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Giovedì, 15 Novembre 2012 21:25

E comparvero le donne. Tavola rotonda sull’apporto del Vaticano II alle trasformazioni del ruolo femminile nella Chiesa. Con una nostra proposta per proseguire lungo la via del Concilio

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Sono entrate solo alla terza sessione del concilio e come uditrici. Ammesse per esplicito volere di Paolo VI, dalle iniziali diciassette divennero ventitré, dieci religiose e tredici laiche (nove nubili, tre vedove, una sposata).

Entrarono in sordina, ma il loro contributo si rivelò superiore a quello che si sarebbe pensato, e che per solito si pensa ancora. Presero parte ai lavori delle commissioni e dissero la loro. Non furono, insomma, solo passive “uditrici”. Del resto era stato lo stesso sostituto della Segreteria di Stato monsignor Angelo Dell’Acqua a spiegare (come attesta il verbale di un’udienza del 21 gennaio 1965) che la posizione di uditrice «non deve essere intesa in senso passivo; essa impegna chi ne ha ricevuto il mandato a dare un apporto di studio e di esperienza alle commissioni incaricate di rivedere e di emendare gli schemi in preparazione alla quarta sessione del concilio».

Ritanna Armeni Il tema della nostra tavola rotonda è «donne e concilio Vaticano II». Vorremmo affrontare due argomenti che finora nelle celebrazioni ufficiali sono rimasti in ombra. Innanzitutto il ruolo effettivo delle donne che vi parteciparono, se e come riuscirono a influenzare i lavori. In secondo luogo, cosa altrettanto importante, le conseguenze della rivoluzione conciliare sulle religiose e sulle laiche. Per arrivare all’eredità del Vaticano II oggi nel rapporto fra le donne e la Chiesa, un rapporto che — come sappiamo — non sempre è facile.

Vorrei cominciare da una domanda personale a madre Maria Barbagallo che all’epoca era in missione a Torino. Come ha vissuto lei con le sue sorelle i mesi del concilio?

Maria Barbagallo All’inizio non capivamo molto. Non ci era facile seguire i lavori perché a noi arrivavano poche notizie, per lo più filtrate dai superiori. Posso dire come cambiò la nostra vita. La nostra congregazione — le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, fondate a Codogno da santa Francesca Cabrini nel 1880 — era strutturata secondo un’organizzazione monastica, in cui la vocazione si misurava sulla capacità di obbedire e di osservare le rigide regole. Erano regole che con alcuni permessi potevano qualche volta cambiare, ma la nostra vita era comunque molto disciplinata.

Con il concilio Vaticano II si introdusse invece la distinzione cruciale fra vita monastica e vita apostolica. Una distinzione che non fu facile da comprendere e da praticare specie per le suore più anziane, abituate a una vita che seguiva altre norme. Ci fu tra noi qualche incertezza. Si pose il problema di come conciliare la fedeltà convinta al nostro ordine e alle regole volute dalla nostra fondatrice e la fedeltà alla Chiesa. Era necessario mediare i termini del conflitto in modo intelligente.

Le indicazioni del concilio entrarono come un vento, anche con una certa violenza, spinte soprattutto dalle suore del Nord America. Erano soprattutto loro a chiedere con maggiore forza il cambiamento. Ricordo che ci dicevano: voi italiane volete più regole per poi non rispettarle del tutto, noi ne vogliamo poche perché le rispettiamo fino in fondo.

Caterina Ciriello Nella mia congregazione — le Figlie di Gesù di Salamanca, fondata in Spagna nel 1870 — ci fu invece fin dal primo momento partecipazione e interesse. Ascoltavamo le sedute del concilio in diretta alla radio, le discutevamo e le commentavamo. Il cardinale protettore in visita ci raccontava passo passo le fasi dei lavori.

Se già il concilio in sé era un fatto straordinario, la presenza delle donne era addirittura sconvolgente. Era evidente che le ventitré uditrici erano un po’ sfasate: da una vita quasi monastica, appartata, silenziosa, erano improvvisamente balzate alle luci della ribalta. Il loro ruolo, comunque, non fu di poco conto. So bene che diversi storici, soprattutto in libri recenti sul Vaticano II, hanno scritto che non hanno portato alcun contributo al concilio. Ma non è assolutamente vero! Il loro ruolo è stato silenzioso, ma di grande significato. Come spesso avviene, le donne ci sono e agiscono senza clamore, ma non per questo il loro ruolo è ininfluente.

