Mondo Oggi

Sabato, 05 Febbraio 2011 17:41

Situazione in Egitto

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di dott. Giuseppe Panocchia (diplomatico, esperto del mondo arabo)

Ci riempiamo la bocca di parole - democrazia, libertà - senza preoccuparci di capire se e quale significato hanno per i diretti interessati. Non credo ci si preoccupi tanto di capire se egiziani o tunisini vadano incontro ad una sorte, quanto di affermare categorie dello spirito, aliene dalla specificità delle condizioni di un popolo.

Prezzo del petrolio

Il rincaro nasce da previsioni – e quindi letteralmente da speculazioni – circa il futuro andamento del mercato petrolifero. Non è un problema legato ad una attuale minore disponibilità della risorsa, ma alle possibili ripercussioni che l‘evoluzione della situazione egiziana sulla stabilità nella regione mediorientale, sia in relazione alla “tenuta” dei Potentati della penisola arabica , sia sul riacutizzarsi della tensione tra Paesi Arabi (più Iran) ed Israele foriero di crisi anche militari nell’area. E’ evidente che in un siffatto quadro, i rifornimenti petroliferi dell’Europa dal Medio Oriente potrebbero ridursi, diventare aleatori o addirittura bloccarsi. Poiché i contratti di acquisto del greggio sono stipulati generalmente con consegna a 90 gg. È naturale che in un momento di incertezza il mercato voglia premunirsi… D'altro canto, la fluidità della situazione egiziana è tale da accreditare percezioni negative e giustificare timori: in economia gli aspetti psicologici di un problema sono altrettanto importanti dei dati di fatto perché si devono fare continuamente delle scelte – la cui giustezza sarà giudicata a posteriori. E allora si rischia, ma si prendono anche delle precauzioni.
La chiusura del Canale non avrebbe più per l’approvvigionamento energetico dell’Europa le implicazioni devastanti del 1972 . Ormai, il traffico petrolifero che vi transita in direzione Mediterraneo è residuale e probabilmente è più significativo quello di provenienza mediterranea per Paesi africani o asiatici. Si tratta di circa 1,8 milioni di barili di petrolio al giorno , nei due sensi,- a fronte dei circa 20/22 milioni di barili del fabbisogno giornaliero dell'Europa). Le potenzialità del SUMED- l’oleodotto che da Suez collega il Mar Rosso con il Mediterraneo- sono pari a circa 3 milioni di barili al giorno.
La produzione petrolifera dell’Egitto è estremamente modesta, maggiore invece quella di gas. La sospensione dell’attivita estrattiva non avrebbe quindi nessun impatto a livello mondiale.

Situazione politica

L’Egitto da sempre è stato un punto di riferimento del mondo arabo-islamico. Ne ha tratto una capacità di attrazione e di guida di movimenti culturali e politici arabi,dal nazionalismo al panarabismo, di faro dell’irradiazione del sapere -e non della sola religione- islamico. Dalla metà del XX° secolo, con l’avvento al potere di Nasser, ha assunto un ruolo di protagonista sulla scena internazionale non solo a livello arabo o islamico ma nel più articolato ambito del Movimento dei non allineati. Ha combattuto Israele, ma è stato il primo Paese arabo a imboccare la via della pace, nel 1977 con Sadat. La pace è “fredda” ma ha rotto un circolo vizioso ed è sempre l’Egitto a premere su Gerusalemme per superare le ricorrenti tensioni tra arabi, palestinesi ed israeliani. Quindi quello che succederà in Egitto finirà per riflettersi negli altri Stati Mediorientali.

