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Lunedì, 11 Aprile 2011 23:38

Libertà religiosa via per la pace

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Il messaggio di Papa Benedetto XVI per la 44ª giornata per la pace

Un tema delicato, quello del messaggio pontificio, per il momento tribolato che attraversano le comunità cristiane in molte parti del mondo. Un richiamo allo spirito di Assisi.

Era stato Paolo VI a firmare il primo messaggio sulla Giornata internazionale della pace, l'8 dicembre 1967. Due anni dopo la fine del Vaticano II, a Montini era parso opportuno dedicare il primo giorno dell'anno civile a quel tema tanto fondamentale quanto di delicata attuazione, rivolgendosi apertamente «a tutti gli uomini di buona volontà» e auspicando che ne nascesse una tradizione, da ripetersi ogni anno «come augurio e come promessa».
Scriveva il papa in quell'occasione: «La proposta di dedicare alla pace il primo giorno dell'anno nuovo non intende qualificarsi come esclusivamente nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l'adesione di tutti i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria, ed esprimersi in libere forme, congeniali all'indole particolare di quanti avvertono quanto bella e quanto importante sia la consonanza d'ogni voce nel mondo per l'esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della moderna umanità». Ben sapendo che «la pace si fonda soggettivamente sopra un nuovo spirito, che deve animare la convivenza dei popoli, una nuova mentalità circa l'uomo e i suoi doveri e i suoi destini».

Da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II

Considerazioni che, al netto del linguaggio dell'epoca, è impossibile non sentire ancora come cruciali per i cristiani, in una fase in cui, se ovviamente da allora molto è mutato nello scenario internazionale, soprattutto nell'identificazione del nemico, non è cambiata la tentazione di far prevalere su ogni altra le logiche della guerra e della morte (si pensi, ad esempio, alla teoria così diffusa dello scontro di civiltà). E che, inevitabilmente, risentono del magistero roncalliano al riguardo, della svolta epocale rappresentata dall'enciclica Pacem in terris, pubblicata nel '63.
Con Giovanni Paolo II il quadro teologico conosce da un lato una ripresa e una conferma di alcune acquisizioni e, d'altro lato, una nuova, vigorosa accelerazione. Tutti gli interventi del magistero papale del novecento, da Benedetto XV a Pio XII, sono costantemente citati negli interventi di questo papa che visse sulla propria pelle la tragica esperienza del secondo conflitto mondiale. È in questo orizzonte che il pontefice polacco citò a più riprese il versetto di Isaia 32,17 Opus iustitiae, pax: «opera della giustizia sarà la pace», un versetto con il quale egli affermava con forza che la pace equivale allo stabilire nel mondo un ordine fondato sulla giustizia e il pieno rispetto dei diritti umani.
L'apice teologico del pensiero sulla pace di Karol Wojtyla fu raggiunto, verosimilmente, con il messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2002. Un messaggio che, si badi, giungeva all'indomani della data spartiacque dell'11 settembre 2001, che ha provocato un ripensamento della stessa concezione del termine guerra e che ha in un colpo solo messo a nudo l'impotenza delle tradizionali vie di composizione diplomatica o istituzionale delle crisi internazionali o intranazionali. Ebbene, in quel documento Giovanni Paolo II si spinse ben oltre la convinzione che opera della giustizia è la pace: egli infatti non solo vi ribadiva che, quando la giustizia è violata e ferita, dev'essere ristabilita affinché possa farsi strada la pace, ma affermava che nella giustizia da cui dipende la pace, dev'essere inscritto il principio del perdono.
Si trattava di una novità assoluta, e il papa era consapevole dell'audacia di quanto sosteneva, soprattutto in considerazione del momento storico e delle circostanze particolari in cui il suo messaggio arrivava al mondo. Anche perché non si trattava del consueto invito all'esercizio di una virtù personale, eroica finché si vuole, ma di una via proposta con forza all'intero consesso civile: «Solo nella misura in cui si affermano un'etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una politica del perdono, espressa in atteggiamenti sociali e istituti giuridici nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano». Etica, cultura, politica, atteggiamenti sociali, istituti giuridici: è la risposta globale alla nuova tipologia di guerra creatasi con il terrorismo internazionale.