Sicuramente i superiori ci volevano dare la loro interpretazione del concilio perché avevano paura del cambiamento sia della Chiesa che delle donne. E sapevano bene che importanti cambiamenti ci sarebbero stati.

Ritanna Armeni La comunità di Taizé si è accorta della presenza delle donne al concilio? O vi è arrivata — chiedo a fratel Marek — solo la voce "ufficiale" e anche voi avete pensato che le uditrici fossero solo fisicamente presenti, senza però aver portato alcun reale contributo?

Marek Durski Il nostro fondatore fratel Roger — la comunità cristiana monastica ed ecumenica di Taizé fu fondata da Roger Schutz nel 1940 — partecipò a tutte le sessioni del concilio e conobbe personalmente una delle ventitré uditrici, l’argentina Margarita Moyano, e la invitò a Taizé per raccontare la sua esperienza. Abbiamo quindi ascoltato il concilio anche attraverso la voce di una donna, e questo per noi è stato molto importante. Margarita Moyano ci trasmise una visione della Chiesa nuova anche per nostra comunità. È stata lei che ci ha spinto ad aprirci a una Chiesa più povera, più missionaria e più pasquale. Moyano era una laica: non dimentichiamo che la testimonianza delle donne laiche ha influito molto nel rapporto con la fede delle donne latinoamericane.

Fratel Roger aveva capito subito l’importanza del ruolo delle donne nel lavoro pastorale, e in particolare aveva capito che nel rapporto con i giovani del nostro movimento le donne erano indispensabili. Davano della Chiesa una visione nuova ed entusiasmante. Ormai da molti anni noi collaboriamo proficuamente con tre congregazioni femminili: le suore di Sant’Andrea, le suore orsoline del Sacro Cuore di Gesù agonizzante e le Figlie della Carità.

Lucetta Scaraffia L’apertura del concilio alle donne fu un atto rivoluzionario soprattutto dal punto di vista simbolico: ancora oggi commuove pensare all’ingresso di questo drappello di donne, vestite di nero e con il velo in testa, in uno spazio fino ad allora rigorosamente riservato agli uomini. Negli anni Sessanta non esistevano assemblee mondiali di vertice in cui fosse assicurata una presenza femminile, la prima a farlo è stata la Chiesa. La loro presenza ha prodotto effetti anche nei decenni seguenti. Molte di loro — come Margarita Moyano — hanno testimoniato il concilio Vaticano II anche in Paesi lontani. Ma ci sono state anche conseguenze negative. Molte delle protagoniste del concilio infatti hanno pagato caro questo coinvolgimento: da una parte, Sabine de Valon, superiora generale delle Dame del Sacro Cuore e coordinatrice del drappello femminile, colei che ha dovuto mediare i provvedimenti sulla vita consacrata con le congregazioni femminili, non resse a questo stress e si ammalò di esaurimento nervoso, per cui si dovette ritirare da tutte le cariche. Dall’altra, uditrici come Gladys Parentelli e Rie Vendrik, presero posizioni sempre più critiche nei confronti della Chiesa perché non permetteva di mettere in discussione l’esclusione delle donne dal sacerdozio, ponendosi in una posizione marginale.

In sostanza, la prima apertura ufficiale della Chiesa alle donne ha aperto molti problemi: in particolare, ha rischiato di provocare una rottura con la gerarchia sul tema bollente del sacerdozio femminile, un tema che ha segnato — e che segna ancora oggi — il destino del rapporto delle donne con la Chiesa. Da allora in poi l’istituzione ecclesiastica ha temuto che aprendo alle donne, dando loro un ruolo e una visibilità, si finisse con il ritrovarsi davanti il problema del sacerdozio femminile. Io credo che non sia necessario essere ordinate sacerdoti per vedere riconosciuto il ruolo delle donne nella Chiesa.

