Mondo Oggi

Lunedì, 31 Ottobre 2011 14:48

Il lavoro "scomposto"

Vota questo articolo
(1 Vota)

Rapporti lavorativi slegati generano una società sgretolata. L'antagonismo sociale non sia il metro esclusivo delle relazioni industriali. Verso una nuova società dei diritti, della solidarietà e della partecipazione. Creare alleanze educative per un bene comune. Questi alcuni dei temi affrontati al 44° incontro nazionale di studi delle Acli.

Si è svolto a Castel Gandolfo, per la prima volta sui castelli romani presso il Centro Mariapoli (1-4 settembre), il tradizionale incontro di studi di fine estate promosso dalle Acli (Associazioni cristiane dei lavoratori italiani). Notevole il numero dei partecipanti, attenti e vigili, che ha accolto il nutrito parterre di qualificati relatori e studiosi. Non sono mancati alcuni esponenti governativi. Inutile dire del battage sui media che ha suscitato l'evento, dovuto sia al dibattito aspro in corso sul fronte politico, sia per alcune esternazioni poco sensibili da parte di qualche esponente governativo intervenuto all'incontro.

Sullo sfondo delle intense giornate, il trentennale della Laborem exercens e la visione dell'umanesimo integrale del lavoro presente nel magistero sociale, aspetti messi in rilievo nella relazione introduttiva di G. Merisi, vescovo di Lodi e attuale presidente di Caritas italiana.

«Se si scompone il lavoro - ricordava in apertura Andrea Olivero, attuale presidente dell'Associazione-, è la persona che rischia la sua integrità. E la società che vede disfarsi la sua rete solidale e partecipativa». Si tratta per ora di un rischio, ma può diventare realtà. Che cosa rende il lavoro "scomposto"? La precarizzazione dei percorsi lavorativi, la moltiplicazione delle condizioni giuridico-contrattuali, la perdita di valore dell'economia reale, l'immaterialità dei prodotti e dei capitali, l'individualizzazione dell'esperienza. Inoltre, il lavoro fatica sempre più a ritrovare il suo significato, personale e sociale.


Trasformazione ed erosione del lavoro

A confermare quanto il lavoro sia davvero "scomposto" sono arrivati i dati forniti dall'Ires, l'istituto di ricerca delle Acli. Fissata come retribuzione media giornaliera di un lavoratore dipendente 82 euro, si scopre che un dirigente guadagna 340 euro in più al giorno, un quadro ne percepisce 111, un impiegato 6.

Un operaio, invece, intasca un salario giornaliero di 16 euro inferiore alla media, un apprendista ben 31 euro sotto la media. I manager percepiscono all'anno 128 mila euro in più degli operai.

E il lavoro sommerso? Sono irregolari 12 posti di lavoro su 100 (18% al Sud, 27% in Calabria). E le grandi imprese? Mentre in Germana sono lo 0,5% e in Gran Bretagna lo 0,4%, in Italia sono un esile 0,1 %. L'Italia - si legge nel rapporto Ires - «sa ancora attrarre finanziamenti dall'estero in ricerca e sviluppo», tuttavia «difettiamo colpevolmente in brevetti di cooperazione e transfrontalieri», con il risultato che i risultati della nostra ricerca vanno a vantaggio di altri.

La crisi attuale, poi, si ripercuote sulla qualità dell'occupazione. Diminuiscono gli addetti alla manifattura tradizionale e si nota un'inversione di tendenza nei settori dell'alta tecnologia, con il risultato che, «a fronte di una perdita di occupati di fascia alta, si ha un ulteriore allargamento della base occupazionale poco o per nulla specializzata».

Quasi un lavoratore su quattro (23 % ) è occupato non a orario pieno o a tempo indeterminato. Due milioni e 700 mila persone (il 12%) lavorano a tempo parziale, 1'11 % è atipico. Il lavoro a tempo parziale interessa di più le donne (un milione e 800 mila). Il 48% dei lavoratori atipici ha fra i 30 e i 49 anni. In Italia i disoccupati di lunga durata (almeno 24 mesi) superano il 45% del totale dei disoccupati. C'è poi una quota di individui che sono inattivi perché scoraggiati, non cercano lavoro perché sfiduciati.

