Per quel che sta succedendo l´unificazione italiana rischia di essere celebrata, tra qualche anno, non nel segno di una conferma ma sotto l´incubo di una minaccia. Mai come di questi tempi le sorti delle due parti di cui si compone il paese sono sembrate più lontane. Mai esso è sembrato così pericolosamente lungo.
E così insidiato dal rischio di una decomposizione territoriale: una condizione nella quale il Nord somigli, come diceva un grande storico italiano, Adolfo Omodeo, a un Belgio grasso, e il Sud a una colonia mafiosa.
Non soltanto appare incerto il futuro del Paese, tanto che ieri il presidente Napolitano ha dovuto ricordare quale sciagura, quale "salto nel vuoto" sarebbe una secessione. Ma è anche sottoposto a revisione il passato della nazione. «Si vedono emergere giudizi sommari e pregiudizi volgari - ha detto il capo dello Stato in un recente discorso - su quel che fu nell´800 il formarsi dell´Italia come Stato unitario, e bilanci approssimativi e tendenziosi di stampo liquidatorio, del lungo cammino percorso dopo il cruciale 17 marzo 1861. Bisogna reagire all´eco che suscitano, in sfere lontane da quella degli studi più seri, i rumorosi detrattori dell´Unità d´Italia».
In questo clima, il richiamo al federalismo, così insistito da parte dell´attuale maggioranza, rischia di tradursi nella rivendicazione di un separatismo regionale, ove sia limitato all´aspetto dell´autonomia fiscale. Ciò che prevale in questo federalismo separatista è la denuncia del peso che il Nord subisce per trasferimenti di risorse al Sud, ingenti e malamente gestite: il cosiddetto "sacco del Nord". Ora, che quei trasferimenti siano molto malamente gestiti, è fuor di dubbio. Che ciò, però, giustifichi una loro drastica riduzione sarebbe un gravissimo errore storico: sarebbe l´abbandono della questione meridionale come aspetto cruciale dell´unità del paese, in nome di un nordismo provinciale, miope sia rispetto al venir meno di un impulso che giova a tutto il paese, sia rispetto alla minaccia che grava su tutto il paese, di diventare un "Mezzogiorno d´Europa", centro nevralgico della grande rete della criminalità mondiale.
Il federalismo non può e non deve essere inteso come separatismo, ma, secondo l´originale ispirazione risorgimentale, quella dei Cattaneo dei Dorso dei Salvemini, come un patto storico tra il Nord e il Sud, che saldi finalmente l´Italia in una autentica unità nazionale.
In questo senso va intesa la proposta di una grande riforma federalista unitaria, basata su due fondamentali innovazioni: l´istituzione delle macroregioni e il patto nazionale tra di esse. Più un terzo elemento essenziale.
La prima proposta muove dalla constatazione del fallimento dell´esperienza regionalistica risoltasi in una frammentazione di governi e di burocrazie locali, fortemente esposti alla dissipazione assistenzialistica e alla pressione corruttrice. Elevare il livello dei grandi costituenti federalisti: il Nord, comprensivo delle regioni settentrionali e centrali e il Sud, di quelle meridionali e insulari. Ciò ridurrebbe drasticamente il peso degli interessi locali e promuoverebbe la formazione di una classe politica non provinciale, capace di rappresentare istanze generaliste.
La seconda individua lo scopo storico del federalismo unitario: quello di realizzare finalmente l´unità della nazione sulla base di un patto di sviluppo comune e comunemente gestito, che non pregiudica l´autonomia fiscale, ma la finalizza a un interesse superiore. Strumento essenziale di questo patto, non una Banca erogatrice, ma un Fondo di programmazione di un piano di risanamento e di sviluppo. Risanamento, soprattutto delle aree urbane del Sud, la cui degradazione sociale costituisce il vero e principale ostacolo alla vittoria sulla criminalità mafiosa e allo sviluppo civile ed economico. Sviluppo, in chiave europea, delle potenzialità economiche rappresentate dall´area mediterranea.
In questo quadro - ecco il terzo essenziale aspetto - avrebbe senso, sia la posizione mediatrice di un "distretto" centrale, costituito da Roma e dalla sua proiezione laziale; sia una riforma presidenzialistica che assegnerebbe al capo dello Stato la responsabilità suprema di garantire, di fronte alle due grandi componenti della costruzione federalista, gli scopi e gli interessi superiori della nazione.
Sono ben consapevole dei rischi e della componente "utopistica" di una proposta così sommariamente riassunta. Ma anche del rischio di gran lunga più grave: quello della decomposizione territoriale dell´unità del paese che l´attuale deriva comporta. E quanto all´utopia, penso che il fatto più grave, e qui parlo soprattutto della sinistra, sia proprio la sua totale e deprimente assenza.