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Lunedì, 01 Novembre 2010 10:27

Terremoti nella Chiesa

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La nascita della chiesa dei poveri è una lunga e sofferta veglia nella notte. In attesa che arrivi il giorno.

 

La cronaca del Concilio Vaticano II registra l’impasse avuta all’inizio della discussione sulla costituzione dogmatica sulla chiesa, conosciuta con il titolo di Lumen gentium.

Completato il primo capitolo su “Il mistero della chiesa”, i padri conciliari non trovavano l’accordo su quale dovesse essere il tema del secondo capitolo: alcuni vescovi consideravano logico parlare della “costituzione gerarchica della chiesa e, in particolare, dell’episcopato”, altri invece volevano che si trattasse del “Popolo di Dio”.

Fu deciso di sospendere i lavori per alcuni giorni in modo da poter approfondire la questione. La conclusione fu che si doveva prima trattare del Popolo di Dio, e per una semplice ragione: è dal popolo, che Dio si sceglie, che proviene la gerarchia ed è sempre a questo popolo che essa continua ad appartenere. Chiara l’ecclesiologia che permea il documento: la chiesa è concepita, non come una struttura gerarchica (Papa, vescovi, presbiteri e laici), bensì come “Popolo di Dio”, caratterizzato dal «sacerdozio comune dei fedeli… esercitato nei sacramenti», che «partecipa dell’ufficio profetico di Cristo», e ha un «carattere missionario».

Ovvio, non vi pare? Niente affatto! Era ovvio per una parte dei vescovi (la maggioranza, per fortuna). Per altri, invece, il concetto era rivoluzionario (e mezzo eretico).

Terminato il Concilio, quella conquista in materia di ecclesiologia è rimasta… in teoria. Nella pratica, invece, ha vinto – e continua tutt’oggi a dominare – la tesi della minoranza. Nel mondo in generale la chiesa cattolica è ancora vista come l’istituzione millenaria più potente della terra, rigidamente strutturata in forma piramidale: al vertice c’è Papa, in cui si concentra tutto il potere; sotto di lui ci sono i vescovi, da lui scelti e a lui sottomessi; poi vengono i preti, cinghia di trasmissione delle direttive provenienti dal vertice; in fondo sono situati i laici, ardentemente invitati alla docilità. L’icona più comune di questa tipo di chiesa è il Vaticano, con l’imponente basilica di San Pietro e la sua cupola.

La separazione dal resto dell’umanità – e questo vale anche per i cattolici – è assicurata dai sofisticati controlli delle vie d’accesso, dall’aura di mistero che avviluppa tutto ciò che avviene là dentro (dalle sontuose liturgie ai complicati cerimoniali delle udienze), dai segreti che avvolgono il funzionamento della macchina burocratica e, soprattutto, dall’alone di sacralità ascritta a tutto e a tutti (vedi le etichette usate: “sacro”, “santo”, “eminenza”, eccellenza”…). Insomma, una realtà al di sopra della condizione dei comuni mortali.

In questi tempi in cui la chiesa cattolica è profondamente scossa dal terremoto delle accuse di pedofilia, questa immagine di mistero, di superiorità e di sacralità la espone a molte accuse. Ha scritto un commentatore di uno dei più importanti quotidiani del Brasile, fondamentalmente in linea con la maggioranza dei media mondiali: «È come se la cupola cattolica aggiungesse una nuova contraddizione in una istituzione che adora predicare “la verità” e lotta contro la miseria, ma la cui gerarchia ha mai fatto a meno del fasto e del sigillo sepolcrale sui suoi errori».

Il terremoto dei fatti e delle reazioni sarebbe meno disastroso, se incontrasse una “chiesa-popolo” con lineamenti umani, solidale con il resto degli uomini e delle donne, impegnata nella sua missione di dedizione agli altri, costantemente in atteggiamento di conversione, evangelicamente povera di potere, di ricchezza e di prestigio. Un sogno, questo, abortito nel corso della discussione conciliare, ma il cui parto continua a motivare un crescente e variegato movimento mondiale: quello di un Popolo di Dio che vive l’esperienza dell’apostolo Paolo: «Mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti, quando sono debole, è allora che sono forte». Cosciente che vale anche il contrario: «Quando sono forte, è allora che sono debole».

Nella conferenza del Consiglio episcopale latino-americano (Celam) di Medellín (Colombia) del 1968, poco dopo il Concilio Vaticano II, la chiesa dell’America Latina accolse con entusiasmo le indicazioni della Lumen gentium per una nuova evangelizzazione a partire dal concetto di “chiesa-popolo-di- Dio”. Ma espressioni quali “opzione per i poveri”, “liberazione”, “comunità ecclesiali di base”, così frequenti nel documento di quella conferenza, furono avvertite come scosse di terremoto che minacciavano il solido edificio della chiesa preconciliare.

La nascita della chiesa dei poveri è una lunga e sofferta veglia nella notte. In attesa che arrivi il giorno, il cardinal Carlo Maria Martini ha confessato che si limita a pregare. Dom Pedro Casaldáliga, missionario clarettiano e vescovo di São Félix do Araguaia nel Mato Grosso dal 1971 al 2005 (quando si è ritirato), stella polare del popolo di Dio in Brasile che naviga nel mare della nuova evangelizzazione, sospinto dal vento dell’opzioni per i poveri, gli fa eco e lo completa: «Anch’io prego, ma continuo a lottare». 

di Giampietro Baresi
Nigrizia Luglio-agosto 2010

Letto 2139 volte Ultima modifica il Mercoledì, 22 Dicembre 2010 15:44

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