Gli interventi di R. Mancini, docente di filosofia a Macerata, sul bisogno di ritrovare significati per l'uomo che lavora, e di I. Lizzola, dell'università di Bergamo, sul lavoro tra fragilità dei legami e cura della vita, sono stati davvero pregevoli.

Oggi siamo di fronte ad un clima culturale che concepisce l’uomo soprattutto in chiave consumistica ed edonistica. Ad essa bisogna contrapporre un coraggioso rilancio dell’umanesimo personalista. E’ necessario ribadire che l’antropologia del lavoro che ispira l’azione delle Acli è quella incentrata sull’idea e sul valore della dignità della persona che mantiene il primato su ogni forma di organizzazione storico-economica del produrre, come fu fortemente sottolineato nella Laborem excercens. Opportune sono parse le prospettive emerse nelle relazioni di L. Caselli sui diritti universali in tema di lavoro e globalizzazione e di F. Totaro sulle erosioni del lavoro e il bisogno di rispettare un'antropologia globale.

L'antagonismo sociale, con l'aspra conflittualità che l'accompagna, non può e non dev'essere ritenuto il metro esclusivo delle relazioni industriali, come pure non è pensabile che produttività e competitività da sole potranno risultare risolutive estromettendo alcune parti della rappresentanza dei lavoratori dalla vita produttiva. Nella vigente legislazione è insufficiente la tutela sociale del lavoro. Le misure di protezione sono ormai vecchie e incapaci di garantire i nuovi lavori, in particolare ai giovani.

I processi di globalizzazione dell'economia richiederebbero una negoziazione almeno a livello europeo; voler definire ancora diritti e prestazioni nell'ambito del lavoro dipendente senza i nuovi scenari geopolitici appare uno sforzo alquanto inefficace. Le conquiste dell'organizzazione del lavoro costruite nei decenni dell'economia fordista, oggi, in un contesto di sviluppo economico globalizzato risultano definitivamente superate.

Se le relazioni sindacali soffrono da tempo una pericolosa stagnazione, ciò è dovuto anche al fatto che la richiesta di una maggiore responsabilità di tutto il mondo del lavoro per rendere più competitivi sia le imprese che il paese, non è stata accompagnata da adeguati processi di partecipazione. In tale prospettiva, molto applaudito, anche per l'immediatezza del linguaggio oltre che per i contenuti, l'intervento del giovane sociologo, D. Marini, docente a Padova, che ha messo a fuoco il lavoro tra individualizzazione, legame sociale e rappresentanza.

L'abbandono dei vecchi modelli non potrà avvenire se non dentro un quadro di nuova democrazia economica che promuova la partecipazione dei lavoratori alle scelte e al destino delle imprese. Gli stessi referendum che si rincorrono a "scadenze stagionali" senza questi presupposti rischiano di diventare vuote formulazioni rituali.

Una buona cornice di riferimento all'insieme dei lavori è stata offerta dal segretario di stato vaticano, il card. Tarcisio Bertone. Nel suo intervento egli ricordava come nel cuore della democrazia debbano dimorare i valori e la dignità, che soli possono ridare credibilità alla politica e alle sue forme istituzionali. Il lavoro è l'orizzonte da cui partire per riprogettare un modello di economia e di sviluppo al quale affidare la nostra fiducia in un futuro diverso e possibile. «Il lavoro - ha affermato - è sempre stato e continua ad essere un tema di primo piano della dottrina sociale della Chiesa, uno dei suoi ambiti costitutivi». Facendo riferimento alla Caritas in veritate, il porporato ha ribadito il lavoro come vocazione, come mezzo ordinario di santificazione, perché vissuto come attuazione laica e concreta della volontà di Dio. Nel suo intervento ha poi ribadito la virtuosità del lavoro cooperativistico e il bisogno di una legislazione idonea alla sua promozione. Concetto, quest'ultimo, condiviso dal presidente Olivero: «Non condividiamo la parte della manovra che prevede la riduzione dei vantaggi fiscali per le cooperative».