Lo avevano compreso perfettamente le fondatrici delle congregazioni di vita attiva fra Ottocento e Novecento. Il loro esempio è importantissimo (e sarà poi anche l’esempio di Chiara Lubich): senza bisogno di rivendicazioni ideologiche, le fondatrici hanno lavorato, si sono prese le loro responsabilità e hanno assunto il ruolo che spettava loro nella Chiesa. Alla prova dei fatti sono state davvero femministe, più femministe di molte laiche loro contemporanee, perché hanno cambiato le cose nel concreto. E non solo nella Chiesa, ma nel mondo. Un cambiamento che è avvenuto mantenendo viva la differenza fra donne e uomini, senza mirare a una uniformità che non rispetta la natura umana e rischia di creare solo confusione.

Caterina Ciriello Su quel che avvenne fra le donne e la Chiesa durante e dopo il concilio c’è anche da dire un’altra cosa. La ricostruzione storica l’hanno fatta in genere gli uomini e quindi è, inevitabilmente, di parte.

Dobbiamo ricordare che le donne al Vaticano II hanno preso molto sul serio la consegna del silenzio, quindi hanno parlato e scritto poco. Così è finito spesso che le loro congregazioni abbiano appreso quanto avveniva nelle sedute conciliari più leggendo i giornali che ascoltandole direttamente. Del resto le donne nella Chiesa hanno sempre avuto scarsa possibilità di parola. Non dimentichiamo che hanno potuto leggere le letture solo a partire dal 1983, con il nuovo codice di diritto canonico.

Ritanna Armeni Colpisce particolarmente, ricordando la presenza delle donne al concilio, la figura di Paolo VI che le ha volute malgrado l’opposizione di parte consistente della gerarchia e che ha chiuso i lavori con un messaggio a loro sostenendo che possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere.

Lucetta Scaraffia Certo, Paolo VI fu il Pontefice che invitò le donne al concilio pur sapendo che gran parte della gerarchia era contraria. L’atteggiamento dei Padri conciliari verso le uditrici era vario: alcuni ne furono felici, tanti furono sostanzialmente indifferenti, molti disapprovarono: quella di Montini fu decisamente una scelta coraggiosa. Una scelta che faceva tornare la Chiesa alle origini. Alla fine il concilio Vaticano II — che all’inizio aveva escluso le donne — ha dato loro molto di più di quello che pensava di concedere. Paolo VI ebbe una grande intuizione, come del resto conferma il suo saluto finale, per nulla scontato ma ancora oggi molto criticato dalle femministe perché ribadiva la diversità femminile e il ruolo sostanzialmente materno.

Ritanna Armeni Ma proprio nessuna tra le ventitré uditrici ha sentito di dover scrivere, di dover dare un proprio contributo alla storia di quell’evento straordinario?

Caterina Ciriello La sola ad aver messo per iscritto le sue memorie conciliari fu suor Costantina Baldinucci, superiora generale dell’Istituto Maria Bambina, l’unica italiana presente, una donna che riesce a dire le cose con dolcezza e incisività. Le sue memorie, Il postconcilio e la suora, sono state pubblicate nel 1967, e sono particolarmente interessanti per gli spunti che offrono per capire il concilio dalla prospettiva della vita consacrata.

Il Vaticano II si è arricchito delle quote rosa piuttosto in ritardo, solo nel settembre 1964, una settimana dopo l’avvio dei lavori (le lettere di invito per le donne hanno come data quella di una settimana dopo l’inizio dei lavori!). La scelta dei nomi delle uditrici non fu casuale, ma avvenne sulla base di criteri precisi: l’appartenenza a istituti religiosi di diversa nazionalità e in grado di offrire personale molto qualificato, adatto a ricoprire “ogni mansione”. Si passano al vaglio le qualità delle religiose più conosciute con un’attenzione che ricade sulle congregazioni più grandi non solo per numero di appartenenti, ma anche per varietà di attività apostoliche. Proprio per questo, per esempio, il cardinale Antoniutti giudicò poco adeguata la scelta delle rappresentanti di Libano ed Egitto in quanto «a capo di piccoli istituti» (come scrisse in una lettera al cardinale Cicognani del 21 settembre 1964). Gli fu spiegato, però, che suor Khouzam aveva svolto il suo mandato di generale per ben quindici anni, e nel difficile momento della guerra anglo-franco-israeliana, la nazionalizzazione del canale di Suez e la guerra del Sinai. Mentre suor Ghanem aveva fondato, oltre all’assemblea delle superiori maggiori del Libano, l’Istituto di Scienze superiori di Beirut in vista della formazione teologica di religiosi e clero.

