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Mercoledì, 11 Febbraio 2009 22:21

Razzismo

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Razzismo
da www.unaltrogiro.it

Secondo l’opinione di molti politici italiani si tratta di un termine improprio, possibilmente da evitare sia nel linguaggio comune che nell’informazione. Il detto, infatti, vuole che gli italiani siano brava gente. Il razzismo – sempre secondo questi politici – non è proprio della cultura e della tradizione italiana. Si può parlare, di fronte ad alcuni episodi, di maleducazione, di mancanza di valori, di bravate giovanili – ma assolutamente non si può tirare in ballo il razzismo.

Il razzismo, infatti, è un fenomeno che riguarda il sud degli Stati Uniti – ma ora che è stato eletto come presidente Barak Obama si può dire che anche per quel paese sia stato superato. Al pari del Sud Africa – anche lì l’apartheid è stato abolito da anni ormai. Il razzismo è qualcosa da leggere sui libri o sui giornali. Qualcosa che capita sempre lontano da casa nostra – che riguarda altre culture, altri popoli. Noi siamo un popolo di navigatori, di inventori, di santi… Dunque, sempre secondo queste luminose intelligenze, non è esatto parlare oggi di razzismo – non fosse altro che siamo ormai entrati nell’epoca della globalizzazione.

Italiani brava gente. Espressione tutta autoreferenziale. Siamo noi a dirci tali. Noi non ci riteniamo come gli altri. Come gli inglesi ed i francesi con il colonialismo. O come i tedeschi con i campi di sterminio. Noi ci siamo comportati bene. Sia con le colonie – vi abbiamo costruito strade e ponti. Sia durante la seconda guerra mondiale – pur essendo dalla parte dei tedeschi e dei giapponesi non abbiamo compiuto le nefandezze di cui si sono macchiati i nostri alleati. È quello che abbiamo studiato sui banchi di scuola, nei nostri libri di storia.

L’Italia è l’unico paese europeo che non ha ancora fatto i conti con la propria storia coloniale L’argomento resta tuttora tabù. Sbrigativamente si afferma che siamo stati bravi. E poi ci vantiamo di aver restituito la stele di Axum agli etiopici. Ed il nostro presidente del Consiglio recentemente ha siglato con la Libia un trattato nel quale l’Italia s’impegna in vent’anni a pagare un risarcimento per il periodo coloniale di 5 miliardi di euro. Cose che non tutti sono stati capaci di fare con le loro ex-colonie…

Sono pochi quelli che finora hanno cercato di raccontare un’altra storia. Ci ha provato don Lorenzo Milani (in maniera molto veloce e succinta) in quel suo testo (che aveva scritto a sua difesa quando già era minato dal male e nell’impossibilità a presentarsi in tribunale in quanto sotto processo per essersi espresso a favore degli obiettori di coscienza) che è conosciuto con il titolo di Lettera ai giudici. Scriveva don Milani nel 1965: «Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. (…) [L’ordine] che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). (…) Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazz. L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici (…). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935), di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). (…) Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati».

Recentemente si è occupato della faccenda Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? (Editore Neri Pozza 2005). Le pagine più interessanti sono quelle dedicate alla strage che seguì il tentativo di uccidere Graziani in Etiopia nel febbraio del 1937. Il quadro che ne emerge – documentato – è che non fummo migliori, ma che siamo riusciti a tenere nascoste, almeno ai nostri stessi occhi, tutte le porcherie di cui siamo stati capaci.

Ne aveva parlato anche Paolo Borruso nel suo libro L'ultimo impero cristiano. Politica e religione nell'Etiopia contemporanea (1916-1974) (Guerini e Associati, Milano 2002), che documenta la «barbarie della colonizzazione fascista in Etiopia» provocata dal generale Graziani, quando furono fucilati l'abuna Petròs, tre vescovi, abati di monasteri e barbaramente uccisi 297 monaci e oltre 150 diaconi della Chiesa ortodossa etiopica.

Pochi finora ne hanno scritto o parlato. Il quadro che emerge è impressionante. Il periodo coloniale italiano – pur se relativamente breve – è stato accompagnato da frequenti bagni di sangue. Eppure restano nell’immaginario collettivo pochi elementi. La canzone Faccetta nera, gli africani rappresentati attraverso lo stereotipo del selvaggio Bingo Bongo o i fumetti de Il Corriere dei piccoli, con la figura del bambino africano Bilbolbul (le vicende di Bilbolbul erano narrate e illustrate in linea con la cultura coloniale da diffondere: un’Africa deformata, primitiva, immaginaria e guardata in maniera molto paternalistica. Il personaggio viene creato nel 1908, tre anni appena prima della guerra in Libia).

Insomma, se appena si comincia a rileggere la recente storia dello stato unitario italiano ci possiamo rendere conto che i fenomeni di razzismo si sono manifestati in continuazione e che sarebbe ora di smetterla di ripeterci che siamo brava gente.

Eppure, nella nostra sicurezza di restare indenni al razzismo, assistiamo ad una serie di episodi che vengono diversamente qualificati - (stiamo sempre riferendoci ad alcuni dei nostri uomini politici).