Per un'altra economia

Il riferimento alla Caritas in veritate si è avuto nel corso di due tavole rotonde a cui hanno partecipato numerosi esponenti del mondo associativo. Non è mancata nel dibattito, seppur con fatica, la ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Tale modello dovrebbe portare alla "civilizzazione dell'economia", a partire dai problemi del lavoro e dei lavoratori, e ad offrire l'asse valoriale e spirituale intorno al quale costruire una nuova visione di società aperta e solidale.

Proprio perché identitario, il lavoro rischia di diventare un'ovvietà o un valore lontano da una realtà in movimento, lontano dai poderosi cambiamenti che almeno negli ultimi decenni - dalla globalizzazione al

la finanziarizzazione del mercato, dalle nuove tecnologie alla società della conoscenza, dalla Rete ai nuovi soggetti - hanno reso irriconoscibile il panorama del lavoro e delle sue rappresentazioni sociali, come anche il mondo della produzione e del consumo. Di qui anche il problema cruciale della rappresentanza e delle sue forme consolidate.

L'attuale contesto sociale, divenuto mutevole e frammentato, chiede un rinnovato riferimento a quanto è stato insegnato dal magistero. Siamo invitati a rivisitare la Laborem exercens e la ricchezza delle sue indicazioni, in particolare quell'umanesimo integrale della persona che costituisce il fondamento della civiltà dei diritti e della dignità dei lavoratori, in un contesto ormai planetario. Anche nella Caritas in veritate vengono offerte piste di approfondimento per contrastare i mali provocati dal tardo-capitalismo degli inizi di questo secolo. Occorre ripartire dal lavoro e dal suo senso.

Si continua invece a non investire nel lavoro e nello stato sociale e ci si trova di fronte ad una progressiva contrazione della spesa destinata al welfare. E non sono state assunte misure adeguate a sostegno della famiglia e del suo fondamentale ruolo generatore di coesione sociale.

La mancanza di un'organica riorganizzazione degli interventi sul mercato del lavoro ha non solo penalizzato i giovani - che hanno pagato il prezzo più alto della crisi in termini di estensione della disoccupazione - ma ha anche pesantemente ridotto la spesa in investimenti formativi. Va definita e perseguita una strategia di politica industriale in grado di favorire nuovi investimenti, ma prima bisogna riequilibrare l'imposizione fiscale a favore dell'impresa che crea lavoro, scoraggiando la rendita finanziaria. Servono certezze per il futuro, scelte che consentano alle piccole e medie imprese di svilupparsi e di reggere la competizione dei mercati globali.

Rilanciare la centralità del lavoro diviene pertanto un passaggio verso un progetto più generale che impegna le Acli, ma non solo loro, a definire un nuovo modello di società, in cui il lavoro sia garante di uno sviluppo equilibrato del pianeta, fondamento della cittadinanza, terreno di protagonismo in particolare delle giovani generazioni. Le insufficienze della politica e l'incertezza con cui procede l'economia sono fortemente condizionate dalla mancanza di una prospettiva, di un progetto. Non si contrasta la finanziarizzazione dell'economia, che ha devastato il pianeta provocando la più grave crisi economica dal secondo dopoguerra, se non mettendo in campo un nuovo progetto di società che abbia nel lavoro il riconoscimento di universale fattore di progresso dell'uomo. In tale senso si vedano gli interventi di S. Zamagni e la lucida analisi di M. Magatti.