Ritanna Armeni Sarebbe interessante capire se le ventitré donne presenti al concilio hanno avuto anche un rapporto fra di loro. Si sono confrontate fra loro, fra donne, oltre che con gli uomini?

Caterina Ciriello Fra le uditrici laiche e le uditrici consacrate si formò rapidamente un gruppo di lavoro sulle questioni sulle quali collaborare, definendo le procedute concrete per realizzarle. Le uditrici si considerano innanzitutto donne e vogliono ridare voce alle donne nel mondo e nella Chiesa. Il gruppo intende affrontare i medesimi temi dei lavori del concilio, ma vuole farlo con una flessibilità maggiore rispetto all’agenda ufficiale.

Lucetta Scaraffia Mi risulta che molti ordini religiosi femminili hanno vissuto le indicazioni del concilio attraverso un intervento esterno, di natura maschile, che ha obbligato le religiose a delle scelte diverse da quelle praticate fino a quel momento. Non è stato facile per donne che si erano date un ordinamento autonomo — quasi sempre a opera della fondatrice — accettare ciò che era deciso da altri e che quindi era vissuto come una imposizione dall’alto. Le carmelitane scalze, per esempio, dopo il concilio si sono divise. Da un lato vi erano le monache che difendevano la costituzione originaria, opera di santa Teresa, dall’altro quante accettavano il cambiamento del concilio. Dalle cabriniane, un altro esempio, è arrivato padre Molinari a insegnare le nuove regole scaturite dal concilio Vaticano II, riproponendo lo schema di un uomo che arriva alle donne e spiega loro cosa fare. Non è vero madre Maria?

Maria Barbagallo La nostra congregazione è sempre stata caratterizzata da un’assoluta autonomia (a volte ce l’hanno addirittura rinfacciata!). Quella di padre Molinari è stata solo una parentesi. Le suore hanno preso sul serio l’idea del cambiamento introdotto dal concilio, molto più di tanti sacerdoti nelle parrocchie che rimanevano legati alle vecchie regole e temevano il cambiamento. E lo hanno portato avanti.

I frutti di questo lavoro sono stati tanti e importanti. Le donne soprattutto africane, americane e latinoamericane che si sono formate dopo il concilio Vaticano II hanno acquisito un ruolo centrale, le conferenze episcopali hanno dato loro ruoli e poteri: sono state Chiesa. In molte zone dove i preti erano pochi e sovraccarichi di lavoro alle suore sono state affidate funzioni di parroco: mandavano loro avanti la Chiesa, sostituendo i sacerdoti in tutto tranne che nella consacrazione, nella piena accettazione dei fedeli. Le suore latinoamericane, dal canto loro, hanno compreso di essere agenti di trasformazione dei rispettivi Paesi.

Non dimentichiamo che le donne hanno una capacità di entrare in sintonia con l’altro, di non urtare in modo diretto i nemici, di essere davvero — e non solo in modo esteriore — diplomatiche. E tutto questo viene sempre dal concilio Vaticano II!

Lucetta Scaraffia Vorrei aggiungere che quanto dice madre Maria, un fatto indubitabile, ci porta a un altro tipo di riflessione: non sono state le donne invitate al concilio a stimolare i grandi cambiamenti che hanno permesso alle religiose e alle laiche di assumersi finalmente responsabilità dirette nella liturgia e nella vita parrocchiale. La condizione delle donne nella Chiesa è cambiata dopo il concilio grazie alle riforme che hanno ampliato la possibilità per i laici di partecipare alla vita della Chiesa, valida sia per le donne che per gli uomini, ma raccolta soprattutto dalle donne, e per l’apertura degli studi — in particolare quelli di teologia — alle donne.

Queste riforme hanno permesso che si moltiplicassero le teologhe, che sono intervenute in modi spesso non marginali nell’interpretazione dei testi Sacri e su questioni dottrinali, e più in generale che la cultura media delle religiose si alzasse considerevolmente, facendo così diminuire il dislivello culturale che le separava dai religiosi. Da queste riforme è nata la realtà oggi presente in molte parrocchie, delle donne catechiste e pure delle chierichette. Da questo punto di vista l’intervento del concilio è stato decisivo, e i suoi effetti si possono vedere soprattutto oggi, dopo cinquant’anni, perché hanno fruttificato nel lungo periodo.

