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Mercoledì, 17 Febbraio 2010 10:45

Cristiani messi al bando, ma il voto boccia i fanatici

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CRISTIANI MESSI AL BANDO MA IL VOTO BOCCIA I FANATICI

 

Nello stato indiano dell’Orissa i profughi cristiani sono decine di migliaia, a dieci mesi dalle violenze scatenate contro di loro. Sono dalit e tribali, ”caste” infime: difficile il ritorno a casa. Ma le elezioni bocciano i fondamentalisti indù

Parla con un fil di voce del futuro che non c'è, sgretolato da una folle intolleranza che pare proprio non voler guarire. Julima Nayak ha 18 anni, lo sguardo terso e un sari coloratissimo. «È praticamente l'unica cosa che mi rimane», dice di fronte ai locali in cui le Missionarie della Carità, le suor di Madre Teresa, continuano a ospitare i cristiani perseguitati, a ridosso del lebbrosario di Janla che gestiscono con infinito amore nella periferia polverosa di Bhubaneswar, la capitale del tribolato stato indiano dell'Orissa.

«Sto qui con la mia famiglia - prosegue Julima -. Non possiamo fare altrimenti. Se torniamo a casa hanno detto che ci uccideranno. E poi, dire casa è dire troppo Hanno bruciato tutto, prima la chiesa, poi le nostre abitazioni. Era un gruppo di persone armate, alcune le conoscevo, erano del posto. Quegli ultimi giorni di agosto li ricorderò per sempre. Siamo scappati di corsa nella foresta. Poi via, lontano dal nostro villaggio, Kirama. a più di 200 chilometri da dove ci troviamo ora. Ringraziando Dio siamo vivi. Ma che ne sarà di noi?".

L’Orissa risuona di voci dolenti. A quasi dieci mesi dallo scoppio delle violenze anticristiane, regna una calma che va decifrata perché è tutto tranne che normalità. I fatti sono noti, il 23 agosto 2008 Laxmanananda Sarawati,ultraottantenne leader indù,è stato ucciso dai guerriglieri maoisti. I fondamentalisti indù hanno ingiustamente accusato dell’omicidio i cristiani,cominciando una spietata caccia all’uomo.

Il bilancio finale è stato pesantissimo. Le vittime sono dalit (ex intoccabili) o discendenti delle popolazioni originarie(i tribali),gruppi considerati l’ultimo gradino della società indiana,che nega la divisione in caste solo a parole. Affacciato sul Golfo del Bengala e detentore di una ricca eredità culturale (impreziosita da decine di bellissimi templi ),l’Orissa è uno tra gli stati più poveri dell’India. La sua popolazione sfiora i 37 milioni di abitanti e la sua economia resta ancorata a un'agricoltura di sussistenza, anche se vi fiorisce l'industria estrattiva (carbone, bauxite, ferro). Le laceranti contraddizioni di una terra sospesa tra sorprendenti ricchezze storiche e naturali e una povertà struggente hanno probabilmente favorito l’esplodere in forme violente di un malessere che, in realtà cova in molti altri stati e territori dell'India, un paese che. è praticamente un continente.

 

Non possono attingere acqua

A più di sei ore d'auto da Bhubaneswar, a Raikia, nel distretto di Kandhamal, cuore dell'Orissa, ci sono cinque tende frustate dal sole. Ce n'erano 40 durante l' emergenza umanitaria: il governo le aveva alzate su un terreno adiacente al convento di Santa Caterina. Fuori, soldati armati montano ancora di guardia. La trentacinquenne Rashmita Digal accarezza teneramente i tre figli, due maschi e una femmina. «Abitavamo in un villaggio a non più di dieci chilometri da qui, dove sono state uccise tre persone - spiega -. I nostri compaesani indù si sono riuniti stabilendo che non possiamo rientrare».

Anche Kamal Digal, 39 anni, è del distretto di Kandhamal. «Per la precisione di Bataguda. Hanno cercato di uccidermi perché cattolico. Sono riuscito a fuggire nella giungla, portando in salvo i miei figli. A mio cognato Rajesh, invece, è andata peggio. Decisamente peggio».

Rajesh aveva 27 anni. Lavorava a Chennai (l'antica Madras), capitale di un altro stato indiano, il Tamil Nadu, nel sud-est del paese. «Ha deciso di venirci a trovare approfittando di qualche giorno di ferie - , ricostruisce Kamal -. Non sapeva della morte di Saraswati, né era al corrente che i fondamentalisti indù si stavano abbandonando a violente manifestazioni contro i cristiani. Giunse il 24 agosto nel distretto di Kandhamal, nella cittadina di G. Udayagiri, in compagnia di Tunguru Mallick, un suo amico indù. I trasporti erano paralizzati per via dello sciopero dichiarato per protesta. I due hanno deciso di continuare a piedi, anche se mancavano ancora 60 chilometri a Bataguda. Ne avevano percorsi più o meno 12, quando all'altezza di Paburia sono stati bloccati da alcuni facinorosi che hanno voluto sapere chi erano, dove andavano e perché. Mentre Rajesh parlava, qualcuno gli ha aperto la borsa. Dentro c'era anche una Bibbia. Lo hanno preso, lo hanno percosso, hanno scavato una fossa e lo hanno cacciato dentro, seppellendolo vivo - conclude Kamal Digal-. Non paghi, i fondamentalisti hanno gettato cherosene sul suo amico indù, considerato un traditore, appiccando il fuoco. Ma Tunguru Mallick s è salvato fuggendo. È lui che mi ha raccontato tutto».