Sul piano interno
Le forze organizzate sono due: l’Esercito di cui sinora sono stati espressione tutti i Presidenti egiziani, e la potente “Fratellanza Musulmana”. Accanto al partito unico di massa, quello del Rais, non sono mai cresciute – né poteva essere diversamente – altre forze politiche, anche se esistono una trentina di formazioni scarsamente rappresentative. I problemi della società egiziana - corruzione, gravi squilibri sociali, disoccupazione, pressione giovanile, povertà, compressione dei diritti di libertà- sono comuni a tutti i Paesi arabi. Non so se le “manifestazioni spontanee” di questi giorni abbiano un qualche filo che le guida: non so se “il manuale del manifestante” diffuso al Cairo come prima a Tunisi sia solo effetto della globalizzazione e della diffusione di internet o frutto di una qualche regia.
Al momento, comunque, la soluzione della crisi la possono assicurare solo i militari e non certo Baradei, che appare piuttosto un personaggio che ha voluto “mettere il cappello” su qualcosa che non controlla e che difficilmente potrà gestire. E’ un volto che tranquillizza, non spaventa come quello dei Fratelli Musulmani.
Suleiman, militare e responsabile dei servizi di sicurezza per più di un ventennio, è stato nominato da Moubarak Vice Presidente e probabilmente guiderà la transizione. Verso dove ?… un nuovo regime militare? Autentiche elezioni con Baradei candidato? Un governo di coalizione tra formazioni politiche -oggi praticamente inesistenti- che dovrebbero emergere ed organizzarsi e l’unico, reale movimento popolare e politico esistente, i Fratelli Musulmani? D’altro canto, l’esercito egiziano è di leva e nei suoi ranghi non mancano gli islamisti (ricordate l’assassinio di Sadat?) e di cui alcune sue frange potrebbero essere già infiltrate o comunque sensibili.
Mi pare illusorio che la sola forza della globalizzazione mediatica possa da tutto ciò far scaturire una “scelta democratica del popolo egiziano”.
La democrazia non si esporta, né si impone: deve sgorgare da un processo di maturazione generale, diventare un modo di essere connaturato ad ognuno. Il milione di egiziani (su circa 80) che si dice manifesti al Cairo ne è prova sufficiente?
Nei momenti difficili le difficoltà interne spesso vengono imputate a fattori esterni: non dimentichiamo che anche in Egitto come in gran parte del mondo arabo per buona parte della popolazione Israele è purtroppo percepito come un nemico, cui sarebbe certo facile attribuire interferenze ed oscure manovre contro l’Egitto, gli arabi e l’Islam.

