CENTRALI SICURE
L’espressione “centrali sicure” di per se è formalmente scorretta. Nelle realizzazioni tecnologiche non è mai possibile raggiungere la sicurezza di funzionamento. Si può invece operare per rendere bassa la probabilità di un evento. Bassa significa stare al disotto ad un valore prefissato da un gruppo di esperti. Da cui scaturisce l’importanza della composizione del gruppo di esperti riguardo alla competenza ed all’onestà.
Il termine “centrali sicure” si applica alle caratteristiche generali dell’impianto: la differenza principale tra la seconda e la terza generazione di centrali nucleari, è che l’ultima generazione non avrebbe bisogno di energia elettrica per raffreddare le barre del reattore in caso di perdita di controllo.
Le principali cause che possono provocare il fuori controllo del reattore sono di varia natura:
- la perdita di qualsiasi forma di allacciamento con le reti elettriche esterne e dunque la perdita immediata della produzione elettrica, contemporanea alla mancanza di ogni forma di energia esterna per il raffreddamento delle barre.
- l’obsolescenza (invecchiamento) dei macchinari e dei collegamenti elettrici interni per effetto di procedure di esercizio inadeguate, delle alte temperature e delle radiazioni comunque presenti in centrale di cui non si è prevista correttamente l’entità.
- un terremoto.
- una scarica atmosferica che, scendendo a terra, provochi dei campi elettromagnetici che inducono malfunzionamenti nei circuiti interni di sicurezza.
- la caduta di un aereo militare (o comunque leggero).
- un commando terrorista.
- un maremoto (tsunami).
- la caduta di un aereo di linea (o pesante).
- una caduta di missile o di bomba
Per procedere alla realizzazione pratica della centrale, ciascuno di questi eventi deve essere analizzato e debbono essere presi opportuni provvedimenti per affrontarli qualora si verifichino. Ad esempio il terremoto, va definito nelle sue caratteristiche, in particolare magnitudo e spettro di riferimento. In Italia si è considerato, a base della progettazione, il più forte terremoto verificato nei dintorni dell’area di costruzione della centrale stimato in base ai documenti storici. Al verificarsi di un terremoto più forte la centrale potrebbe superare i parametri di sicurezza.
Dopo la recente decisione europea di riconsiderare i criteri di sicurezza, cui l’Italia ha aderito, gli eventi sopraelencati vanno rivisti e nel frattempo non è possibile individuare i siti idonei all’istallazione e tanto meno stimare i costi.
L’aspetto sicurezza non riguarda solo i criteri generali di riferimento ma anche la progettazione, l’approvvigionamento dei componenti, le procedure di costruzione. Per ciascuna di queste fasi , l’ Agenzia per la Sicurezza Nucleare detta le modalità di esecuzione attraverso una cospicua mole di documenti e prescrizioni.
In fase realizzativa la centrale scatena dinamiche cui è difficilissimo far fronte; per esempio l’attacco di Società o Consorzi i quali, oltre agli intrinseci vantaggi economici, ricercano la possibilità di qualificarsi fornitori nucleari il che rappresenta un buon titolo da esibire. Oltre a ciò, l’attacco dei monopoli e delle mafie per aggiudicarsi gli appalti. Inoltre vanno aggiunte le pesanti pressioni per corrompere i funzionari addetti ai controlli, le pressioni politiche e a volte sindacali per intervenire sulle forniture, sulla scelta delle persone, su i tempi di realizzazione. La sicurezza passa anche attraverso queste vicende, che, a parità di criteri di partenza uguali, possono del luogo a centrali con livelli di sicurezza molto differenti.
Sulla sicurezza intervengono anche fattori di conduzione della centrale. Sicuramente l’incidente di Three Mile Island è da attribuire ad errori umani, ma anche senza giungere a guasti di impatto continentale, abbastanza spesso, per motivi vari si verificano fuoriuscite di materiale radioattivo che inquina i dintorni. Allora si mettono al lavoro squadre di “esperti” che stabiliscono se l’inquinamento è sopra o sotto il livello prestabilito. La trasparenza di tali indagini talvolta è messa in dubbio e d’altronde, anche nella quotidianità, sappiamo che acque più inquinate del dovuto sono state rese potabili o balneabili alzando l’asticella di sicurezza.