Anche se spesso le donne guardano solo a quello che non hanno — atteggiamento spesso condiviso anche da alcune uditrici, che si sono sentite defraudate dalle loro speranze di riforma dopo il concilio — dobbiamo concludere che il Vaticano II, per le donne cattoliche, è stato una vera benedizione.

Ritanna Armeni Dal concilio sono passati cinquant’anni. Sono abbastanza perché si possa fare un bilancio a posteriori, per dire se il ruolo delle donne in questi anni è cambiato e magari per indicare qualche passo in avanti?

Marek Durski La parola chiave dei nostri giorni è comunione. La Chiesa come comunione di fedeli. Fratel Roger l’aveva capito quando ha fatto una proposta nuova: ha chiesto che fosse istituito nella Chiesa un ministero dell’ascolto, nel quale la donna avrebbe dovuto avere un ruolo centrale. È riconosciuta infatti alle donne una capacità di ascoltare che spesso gli uomini non hanno. Nel nostro ambito già in parte lo facciamo. A Taizé, oltre alla confessione, offriamo la possibilità di essere ascoltati da uomini e da donne: l’ascolto è cosa diversa dalla confessione (questa può seguire oppure no). L’ascolto è la capacità di dedicarsi all’altro, di prenderlo in considerazione, di fare attenzione alle sue parole, alla sua vita. Di curarsi di lui.

Lucetta Scaraffia E le donne, più degli uomini, sanno che per dare una risposta occorre prima ascoltare attentamente. Perché lo hanno sempre fatto. Sarebbe giusto riconoscere loro questa capacità e questo impegno in un ministero apposito. Un ministero, per di più, che corrisponde a due importanti opere di misericordia spirituale: consolare gli afflitti, consigliare i dubbiosi.

Maria Barbagallo È vero: gli uomini spesso questa capacità di ascolto non ce l’hanno. Posso portare il caso della nostra congregazione. Ci sono casi in cui nelle carceri i detenuti non vogliono essere ascoltati dai sacerdoti, ma dalle suore. Lo chiedono esplicitamente. Evidentemente trovano in loro una maggiore capacità di comprensione. E non dimentichiamo che la capacità di ascoltare porta a una visione più ampia del cristianesimo.

Caterina Ciriello Gli uomini non ascoltano, ma raccontano! Sono loro, per esempio, che parlano della vita religiosa femminile. Invece, proprio a partire dal concilio Vaticano II, dovrebbero essere le donne, che hanno tanto dimostrato di saper ascoltare, a parlare di nuovo.

Lucetta Scaraffia Mi sembra una bella cosa che questo nostro incontro — nato per ricordare quelle donne che parteciparono al Vaticano II e l’influenza che questo ebbe sul rapporto successivo fra le donne e la Chiesa cattolica — si concluda con una proposta concreta: quella di un ministero dell’ascolto che valorizzi le donne e produca un nuovo modello di collaborazione fra le donne e la Chiesa. In questi anni l’incontro è stato difficile, c’è stata tanta diffidenza dovuta a molti motivi. Ma le donne sono andate avanti. Le donne parlano, sono entrate nella sfera della liturgia, hanno accesso alle facoltà di teologia. Se è vero che parte della gerarchia ha ancora una mentalità misogina, è anche vero però che le critiche e le richieste troppo radicali danneggiano fortemente e impediscono il dialogo. Oggi si può ricominciare partendo proprio dal modello che ci propongono le donne che in questi anni hanno saputo ascoltare, dare, fare conquistando un ruolo senza rivendicarlo, ma con l’azione concreta, con la loro presenza e con il loro impegno. Sono proprio loro che oggi possono chiedere a buon diritto un ministero dell’ascolto. Da qui si può proseguire costruttivamente sulla strada tracciata dal Vaticano II, che un posto di maggiore responsabilità alle donne lo dava, senza mettere in discussione la dottrina sul sacerdozio.

L’Osservatore Romano

31 ottobre 2012

Letto 4245 volte Ultima modifica il Lunedì, 19 Novembre 2012 22:45

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