«Eravamo almeno 50 bambini, soprattutto femmine. Mangiavamo bene e tanto: pasta, riso, pane, pesce. Ogni tanto arrivavano altri bambini. E ogni due settimane circa, un bianco che parlava portoghese ne portava via un gruppetto. Diceva di portarli a una festa, ma loro non tornavano più. Ci siamo accorti che, ogni volta che se ne andava, poco dopo sentivamo partire degli aerei dalla vicina base militare».
È la storia incredibile che Nene ha raccontato a padre Silvano Daldosso, sacerdote fidei donum di Verona, una domenica di fine giugno 2009. Il missionario, di origine italiana, era arrivato in una comunità cristiana, vicino a Napera, nella parrocchia di Namahaca, per una delle sue periodiche visite. Mentre si apprestava a celebrare l'Eucaristia, l'animatore della comunità gli si è avvicinato, gli ha presentato la bambina - «un catechista l'ha trovata mentre vagava da sola» - e ha insistito perché ascoltasse la sua storia.
Nene affermava di essere originaria di Monapo, un distretto lontano molte ore di strada, e di essere riuscita a fuggire da «una casa di bianchi», dov'era prigioniera da anni con altri coetanei. «C'erano tante camere da letto. Ma noi non potevamo mai uscire. C'era permesso giocare solo in casa. Fuori c'erano sempre delle guardie, di giorno e di notte».
Dove finiscono i bambini? Nene non lo sa. Ma i missionari non hanno dubbi: sono tutte vittime del traffico di minori. Finiscono nei bordelli del vicino Sudafrica o nel giro della pedofilia; sono sfruttati per lavorare, o dati in adozione dietro pagamento, oppure diventano carne da macello per i riti di stregoneria.
Dai racconti un po' vaghi di Nene padre Silvano e i catechisti cercano di ricostruirne la storia. La bambina, oggi dodicenne, era stata rapita all'età di 8 anni con 5 cuginette della stessa età mentre giocavano poco lontano da casa. Arrivò un' auto con a bordo 5 uomini - 3 mozambicani e 2 bianchi - che le invitarono a salire in macchina: «Andiamo a Nacala. Venite. Vi portiamo al cinema». Ma al cinema non ci arrivarono mai. L'auto svoltò prima di entrare nel centro di Nacala, importante porto commerciale sull'Oceano Indiano, si diresse verso la vecchia base militare aerea e arrivò alla «grande casa dei bianchi», ben nascosta da una vegetazione fitta e alta. Nene vi restò prigioniera per più di 3 anni. Poi, «poco prima dell'ultima stagione delle piogge» (quindi nell'ottobre del 2008), riuscì a fuggire. Una sera, un guardiano aprì la porta a lei e ad altre bambine. Durante la fuga si persero; forse alcune di loro furono individuate e riprese. Nene proseguì da sola. Tra nuove fughe e passaggi fortuiti, quasi 8 mesi dopo arrivò a Napera. Dove finalmente qualcuno si è preso cura di lei.
RETE INTERNAZIONALE
Padre Silvano non ha perso tempo e ha subito cercato delle prove. «La casa di cui Nene parla esiste davvero. Abbiamo chiesto a una mama di nostra fiducia di andare a controllare e l'ha trovata: una casa coperta da una fitta vegetazione, controllata da guardie, esattamente nel luogo indicato dalla bambina». Troppo pericoloso filmare o fare foto: la casa è ben protetta. «La storia di Nene conferma tante voci sulla presenza di una casa dove dei bianchi tengono prigionieri i bambini. Già sapevamo che i trafficanti sono molto attivi nella provincia di Nampula».
I minori arrivano anche dall' Africa Australe e Orientale, come pure da Rwanda, Burundi, Somalia e Kenya, e si concentrano qui. «Ma abbiamo tracce di flussi da e verso Thailandia, Filippine, Taiwan. Si tratta di una grande rete internazionale, coperta da potenti mafie, e più redditizia di droga e armi».
Ilundi Cabral, responsabile dell'ong Save the Children a Maputo, ci dice: «Il Mozambico è un grande centro di smistamento. La meta finale resta il Sudafrica: Pretoria, Johannesburg, Durban, Città del Capo. Dal 2008 abbiamo riscontrato un aumento notevole nel flusso: più segnalazioni e più casi riportati. L'incremento coincide con l'avvicinarsi dei Mondiali di calcio».
Si stima che la portata del traffico sia 10 volte il numero dei casi rilevati: fino a 30mila bambini l'anno, solo in Mozambico. «Per fortuna, sono arrivati i primi risultati a livello legislativo: da un anno c'è una legge contro il traffico di esseri umani. In ogni stazione di polizia è stato attivato un gabinete de atendimento per donne e minori, che fa riferimento alla brigada anti-trafico», cioè una nuova squadra speciale. «Ma la brigada è senza mezzi economici: non hanno archivi né computer. E i militari dei gabinetes non sanno come accogliere donne violentate o interrogare un bambino vittima del traffico. La nostra organizzazione sta lavorando per dare loro una base minima di psicologia».