In Orissa su 14 campi profughi ne sono rimasti aperti tre; i 54 mila sfollati sono diventati ufficialmente 5 mila o poco più. Ma le cifre non dicono nulla circa il dramma ancora in corso. «il fatto che non ci siano più violenze non significa che automaticamente regnino pace e concordia», riflette l'arcivescovo di Bhubaneswar, monsignor Raphael Cheenath. È scattata, infatti, una sorta di messa al bando dei cristiani, impossibilitati a rientrare in molti villaggi d'origine. Questo, unitamente al fatto che anche quando gli sfollati possono rientrare, in realtà non hanno soldi per ricostruire le proprie case distrutte, ha portato al fiorire di ripari di fortuna e di tendopoli improvvisate, come è sotto gli occhi di tutti in diverse parti del distretto di Kandhamal, ad esempio lungo la strada che collega Raikia ai villaggi di Lakebadi e di Pirigada.

«In molti casi, se rientrano, ai cristiani viene negato il diritto di lavorare o di attingere acqua o di comprare nei negozi - denuncia monsignor Cheenath, che risulta essere il bersaglio numero uno dei gruppi più estremisti -. Noi rifiutiamo la violenza e condanniamo ogni atto di aggressione e terrorismo. Di più: stiamo facendo ogni sforzo possibile per riconciliare gli animi».

A 1.750 chilometri di distanza da Bhubaneswar, l'arcivescovo di New Delhi (capitale indiana), monsignor Vincent Michael Concessao, offre un'analisi complessiva. «La radice del problema sta nell'ideologia che anima il fondamentalismo indù, fedele al principio "una nazione, una cultura, una religione", che chiude, di fatto ogni spazio alle minoranze. Queste, a loro giudizio, vanno semplicemente eliminate, vuoi attraverso le conversioni forzate all'induismo, vuoi tramite l'allontanamento di cristiani e musulmani».

Questo modo di pensare e di agire, osserva monsignor Concessao, «è però l' anti-India, dal momento che la nostre costituzione sancisce solennemente la pacifica coesistenza tra lingue, culture e credi diversi. Nei villaggi, il fondamentalismo indù ha avuto successo. Per la Chiesa si tratte di una vera sfida. Crediamo nella Pasqua con speranza Durante la Quaresima, abbiamo riflettuto su pace e armonia che dobbiamo costruire passando attraverso il perdono. Stiamo lavorando per operare radicali cambiamenti di mentalità, che superino la divisione in caste, cancellate dalla costituzione, ma ancora ben presente nella realtà».

 

La sorpresa nelle urne

La situazione nel Kandhamal rimane comunque tesa: Una notte della prima metà di maggio, ha scritto l'agenzie di stampaAsianews, alcuni estremisti hanno cercato di fare irruzione nel campo profughi di Mondakia, che ospita 1.500 rifugiati cristiani: solo l'intervento della polizia ha evitato il peggio. I Kandh, indù che rappresentano oltre la metà della popolazione del distretto, hanno presentato alla Corte suprema un esposto contro il governo dell'Orissa, accusandolo di favorire i cristiani e di espropriare terreni di loro proprietà per darli ai rifugiati e costruire Chiese.

Eppure una cosa è certa. Il nazionalismo era uno degli elementi che parevano dover caratterizzare l'ultima tornata elettorale. Dal 16 aprile al 13 maggio, infatti, !'India, la più grande democrazia al mondo (714 milioni di elettori, oltre 800 mila seggi elettorali) ha rinnovato il Lok Sabha, il parlamento nazionale indiano. Ma i risultati hanno riservato sorprese.

Andando al di là delle sue più rosee previsioni, la coalizione Alleanza progressista unita (Upa) ha ottenuto la maggioranza assoluta, raccogliendo - con i suoi alleati-274 seggi sui 545 a disposizione, di cui 206 conquistati dal Partito del Congresso guidato dall'indiana di origini italiane Sonia Gandhi. La coalizione di opposizione di centro-destra(Alleanza nazional democratica Nda) ne ha avuti 159, di cui 116 attribuiti al partito nazionalista indù Barathyia Janata Party (Bjp), che però nel 2004 ne aveva avuti 138.

Chi ha predicato e predica “l’India agli indù”,evitando politiche di conclusioni socio-culturali e religiose ,ovvero facendo poco o nulla per abbattere le divisioni tra caste,non è stato insomma premiato dalle urne. Al contrario può dirsi sconfitto. E’ successo anche nello stato dell’Orissa. L’elettorato ha dato prova di maturità,la popolazione ha testimoniato con i fatti che vuole la riconciliazione e la pace religiosa e sociale:le élite del fanatismo e gli imprenditori dell’odio sapranno tener debito conto di queste indicazioni?

 

 

Servizio di Alberto Chiara

Italia Caritas Giugno 2009

 

 

 

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