I COSTI DEL NUCLEARE
Studi condotti da istituti che possono essere considerati “neutrali” dimostrano che attualmente, senza le correzioni che prevedibilmente verranno prescritte dopo l’incidente di Fukushima e che aumenteranno gli oneri, l’energia nucleare ha costi troppo elevati. Valga citare il rapporto del Massachusetts Institute of Technology (MIT) del giugno 2009 che afferma “in una economia di mercato il nucleare non è competitivo rispetto al gas o al carbone” Secondo tale Istituto nel 2007 realizzare una centrale costava 4000 $ per kW contro i 2000 del 2003. Il MIT stimava che, alla stessa data del 2007, la centrale a carbone costava 2300 $ per kW e quella a gas 850 $ per kW. Riguardo ai costi finali dell’energia, il nucleare era passato ad 8,4 centesimi a chilowattora contro i 6,2 del carbone e i 6,5 del gas. Dunque secondo il MIT va abbandonata l’idea che il nucleare risulterebbe economicamente più conveniente.
L’affermazione trova riscontro nel fatto che in tutto l’occidente due sole centrali nucleari sono in costruzione: a Flamnanville in Francia e ad Oikiluoto in Finlandia. L’impianto finlandese doveva essere consegnato entro il 2009 ed ora si prevede il 2012. I costi di costruzione sono già aumentati del 70%.
Inoltre la ditta francese che dovrebbe fornire le centrali all’Italia, ha chiesto al Canadà, in sede di preventivo, 4500 € per chilowatt (più di quanto calcolato dal MIT).
Comunque, quando si parla di costi, i dati ballano molto anche perché molto spesso non vengono considerati tra i costi della centrale le componenti dovute al ripristino del territorio a fine vita e quelli spettanti per la costruzione dei depositi di scorie: tali costi però rimarrebbero a carico della pubblica amministrazione e pagati dai cittadini con le tasse anziché con la bolletta elettrica.
Riguardo alle emissioni di gas serra, il nucleare non può considerarsi la soluzione del problema. Infatti posto uguale a 100 le emissioni legate all’uso dell’energia primaria, carbone, petrolio, gas, le quote di esse legate alla produzione di energia elettrica sarebbe pari a 33. Se il nucleare riuscisse ad arrivare al 25% di tale produzione (fra quanti anni?), il suo contributo alla riduzione delle suddette fonti primarie, dunque alle emissioni prodotte, sarebbe pari all’8%.
LE SCORIE
Le scorie dopo la loro estrazione dai reattori, conservano ancora materiale fertile potenzialmente utilizzabile. Per questo, alle volte, le scorie sono “ritrattate o riprocessate”.
Il ritrattamento è comunque un processo tecnologicamente molto avanzato, rischioso e costoso.
Durante il ritrattamento si può estrarre anche il plutonio 239 ( 239Pu).
Il Pu si può ricavare, praticamente, soltanto attraverso reazioni nucleari, ha una radioattività di fatto eterna (tempo di dimezzamento di 24 mila anni) ed è altissimamente tossico: un grammo di Pu può produrre il cancro al polmone ad oltre un milione di persone.
Il plutonio in campo bellico serve a confezionare ordigni molto più potenti di quelli che utilizzano semplicemente l’uranio.
Dunque la produzione di elettricità per via nucleare può anche servire a produrre plutonio che però va estratto dalle scorie attraverso un complicato processo tecnologico.
Da quanto è noto, tale tecnologia è attualmente disponibile in 6 nazioni che sono: Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Giappone ed India.
Pertanto esistono sostanzialmente 2 specie di scorie: quelle che escono dal reattore e quelle che restano dopo il riprocessamento. Si può scegliere di porre a deposito le scorie come escono dal reattore oppure le scorie dopo riprocessamento. I volumi delle scorie riprocessate sono minori e quindi richiedono spazi di deposito ridotti: peraltro le scorie riprocessate hanno un’alta densità di materiali pericolosissimi. Si deve tener conto però che il riprocessamento, oltre ad aumentare i rischi del nucleare, anche a causa del trasporto delle scorie, è assai costoso e molti paesi preferiscono non praticarlo.
In ogni caso, prima del riprocessamento o prima del deposito finale, le scorie che escono dal reattore devono essere poste a raffreddare in piscine poste all’interno delle centrali per più di 5 mesi.
Alla fine le scorie, di qualsiasi tipo siano, vanno depositate in luoghi isolati in modo da evitare ogni contatto fisico e radiologico con l’esterno. Ciò richiede di stabilire un tempo di durata della situazione di pericolo e conseguentemente di prevedere la durata degli involucri contenitori e la stabilità del terreno che li ospita. Si sono studiate soluzioni alternative come quella di sparare le scorie nello spazio o immergerle nelle profondità marine ma fortunatamente sono state abbandonate.
Come si è visto ci sono delle sostanze che, seppure rappresentano una piccola percentuale delle scorie, si conservano dannose per tempi lunghissimi. Una parte del combustibile scaricato da un reattore di seconda o terza generazione mantiene una pericolosità elevata per un tempo dell’ordine del milione di anni. Il tempo da considerare per valutare l’intensità d’irraggiamento accettabile è quello necessario per raggiungere livelli paragonabili a quello dell’uranio naturale. Un milione di anni è anche difficile da immaginare: la dimensioni della civiltà più evoluta che conosciamo è di 10.000 anni.