La notte del 19-10-2008 a Desenzano, in provincia di Brescia, viene annegato un immigrato marocchino di quarant’anni. Le indagini successive da parte delle forze dell’ordine porteranno all’arresto di tre giovani: un ragazzo di 21 anni e due minorenni (all’epoca del fatto). L’immigrato venne spinto nelle acque del lago e tenuto sott’acqua finché non morì. Non si è trattato di un fenomeno di razzismo, ma semplicemente di una bravata da parte di ragazzi.

La notte del 31-01-2009 a Nettuno (provincia di Roma) un immigrato di origine indiana di trentacinque anni viene pestato a sangue e bruciato. Anche in questo caso sono protagonisti alcuni giovani (uno minorenne). Ci si affretta a ripetere che non si tratta di razzismo. Si deve invece parlare di mancanza di valori, di perdita di valori da parte di una generazione annoiata.

Sempre la mattina del 31-01-2009 a Civitavecchia (provincia di Roma) un agente di polizia (responsabile dell’Ufficio immigrazione) spara con un fucile a pompa ad un suo vicino di casa senegalese di 42 anni. Il poliziotto «non voleva vederli in giardino». L’episodio è stato liquidato come una semplice lite tra vicini di casa. Anche qui il razzismo non c’entra niente.

A Milano la mattina del 14-03-2008 un negoziante uccide a sprangate Abdoul William, un ragazzo (cittadino italiano) di origine burkinambe, reo di aver sottratto solo un pacchetto di biscotti. Anche in questo caso non si è trattato di un episodio di razzismo. Evidentemente era la prima volta che qualcuno rubava in quel negozio poiché c’è da immaginare che il proprietario, non essendo razzista, avrebbe preso a sprangate anche un cittadino italiano dalla pelle chiara qualora lo avesse colto sul fatto.

Nel giugno 2008 una coppia di veronesi uccide e brucia un operaio rumeno per incassare 900 mila euro di assicurazione sulla vita. La vittima si chiamava Adrian Komsin, di appena 28 anni e di mestiere faceva l'autostrasportatore presso una ditta della zona. Sicuramente la giovane coppia veronese era convinta che della vita di un giovane straniero (rumeno) nessuno si sarebbe mai interessato.

Potremmo ricordare tanti altri fatti. Lo scrittore francese di origine marocchina Tahar Ben Jelloun lo fa puntigliosamente, rispetto ad una serie di episodi successi in Francia negli anni ’80, nel suo libro Ospitalità francese.

Potremmo ricordare l’operaio rumeno arso vivo dal suo datore di lavoro. La vittima, quarant'anni, ingegnere, lavorava in nero in un cantiere edile. È successo a Gallarate, il 14-03-2000. Si chiamava Ion e con cinque suoi compatrioti aveva chiesto di essere almeno pagato a giornata e non per ogni metro di pavimento posato. La risposta è stata violentissima. L'ingegnere romeno stava ancora bruciando in un angolo del cucinino quando C.I. alzava il dito contro i cinque testimoni: «Chi parla, lo faccio buttare fuori dall' Italia. Chi sta zitto, becca qualche soldo». (Dal Corriere della Sera del 24-03-2000)

Oppure potremmo ricordare il marocchino di 37 anni ucciso da un vigilante in borghese a Milano, il 28-02-2006. Un colpo esploso accidentalmente durante una colluttazione. Un incidente.

Ed ancora la mattanza del 19-09-2008, compiuta dal clan dei casalesi, nel napoletano. Sei nigeriani uccisi per avvertimento – perché i loro connazionali se ne stiano lontani dal traffico dei stupefacenti. Per ricordare un po’ a tutti chi comanda nella zona.

Tahar Ben Jelloun in Il razzismo spiegato a mia figlia definisce in questo modo il razzismo: «Tra le cose che ci sono al mondo, il razzismo è la meglio distribuita. È un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare, ahimè, banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre».

Diffidenza e disprezzo. Se questi sono gli elementi che fanno da base al razzismo dovremmo chiederci se la società italiana in questo momento non stia attraversando un pericoloso clima di diffidenza e di disprezzo. Se nel linguaggio e nel comportamento di tanti uomini politici italiani (gli stessi che si affrettano a proclamarsi indenni dal razzismo) non ci sia la virulenza del disprezzo e della diffidenza.

Anche i nazisti, quando presero il potere in Germania nel 1933, ritenevano di non essere razzisti. Essi volevano purificare la propria nazione dal lordume massonico-comunista-ebraico. Anzi, volevano preservare la propria razza dalla contaminazione. Avevano la soluzione al problema. Anzi, la soluzione finale.

Historia magistra vitae (La storia è maestra di vita). Ma sembra che non si abbia più memoria. Sembra che non si abbia nulla da imparare, anche dalla storia recente dell’Italia – quando gli emigranti partivano dai nostri paesi verso l’Argentina, gli Stati Uniti, il Canada, la Svizzera, il Belgio, l’Australia, il Sud Africa… - quando il razzismo si indirizzava contro i meridionali (banditi, briganti, lavativi, perenni assistiti…).

C’è da avere paura. Non degli stranieri e della diversità che portano con le loro storie di immigrazione.

Ma di noi stessi. Del lato oscuro che alberga in noi – dell’ombra, secondo la terminologia junghiana – che sta emergendo – prepotentemente, irrazionalmente – avvelenandoci tutti gli spazi della convivenza civile.

Letto 2064 volte Ultima modifica il Martedì, 03 Marzo 2009 00:44

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