LADRI DI ORGANI
La città capoluogo della regione, Nampula, dista poche ore di viaggio dal porto di Nacala. È proprio in questa città che la chiesa ha varato la sua battaglia contro il traffico di minori. Suor Juliana (al secolo, Maria Carmen Calvo Arino), religiosa spagnola, della congregazione delle Serve di Maria, superiora del monastero "Mater Dei" di Nampula, non è sorpresa quando le chiedo se sa del traffico di bambini: «Bambini scomparsi? Conosciamo centinaia di casi. E tutti avvenuti nei pressi della città. Ci sono madri e padri disperati che aspettano da anni di avere notizie dei loro figli: tutti spariti in pieno giorno, mentre stavano giocando nel cortile di casa. Ma le loro denunce rimangono inascoltate. Chi ha visto o sa qualcosa ha paura di testimoniare: teme di subire ritorsioni. Ci sono già stati casi di testimoni zittiti, o comprati, o invitati dalla polizia a cambiare aria».
È stata proprio suor Juliana nel 2002 a fare le prime denunce per sequestro di minori. «In pochi mesi erano spariti numerosi bambini. I corpi di alcuni di loro erano stati ritrovati, ma senza organi interni, o senza occhi e lingua». Nel volgere di pochi giorni, il Mozambico divenne un caso internazionale. «Arrivarono giornalisti da tutto il mondo e io fui invitata a parlare al parlamento europeo». La comunità internazionale minacciò il taglio degli aiuti al governo. Le monache raccolsero prove - foto, dati, testimonianze, nomi - e consegnarono tutto alla polizia. Ma le indagini si bloccarono, i processi non partirono, la documentazione andò persa. Suor Juliana: «Abbiamo ricevuto molte intimidazioni. Ma non abbiamo mai smesso di denunciare questi fatti».
Negli anni, il modo di agire dei trafficanti è cambiato: più cauto, più coperto, quasi impalpabile, ma sempre costante.
PREDE PERFETTE
Alle storie documentate si sommano quelle dei bambini di strada che spariscono senza lasciare traccia. Suor Maria del Carmen Lopez, comboniana, ci dice: «A chi interessa un minore di strada? Non ha senso segnalarne la scomparsa. L'unica speranza per questi bambini e bambine siamo noi». La religiosa spagnola gestisce a Nampula un convitto per bambine definite "a rischio". «Sono bambine dai 5 ai 13 anni. Non hanno alle spalle una famiglia solida che garantisca loro un'istruzione. Per alcune di loro essere accolte qui è l'unica opportunità per uscire dalla strada. Qui mangiano, dormono e studiano insieme. Ma non sono prigioniere: il cancello è sempre aperto. Ed è già capitato a qualcuna di loro di essere invitata da sconosciuti a salire in auto. I modi di attirarle sono tanti:
"Oh, ti ho trovata finalmente! Vieni, ti porto dal tuo cugino che ti cerca". Per fortuna nessuna ha mai accettato un passaggio».
La suora continua: «I minori che finiscono sulla strada non sono così fortunati. Senza documenti, senza una famiglia che li reclami, si abituano presto alla vita vagabonda. Dopo un po', è quasi impossibile trovarli. E così vengono adocchiati da persone senza scrupoli. Ce l'ha confermato anche Pedro, un ex bambino di strada, accolto in casa da una coppia mozambicana. Molti bambini di strada vengono rapiti. La tattica è sempre la stessa: arriva un'auto di grossa cilindrata, scende una persona ben vestita e invita il bambino o la bambina a salirvi. E c'è sempre chi accetta. In fondo, che cosa hanno da perdere? Poi, però, non tornano più. E per ogni caso di cui abbiamo notizia, tantissimi restano sconosciuti, soprattutto nei villaggi e nelle periferie delle città».
La battaglia è impari. «Dobbiamo proteggere questi bambini. Dovremmo aprire altre case di accoglienza per toglierli dalla strada e dalle mani dei trafficanti», dice suor Maria del Carmen. Che conclude: «Non è questo che ci chiede la missione?».
Padre Silvano: «Non vogliamo ripetere l'errore fatto in passato di fidarci delle istituzioni e della polizia. Intendiamo, invece, coinvolgere le istituzioni ecclesiali al fine di creare una rete di missionari e religiosi locali per combattere questi crimini. Ne abbiamo già parlato al vescovo di Nacala, mons. Germano Crachane, al consiglio presbiteriale della diocesi e a vari consigli parrocchiali. Siamo agli inizi. Ma siamo decisi a continuare. Perché ormai è provato che in Mozambico esiste un lucroso traffico di bambini. Tutti lo sanno, ma nessuno sembra volerlo denunciare. Come cristiani e come chiesa, siamo chiamati a intervenire con forza e coerenza»