Sul piano internazionale
La preoccupazione comune è scongiurare l’allontanamento dell’Egitto dalle posizioni di moderazione che ne hanno fatto un perno della politica occidentale in Medio Oriente, come della lotta al terrorismo islamico, ottenendo in cambio massicci aiuti economici. La questione è la compatibilità di un tale obiettivo con l’esigenza di una svolta in termini di democrazia e diritti umani, pretesa con forza da Baradei e sostenuta con maggior o minor convinzione da USA e UE.
L’ ascesa al potere di un nuovo “uomo forte”, cioè di un militare, attraverso un passaggio elettorale inevitabilmente “guidato”, sarebbe in grado di scongiurare lo scivolamento dell’Paese, non così altre soluzioni. Altrimenti, lo sfaldamento del ruolo stabilizzatore dell’Egitto innescherà le condizioni per un lungo periodo di turbolenze e rivolgimenti in Medio e Vicino Oriente, in cui l’Europa sarà necessariamente coinvolta sul piano politico come su quello economico.
Il riacutizzarsi della questione palestinese e del confronto arabo-israeliano sarà inevitabile.Un Libano guidato dagli Hezbollah, un Irak che vede- il ritorno sulla scena politica di Mussa Al Sadr, un Hamas che da Gaza erode il consenso non più incondizionato di cui L’ANP gode tra i palestinesi, una Giordania –altro Paese chiave- dove il Re si deve inchinare ai manifestanti e sostituire il suo Primo Ministro come avvenuto-in questi giorni, e –soprattutto - l’allungarsi dell’ombra di Ahmedinejad e dei suoi collegati/alleati sciti, propugnatore del primato dell’Islam e della lotta al nemico sionista disegnano scenari inquietanti nell’area, pericoli per la pace e nuove minacce per gli europei. La acuta sensibilità di Israele a qualsiasi indizio di una possibile reale minaccia per la sua sicurezza o, addirittura, sopravvivenza e la rapidità e determinazione delle sue reazioni legittimano ulteriori motivi di apprensione.
La situazione che accompagna l’annunciata uscita di scena di Moubarak sembra il remake di quella che portò alla caduta dello Scià del’Iran.
Regime forte filo-occidentale, stato musulmano ma laico, leader indebolito dalla malattia,sviluppo accellerato e urbanizzazione che accentuano le disparità socio-economiche e la corruzione endemica, disordini di piazza, amplificazione della violenza degli scontri e dei numeri sulla stampa occidentale, arresti di oppositori o facinorosi, appelli pressanti degli USA alla moderazione, al dialogo con gli oppositori, al rilascio dei fermati al rispetto dei diritti e delle regole democratiche, aperture con la formazione di un nuovo governo, quello del socialdemocratico Shapour Bakhtiar.
In Egitto, oggi probabilmente siamo arrivati fino a questo punto. In Iran seguirono logorio e sfaldamento del potente strumento militare sostegno del trono del pavone. Tenuto sostanzialmente a.bagno maria,. dopo quattro mesi si sbandò e Khomeini venne accolto a Teheran da trionfatore. Cosa ne nasce è storia recente. In Iran la miscela che condusse alla deflagrazione fu l’alleanza tra opposizione clandestina marxista, clero sciita e commercianti dei bazar, nell’indifferenza degli intellettuali e della borghesia che poi la pagherà con il ridimensionamento o l’esilio; nel segno della lotta alla corruzione e dela rivendicazione di migliori condizioni di vita: la Rivoluzione Islamica liquiderà rapidamente i suoi alleati marxisti o laici: Bani Sadr stesso conoscerà la via dell’esilio. In Egitto, ora, al di la delle parole, gli oppositori di Moubarak sono uniti solo da una richiesta: che se ne vada subito! Nel buco nero del futuro del Paese la storica e potente Fratellanza Musulmana è la sola forza politica credibile che possa contrapporsi ai militari…

Ruminando, non vedo motivi per rallegrarsi di quanto sta accadendo: si parla sui giornali di una primavera araba: a me sembra al massimo un'estate di San Martino, preludio di un inverno lungo e rigido.
Ci riempiamo la bocca di parole - democrazia, libertà - senza preoccuparci di capire se e quale significato hanno per i diretti interessati. Non credo ci si preoccupi tanto di capire se egiziani o tunisini vadano incontro ad una sorte, quanto di affermare categorie dello spirito, aliene dalla specificità delle condizioni di un popolo. E' il solito eurocentrismo, che ci porta a non vedere quello che succede realmente, a non saper indirizzare il cambiamento pur necessario, a non far crescere sull'altra sponda del Mediterraneo la convinzione che il loro sviluppo ed il nostro sono correlati. Tutto questo va fatto nella chiarezza, nel rispetto –reciproco-di storie e culture che non sono le stesse ma che vanno comunque parimenti rispettate. E in questo modo che si aiuta a far emergere nei singoli il senso della propria dignità umana e quindi una nuova cultura.
Sull’altra sponda per secoli il potere è stato percepito come assoluto, la corruzione come un doveroso riconoscimento del'interessamento del potente ai propri casi, la delega delle proprie scelte alla famiglia, al clan, alla tribù, al califfo una garanzia di sopravvivenza.
Oggi il mondo è tecnologico, cablato, globalizzato:il web è uno strumento neutro, dipende da come lo si usa, mentre le sacche di ignoranza e di miseria che possono essere strumentalizzate sono ancora assai vaste.
L'Egitto è terra di contadini, di fellah, ma le voci che si sentono e si raccolgono sono quelle degli urbanizzati. Nessuno interroga queste "maggioranze silenziose", che pure democraticamente sono la vera maggioranza . Perché?

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