Da Vienna una notizia importante che interesserà i lettori di Vita.it. Uno studio presentato oggi da Lancet attacca e smentisce tutti i miti che sono stati costruiti attorno ai tossicodipendenti sieropositivi. Vengono sfatati dodici falsi miti, il primo dei quali riguarda il presunto fatto che i tossicodipendenti non seguono le regole e i percorsi di cura.
Lo stesso vale per quei tossicodipendenti chiamati a partecipare agli studi di ricerca. Uno studio effettuato su un bacino ha dimostrato che il 90% di pazienti che facevano uso di stupefacenti è rimasto all’interno di una ricerca durata 36 mesi. Questa percentuale non è diversa da quella riscontrata tra le persone sieropositive non tossicodipendenti.
E’ stato poi smentito il mito del tossicodipendente indifferente all’uso o meno di un ago pulito. Anzi si dimostra che in tutti i progetti dove sono a disposizione strumenti per la riduzione del danno, le nuove infezioni diminuiscono fortemente. E ancora, è stato dimostrato che resistono molto bene le terapie metadoniche affiancate alle terapie con gli antiretrovirali. L’impatto dello studio di Lancet rischia di essere molto forte sui progetti di ricerca. Di solito, quando si parte con l’arruolamento dei pazienti, i tossicodipendenti vengono discriminati, in alcune ricerche non sono addirittura arruolati.
Gli omosessuali discriminati nei paesi poveri
Nei paesi poveri, i rischi di infezione per gli omosessuali sono 19 volte superiori rispetto al resto della popolazione. Ma d’altra parte, solo un omosessuale su cinque ha accesso a progetti di prevenzione e di cura di cui avrebbe necessità. Le discriminazioni contro gli omosessuali non sono quindi limitate a parte sola del mondo.
Uno studio rivela che su 53 paesi africani, 38 portano avanti politiche omofobiche, mentre a livello mondiale se ne contano 80. A Vienna è venuta fuori una proposta politica molto forte sostenuta dall’International Aids Society (IAS). Questa iniziativa propone che la piena legittimità dei comportamenti omosessuali deve essere sancito non solo come diritto umano, ma anche condizione necessaria per combattere il virus dell’Hiv, che poi tende a diffondersi più rapidamente laddove le comunità omosessuali sono costrette a nascondersi.
Un gel davvero miracoloso?
Terzo capitolo, le donne e la sieropositività. Come saprete, ieri è stato presentato uno studio sul Caprisa 004 che dimostra l’efficacia di un gel vaginale in grado di ridurre il rischio di trasmissione dell’Hiv e di herpes genitale per vie sessuali.
L’esperimento ha testato l’efficacia e la sicurezza del gel con l’1% di Tenofovir fra circa 900 donne in due regioni del Sudafrica. I risultati positivi evidenziati dalla ricerca sono un importante passo avanti verso uno strumento poco costoso rispetto alla terapia antiretrovirale e che attribuirebbe la responsabilità della prevenzione dall’Hiv direttamente alle donne.
Ancora oggi purtroppo in diversi del mondo la gestione della sessualità è completamente in mano agli uomini, al punto tale che molte volte le donne non possono proteggersi dal rischio di infezione. Detto questo, è importante precisare che le linee guida prevedono l’uso del gel in associazione con gli antiretrovirali.
Ora, c’è da aspettarsi che in molti paesi dove il costo degli antiretrovirali, soprattutto di seconda e terza generazione è molto elevato, tante donne rischiano di usare soltanto il gel. Ora, è chiaro che la possibilità di questo prodotto a combattere la trasmissione del virus rimane limitata.
Testo raccolto da Joshua Massarenti