Nelle imprese pubbliche congolesi è tutto un mugugno contro i decreti, pubblicati lo scorso 24 aprile dal primo ministro Adolphe Muzito, che aprono la via alle privatizzazioni. È prevista la trasformazione in imprese commerciali di cinque società del settore minerario (tra cui la Gécamines e l'Ufficio delle miniere d'oro di Kilo-Moto), della Società nazionale dell'elettricità (Snel), della Società congolese degli idrocarburi, della Compagnia statale delle acque (Regideso), di parecchie società del settore dei trasporti (ferrovie, la Compagnia aerea congolese, aziende autonome di trasporto marittimo e aereo), delle Poste e Telecomunicazioni, e della Cassa di risparmio del Congo.
Anche se il governo si è impegnato a creare un fondo speciale per pagare il personale di queste società, nonostante il disimpegno dello stato, i lavoratori, stanchi di promesse non mantenute, sono inquieti. In maggio i minatori della Gécamines hanno scioperato per molti giorni, rivendicando il pagamento di 55 mesi di salari arretrati. Ma Jeannine Mabunda, ministro delle partecipazioni pubbliche, è inflessibile: secondo lei, lo stato deve avere il ruolo di regolatore, lasciando quello di commerciante al settore privato.
Molti condividevano il fatto che una riforma fosse necessaria, in considerazione dei servizi inefficienti resi da queste società. Per esempio, le continue interruzioni della corrente elettrica nella capitale Kinshasa hanno spinto alla riforma della Snel che, con il suo nuovo statuto commerciale, è libera di decidere tariffe più adeguate e può attirare investitori. Questa situazione potrebbe diventare interessante per dei privati interessati a grandi progetti, come le dighe idroelettriche Inga III e Grande Inga sul fiume Congo.
Sono toccate dalla privatizzazione anche le società private partner della Gécamines. Potenzialmente, infatti, i decreti aprono la via a dei cambiamenti nell'azionariato delle joint venture. Ma ci vorrà del tempo per arrivare a questo punto. Per ora i consigli di amministrazione rimangono quelli che sono. Nell'arco di dieci mesi devono proporre una diagnosi delle imprese, una strategia di ristrutturazione e un piano sociale. Devono preparare anche un piano di stabilizzazione e dei bandi di gara internazionali in vista della cessione di una parte delle attività.
Lo stato dovrebbe, ugualmente, mantenere il 51% delle quote sociali: libero, in seguito, di non tenere azioni se non nelle società considerate strategiche. Ma questa scelta di mantenere la quota maggioritaria suscita scetticismo. «Chi può aver voglia di essere socio di minoranza di un mastodonte agonizzante, senza avere le mani libere per risanarlo?», si chiedono gli uomini d'affari di Kinshasa.
Inoltre, è necessario sbrogliare la matassa dei debiti delle imprese privatizzate nei confronti dello stato. Nel caso della Snel, la cifra era di 291 milioni di dollari nel 2007; nello stesso tempo, la compagnia elettrica vantava, all'epoca, crediti per 458 milioni di dollari dalla Gécamines e 110 milioni dalla Regideso. Un consulente belga rimarca che sarebbe conveniente mettere in campo garanzie affinchè l'apporto di denaro fresco si traduca in investimenti produttivi e in un miglioramento dei servizi. In mancanza di ciò, si rischia di alimentare ciò che i congolesi definiscono, graziosamente, come "cattiva gestione".