A parte tali considerazioni è facile dedurre che trovare un sito e progettare contenitori che conservino le caratteristiche di sicurezza per tempi di un milione di anni non è impresa facile da attuare: occorre fare ipotesi sull’andamento geologico della terra ed utilizzare modelli matematici sul comportamento dei materiali che non possediamo. Bisognerebbe annientare le scorie e qualcuno sta tentando anche questa strada ma senza risultati.
Va comunque tenuto presente che tutte le scorie prodotte in Italia sono ancora disseminate nelle centrali dismesse. Non un chilo di scorie è stato posto in un deposito diverso almeno temporaneo.
Va anche tenuto presente che depositi definitivi non sono ancora realizzati in nessuna parte del mondo.
Siamo nelle condizioni di tramandare alle generazioni future un problema grave che non sappiamo come risolvere.
ENERGIE ALTERNATIVE
Per l’alternativa anzitutto va sfruttata l’energia imprigionata negli eccessivi consumi strutturali (risparmio energetico stimato dall’ENEA per l’Italia pari al 20% dei consumi. L’energia utilizzabile del risparmio energetico è dell’ordine di quella che sarebbe prodotta delle centrali nucleari che si vorrebbero realizzare, più facile da ottenere, meno costosa, non pericolosa) e contestualmente nella promozione massiccia delle fonti alternative. Peraltro, in alcuni casi, il costo d’istallazione del kW solare è vicino al costo della produzione tradizionale. Certo occorrono ancora gli incentivi ma i progressi raggiunti in pochi anni lasciano ben sperare per il futuro.
Il solare a pannelli, quello termodinamico (processo Rubbia), l’eolico, il geotermico del sottosuolo, accanto alle forme tradizionali o in corso di sperimentazione di energia rinnovabile, in prospettiva dovranno assicurare il fabbisogno energetico escludendo anche i combustibili tradizionali come carbone, petrolio e gas.
Il loro ruolo oltre a rappacificare l’uomo con l’ambiente potrebbe essere quello contribuire evitare le guerre per i pozzi di combustibile perché l’energia sarebbe disponibile in tutto il mondo. Escludendo comunque l’uso del nucleare attuale a fissione la ricerca andrebbe continuata per il nucleare di fusione che dovrebbe poter risolvere i problemi di sicurezza e di produzione di scorie.
In ogni caso bisogna agire presto modificando il modello di sviluppo che presuppone il costante aumento dei consumi e dei rifiuti per accedere ad una economia più rispettosa degli uomini e dell’ambiente dirigendo gli investimenti verso il risparmio energetico e l’energie rinnovabili cambiando alcune abitudini senza rinunciare al livello di benessere raggiunto.
CONSIDERAZIONI
Le conclusioni ciascuno potrà trarle da solo.
Ci sarebbe da sperare che, come l’avventura nucleare è iniziata in Giappone con la bomba atomica, in Giappone si chiuda con la tragedia della Centrale nucleare.
Da quando si è rotto l’atomo con la metodologia “fissile” le applicazioni non hanno fatto che dimostrare l’inadeguatezza dell’uomo, vuoi per delirio di potenza, vuoi per incapacità, vuoi per corruzione, a gestire correttamente l’energia nucleare. Si è terrorizzato il mondo con una potenzialità bellica capace di distruggere l’umanità in poche ore, si sono distrutti o inquinati enormi luoghi di vita e prodotto un lascito di scorie per le generazioni a venire.
Il nucleare non è soltanto un problema italiano ma mondiale. In forme appena differenti gli stessi rischi che corriamo in Italia sono diffusi in tutto il mondo.
Comunque affermare che è inutile bloccare il nucleare in Italia quando siamo circondati da paesi nuclearizzati è inesatto: un conto è avere un disastro nucleare a 30 km ed altro averlo a 200. Il rischio dei vicini è quello di affrontare dosi di radiazione più elevati e quello di non poter tornare mai più dove si è vissuti.
Chi dice che non possiamo fare a meno del nucleare sottintende che il modello di sviluppo, che prevede il costante aumento dei consumi, sia inevitabile. Molti di noi credono invece sia possibile farne a meno e che l’aumento indiscriminato dei consumi porti l’umanità verso l’autodistruzione. Per uscire sono pensabili diverse possibilità. Tra queste, la più sviluppata è l’economia sostenibile (Green Economy). E’ necessario cambiare in fretta alcune abitudini e dirottare le risorse verso realizzazioni che portino energia, pace e lavoro a tutti gli uomini del pianeta.