La dignità del lavoro, l' efficacia del welfare e il benessere della famiglia sono le basi di un nuovo progetto di società, coeso e solidale, con cui costruire protagonismo e passione civile e riaprire l'orizzonte alla fiducia nel futuro verso una società più equa e uno sviluppo sostenibile. Purtroppo - veniva detto - la realtà che abbiamo di fronte è caratterizzata da una sempre più preoccupante mancanza di lavoro che colpisce giovani e donne, ma anche fasce di adulti. Il tasso reale di disoccupazione, tenendo conto dei cassintegrati, di chi è in mobilità e dell'effetto scoraggiamento, che riguarda soprattutto i giovani e le donne del Meridione, indica quanto sia critica la situazione del mercato del lavoro italiano e come l'innalzamento del tasso di occupazione sia il primo obiettivo da perseguire con un'efficace politica di crescita economica.


Servire il lavoro

Ci sono alcune proposte concrete delle Acli. La prima è «un contratto prevalente a tempo indeterminato», flessibile ma non precario. Esso - secondo le parole del presidente delle Acli - prevede la possibilità per i datori di lavoro di rescindere il contratto nei primi tre anni di rapporto, ma senza più ricorrere a collaborazioni più o meno finte, partite Iva, contratti a termini rinnovati di tre mesi in tre mesi. La flessibilità, pur necessaria, non va scaricata tutta sui giovani. Le aziende vanno incentivate a fare assunzioni "lunghe", a puntare su formazione e "fidelizzazione" dei propri dipendenti., a non sfruttare un continuo turn-over di giovani stagisti. La seconda proposta delle Acli riguarda le aliquote contributive: esse dovrebbero essere parificate al 33% come i lavori dipendenti a tempo indeterminato.

Le Acli intendono rafforzare la propria identità associativa e promuovere una più decisa elaborazione culturale in riferimento all'insegnamento magisteriale, nella convinzione che il lavoro è la chiave di volta della questione sociale. «L'impegno della nuova generazione di cristiani - ha detto Olivero - non dovrà rivolgersi solo alla politica, ma anche all'economia e al lavoro... Per ridare significato al mondo del lavoro, per contribuire a costruire un'altra economia, la sfida per le Acli e per l'intero terzo settore sarà quella di unire intelligenza e passione, dedizione e professionalità, gratuità, rigore e trasparenza».

Il lavoro è un bene comune, va promosso da tutte le componenti sociali e non atteso passivamente. La dignità del lavoro deve trovare in un'equa retribuzione, nella sicurezza e nella libertà tre dimensioni imprescindibili e costitutive della sua universalità.

L'esercizio della responsabilità è il paradigma del cambio d'epoca nelle relazioni interne al mondo del lavoro. Responsabilità e partecipazione sono inscindibili e rappresentano l'ossatura della nuova cultura del lavoro, aprono la strada della democrazia economica e dell’impresa sociale.

La valorizzazione dei saperi e delle competenze diviene fondamentale perché consente di rendere i lavoratori protagonisti dei processi economici. Va portato a concreta attuazione il principio costituzionale della sussidiarietà, in maniera che vengano allargati i confini della mutualità, che sia esteso il governo sociale dei servizi e che si promuova la spesa privata attraverso adeguate misure di sostegno fiscale.

Per ridare centralità al lavoro, bisogna ripensare le politiche del lavoro rendendole coerenti con gli obiettivi del rispetto della dignità dell'uomo che lavora, dell'equità redistributiva dei redditi e dell'inclusione sociale, dentro un corretto e "virtuoso" funzionamento dell'economia in un quadro globale. Come laici siamo pronti ad assumerci i nostri rischi, ad andare incontro anche a possibili e inevitabili errori. «Le Acli - affermava nelle sue conclusioni il presidente Olivero - vogliono rispondere senza indugio all'appello rivolto dal papa per formare una nuova generazione di cattolici impegnati ad "evangelizzare" il mondo del lavoro, dell'economia, della politica».


di Elio Dalla Zuanna
da Settimana - anno 2011, n. 32

Letto 1956 volte

Search