Ad esempio, si parla sempre più di una cittadinanza europea comune ai popoli dei 15 - e domani 25- Stati membri dell'Unione Europea, che affianca quella nazionale per sottolineare l'unicità di uno spazio comune - economico, giuridico, monetario- in cui coesiste con le singole identità nazionali viste come fattore di arricchimento, ma si parla anche di “regioni europee” che travalicano i confini statuali.
Se si guardano con attenzione l'evoluzione internazionale e l'impatto globale dei problemi politici, economici e sociali che caratterizzano i nostri giorni, le profonde trasformazioni delle strutture delle società occidentali ormai post-industriali e del nostro modo di vivere e di sentire, ci si rende conto delle dimensioni ed implicazioni del processo avviato.
Occorre perciò capire dove vogliamo andare ed individuare i modi con cui governare la tendenza, scongiurando meccanicismi e tecnicismi che finirebbero per impoverire l'umanità intera dei suoi valori fondamentali e a cancellare ogni forma di solidarietà.
Questo quadro complesso ed in continua evoluzione richiede saggezza, che -come insegna la Bibbia- non è solo conoscenza ma soprattutto discernimento. In una società sempre più fondata sull'efficienza e sull'immagine, in un mondo che sollecita tempi di reazione sempre più rapidi, in cui tutto è a portata di internet, occorre rinunciare alla scorciatoia del villaggio globale e trovare il tempo per riflettere e farsi una propria idea su quanto ci frastorna.
Ci occorrono sia conoscenza che capacità critica, intesa come una metodologia della conoscenza fondata sulla analisi di una situazione in base ai diversi elementi che contribuiscono a determinarla, siano essi politici od economici, storici o culturali, etnici o religiosi, naturali o sociali tutto ciò per comprendere meglio quanto accade intorno a noi senza delegare altri a farlo per noi.
Sono tutte realtà che nel mondo di oggi non possono più rappresentare il riservato dominio di specialisti, ma un patrimonio di conoscenze basilare per agire sul grande palcoscenico del pianeta, dove tutto e tutti finiscono per essere fatalmente interdipendenti, dove benessere, progresso e pace inevitabilmente possono misurarsi e concretizzarsi soltanto su scala planetaria.
Giuseppe Panocchia
ambasciatore, europeista,esperto del mondo arabo