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Lunedì, 25 Luglio 2011 14:23

I cattolici e l'attuale momento politico

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A proposito del rapporto tra chi si dichiara cristiano e la politica attuale

Cattolici, niente da dire ai "cesari" che ci governano?

Cara Settimana,
quando si spegne l'interrogativo su se stessi, si è già spenta non la domanda, ma l'interrogante. Le domande di Cristo rivelano da che vita è abitato. L'interrogazione più famosa Gesù la pone in due modulazioni complementari. Prima in terza persona: «Chi dice la gente che io sia?», partendo con un sondaggio popolare non solo sul suo gradimento ma sulla sua stessa identità. Poi, senza indugi, passa alla domanda diretta e frontale: «E voi chi dite che io sia?». Gesù vuole portare allo scoperto più che la sua, la personalità dei "suoi". Li abitua alla ricerca, alla domanda, non solo sugli altri e su altro, ma su se stessi. Chi si avvicina a Dio - ci insegna - non vede risolti, ma aumentati e aggravati, se vogliamo, i propri interrogativi.
Una premessa per dire che, come chiesa, troviamo nell'attuale scenario socio-politico un'occasione preziosa per chiederci: "Che cristiani siamo? Che chiesa siamo?". Sono domande non solo legittime, ma auspicabili perché questa rappresentanza politica esprime in gran parte il voto dei cristiani. A noi, e a noi qui, non interessa valutare cristianamente chi ci governa e come lo fa, il suo linguaggio, oltre che il suo gergo, ma rendere possibile questo discernimento.
Non ci interessa entrare cristianamente in merito all'idea che questo governo, con la maggioranza che lo sorregge, abbia e trasmetta della politica e della vocazione che le è propria di mediare tra istanze e interessi diversi, che visione ha delle istituzioni e del necessario equilibrio tra i diversi autonomi corpi statuali, ma auspicarlo.
Non ci interessa valutare cristianamente la visione che la classe dirigente ha e trasmette della Costituzione che è la bibbia laica dei cittadini chiamati a fare paese sotto la sua ispirazione e la sua autorevolezza, ma porlo a tema.
Non ci interessa valutare cristianamente la visione dominante del diritto, della legalità, della magistratura, ma sollecitarne l'esercizio.
Non ci interessa valutare cristianamente se questo governo nella relazione con la chiesa sia un "lupo in veste di agnello" che si fa bandiera di un quadro teorico-astratto di principi cristiani per garantirsi il potere, ma di evocarne l'ipotesi.
Non ci interessa valutare cristianamente se questo richiamo a temi morali - vita, aborto, famiglia - funzioni come una "foglia di fico" che copre in modo maldestro un crollo di eticità politico-istituzionale, ma di indicarlo nella nostra agenda autocritica.
Ci interessa offrire un'indicazione di metodo per una vera e propria profezia politica, che dovremmo applicare come legge generale di una prassi che cerchi con autenticità il richiamo alla parola di Dio e alla dottrina sociale della chiesa. È in gioco la relazione fede-vita, vangelo-cultura, profezia-società, chiesa-storia, beni ultimi-beni penultimi: non sono relazioni da poco.
Qualora vita, cultura, società, storia, economia e politica camminino senza relazione diretta e critica con il rimando alle beatitudini, questo significherebbe non tanto la crisi delle domande, ma la crisi dell'interrogante. Proprio per questo, un vangelo vissuto non finisce di suscitare domande ai credenti per la loro esperienza del mondo e, attraverso di loro, non finisce di porre domande ai "cesari" che li governano. E a qualsiasi moderazione dovrebbero essere disponibili, fuorché ad essere strumentalizzati nel richiamo alle loro fonti ispiratrici.
La società con i suoi scenari sempre mette in discussione i credenti, le loro azioni e, soprattutto, le loro omissioni. Ad essere interpellati sono gli atteggiamenti, i comportamenti e stili di vita. E lo sono attorno ad un criterio preciso e inequivocabile: la relazione d'amore per l'altro, secondo la frase evangelica: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi».
Il vangelo vissuto non finisce di fare domande e nessuna risposta chiude mai il discorso. Risposte pratiche, concrete, scelte di campo. Risposte per dire la prassi d'amore per il prossimo in difficoltà, e non solo principi tratti dalle beatitudini e dalla dottrina sociale. Questo terreno è quello proprio del credente-laico: egli esprime qui una competenza, una grazia e un ruolo che solo lui può svolgere. Non perché sottrae ad altri la possibilità di "dire una parola", ma perché questa è la parola che gli è propria, connaturale: nessuno può dare e dire questa parola al suo posto.
Il concilio ha segnato questa uscita dei laici credenti dall'era di minorità. Esiste di fatto un'"afasia" della parola e della presa di posizione che faccia risultare questa irriducibile differenza del vangelo vissuto nella società italiana e nella relazione rispettosa, ma franca e leale, con l'attuale governo e chi lo presiede. Ci chiedamo se questo non rappresenti una cartina di tornasole per rivelarci che credenti e che chiesa siamo.
Il tipo di cattolicesimo serpeggiante e prevalente ci predispone più alle affermazioni di principio, pronunciate dagli "addetti ai lavori", risparmiando a noi stessi tanto la loro formulazione quanto la loro applicazione. Dietro alla carenza, se non all'assenza, di inclinazione all'interrogazione critica verso i sistemi dominanti, si intravede un modello di religiosità, identificata con il "fare qualcosa", con la pratica nelle due versioni riassuntive: la pratica devozionale e la pratica sacramentale.
Non è proprio questo un cristianesimo inadeguato a fare storia, tanto più a farlo in un mondo globalizzato e mediatico?
Questa società con il governo che la guida e che ottiene nel suo insieme un certo appoggio maggioritario, pur variegato e in fase di ricomposizione, del mondo cattolico, non contiene forse una dolorosa narrazione di noi stessi?
Non ci dice in modo palese se e quanto il vangelo stia o non stia incidendo sulla nostra cultura e sul nostro stare in società?
Sarebbe un'occasione per una qualche verifica della recente 46ª Settimana sociale organizzata a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010 sul tema I cattolici nell'Italia di oggi: un'agenda di speranza per il futuro del paese. Ma il solo tenore di questa frase non ci suona estraneo, remoto, inafferrabile?
In realtà, una presenza creativa e inquieta dei credenti in questa umanità può albeggiare fra di noi solo come espressione di un disegno di riforma della chiesa e della nostra vita cristiana, nella cruciale, ma anche affascinante relazione con la società, con i suoi drammi e con le sue risorse. Incontrandoci in questa società che appartiene a lui e a noi, Gesù ci guarda e ci interroga: "Chi dice la gente che voi siate? E voi chi dite di essere per loro?".

don Gino Moro, fdp
Pres. Fondazione Mondo Migliore
Settimana n. 7 febbraio 2011

Letto 2134 volte Ultima modifica il Domenica, 10 Luglio 2011 14:44

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