La svolta della "Dignitatis humanae"

«In alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria fede religiosa, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. I cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede».
Quarantatrè anni dopo l'intuizione montiniana, così esordisce Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata del 1° gennaio 2011, che avrà per tema Libertà religiosa, via per la pace. Tema coraggioso e delicato per molti motivi, soprattutto se si ricorda che la libertà religiosa è divenuta ufficialmente un valore per i cattolici solo con la Dignitatis humanae del Vaticano II. Il concilio, infatti, propose, al riguardo, un autentico cambio di paradigma, affermando il nesso fra la dignità dell'uomo e le libertà nelle quali tale dignità non può fare a meno di concretizzarsi; abbandonando la prospettiva tradizionale dei diritti della verità (dominante fino ad allora) e riconoscendo come titolare del diritto alla libertà religiosa il soggetto individuale nel suo esistere. Perché la libertà religiosa «si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione» (DH n. 2).
Il testo papale arriva dopo un anno «segnato dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e d'intolleranza religiosa»: tra gli altri, si fa riferimento agli attacchi a Baghdad contro la cattedrale siro-cattolica e contro i cristiani nelle loro case, agli atti di violenza e intolleranza in Asia, in Africa, nel Medio Oriente e specialmente in Terra Santa.
Negare o limitare in maniera arbitraria la libertà religiosa e oscurare il ruolo pubblico della religione - secondo Benedetto XVI - significa coltivare una visione parziale della persona umana, rendere impossibile l'affermazione di una pace autentica e duratura, poiché «l'essere umano non è qualcosa, ma è qualcuno, possiede una naturale vocazione a realizzarsi nella relazione con l'altro e con Dio», e «la dignità trascendente della persona è un valore essenziale della sapienza giudaico-cristiana, ma anche condiviso da grandi civiltà e religioni del mondo, perché, grazie alla ragione, è accessibile a tutti».
Il messaggio, riprendendo la linea di pensiero espressa dal pontefice all'inizio del viaggio apostolico in Portogallo, lo scorso maggio, evidenzia l'importanza della dimensione religiosa non solo per l'Europa, ma per il mondo globalizzato e le diverse culture e civiltà: «L'illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza è in realtà l'origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani». Ratzinger, al riguardo, cita il suo discorso all'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2008: è inconcepibile che i credenti «debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti».
Il documento tocca anche le difficoltà che la libertà religiosa incontra oggi in Iraq, in Medio Oriente, in numerosi paesi africani e asiatici; sottolinea i pericoli della strumentalizzazione della libertà religiosa «per mascherare interessi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell'ordine costituito, l'accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte di un gruppo». Tutto ciò - aggiunge - può provocare danni ingentissimi alle società, ed è contrario alla natura della religione: «la professione di una religione non può venire impiegata per fini che le sono estranei e nemmeno può essere imposta con la forza».
Il papa si sofferma inoltre su altre limitazioni alla libertà religiosa: «La stessa determinazione con la quale sono condannate tutte le forme di fanatismo e di fondamentalismo religioso deve animare anche l'opposizione a tutte le forme di ostilità contro la religione, che limitano il ruolo dei credenti nella vita civile e politica». E «l'ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale, regionale e internazionale, quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, viene meno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuovere la giustizia e il diritto di ciascuno».

Lo spirito di Assisi

Un richiamo specifico viene rivolto ai credenti, «chiamati non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche, con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane».
Primo passo per promuovere la libertà religiosa come via per la pace è il dialogo tra istituzioni civili e religiose, dal momento che «esse non sono concorrenti ma interlocutrici, perché sono tutte a servizio dello sviluppo integrale della persona umana e dell'armonia della società». Il papa fa appello alla verità morale nella politica e nella diplomazia, rivolgendosi particolarmente ai paesi occidentali segnati dall'ostilità contro la religione fino al «rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispecchiano l'identità e la cultura della maggioranza dei cittadini».
Da ultimo, Benedetto XVI rivolge un appello al dialogo interreligioso per collaborare in vista del bene comune; tanto più che «nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal venerabile Giovanni Paolo II. In quell'occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto.
Il ricordo di quell'esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace». Un richiamo davvero strategico, in una stagione certo non facile per chi opera nel campo del dialogo, che nell'icona dello spirito dell'incontro Assisi - che secondo il cardinal Willebrands fu «l'evento ecumenico più incisivo dopo il concilio Vaticano II»- ha sempre rinvenuto un invito a non scoraggiarsi e a proseguire nel suo cammino.

di Brunetto Salvarani
Settimana n. 1 anno 2011

Letto 4283 volte Ultima modifica il Domenica, 10 Aprile 2011 19:34

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