Vita nello Spirito

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Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Partenza per Roma, viaggio e naufragio (27,1-44)


Il discorso riprende con il "noi". Luca è stato probabilmente spesso da Paolo nei due anni di prigionia a Cesarea; ora lo accompagna nel viaggio. È in assoluto uno dei documenti di navigazione antica tra i più importanti per le scienze nautiche.


Era ormai estate inoltrata; bisognava partire presto per Roma, perché il mare Mediterraneo era considerato "chiuso" da novembre a marzo, a causa delle possibili tempeste. Settembre era già tardi… Salpano su una nave della Misia (esattamente di Adramitto, poco a sud di Troade) che tornava a casa, per fare un primo tratto di viaggio. Paolo è accompagnato da Luca e Aristarco, ma è consegnato al centurione Giulio, responsabile del suo arrivo a Roma. Breve tappa a Sidone, poi Cipro, poi in Licia (Turchia del sud). Cambio di nave, arrivo a Creta, località Buoni Porti. Paolo suggerisce di non proseguire, temendo la forza del mare (era passata la festa di Yom Kippur – giorno dell’espiazione – ai primi di ottobre). Vogliono raggiungere Fenice, un porto migliore dell’altra parte dell’isola, ove svernare; ma anche nella navigazione costiera li sorprende una tempesta.


Paolo è avvisato da un angelo che tutti si salveranno. Dopo 14 giorni di deriva nell’"Adria" (Mare Adriatico) si avvicina una costa, pur senza vederla. Lo scandaglio rivela 20 braccia (37 m.); poi 15 braccia (28 m.): rischio di incagliarsi contro scogli. La nave viene ancorata. Un tentativo di egoistico salvataggio da parte della ciurma è stroncato dalle guardie su indicazione di Paolo. L’indomani la nave si avvicina alla costa, ma si insabbia; le guardie vogliono uccidere i prigionieri per evitare che possano fuggire, ma il centurione lo impedisce. Pian piano tutti scendono a terra.

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Il giudizio di Agrippa e Berenice e il discorso di Paolo (25,13-26,32)


Agrippa II, figlio di Erode Agrippa I (quello che aveva fatto uccidere Giacomo: At 12) e pronipote di Erode il grande, era amante incestuoso di sua sorella Berenice (quest’ultima, tra l’altro, amante anche di Tito: una donna molto chiacchierata). Due spregevoli figure. Si presentano a Cesarea per salutare il nuovo procuratore. Festo parla loro di Paolo; Agrippa vuol fare l’esperto e chiede di parlarci.


Paolo si racconta; leggiamo la terza narrazione lucana dell’episodio di Damasco. I pagani sono stati l’ultimo obiettivo della sua missione ("infine": 26,20) e lui fino alla fine è fedele a Mosè e ai profeti. Festo lo prende per matto, Agrippa sembra quasi convinto (o forse si fa beffe di Paolo: "ti basterebbe poco per farmi convertire, eh?…"). Il tutto finisce con la faciloneria di una corte orientale.

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Il nuovo prefetto Festo e l’appello a Cesare (25,1-12)


Porcio Festo inizia il suo incarico, svolto con zelo, nel 60 d.C. A Gerusalemme per la presa di possesso, gli vien chiesto di far salire Paolo e poterlo giudicare (in realtà volendo ucciderlo prima dell’arrivo – chissà se i 40 stavano ancora digiunando). Festo invita a fare il contrario, cioè riscendere a Cesarea. Arrivano i giudei, e si tiene il processo; Festo, per ingraziarsi i nuovo sudditi, chiede se Paolo accetta di andare a Gerusalemme. Forse temendo il peggio, egli si appella a Cesare, sfuggendo agli accusatori e ottenendo un viaggio gratis a Roma, secondo i suoi desideri (19,21).

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Primo processo romano: davanti a Felice (24,1-27)


Per accusare Paolo vengono convocati da Gerusalemme Anania, alcuni anziani e l’avvocato Tertullo. Questi esordisce con un captatio benevolentiae e accusa Paolo di essere a capo della setta dei nazorei. Paolo risponde con un’apologia: si dichiara ebreo in tutto e per tutto, spiega di essere venuto per portare il frutto della colletta ai giudeocristiani e per il culto di shavuot; riferisce che tutto è nato dai giudei di Asia e riferisce l’esito del processo presso il sinedrio. Felice non prende decisioni e vuole sentire personalmente il tribuno Lisia. Paolo rimane custodia militaris (c’erano tre livelli di restrizione carceraria: custodia pubblica, ossia il carecere; custodia militaris, ossia rimanere incatenati ad un militare, ma liberi di muoversi o incontrare persone; custodia libera, ossia arresti domiciliari presso uno che si faceva garante).


Quel debosciato di Felice tenne così per due anni Paolo; lo presentò alla moglie Drusilla (della famiglia di Erode, donna immorale e approfittatrice, sorella di Agrippa II e Berenice) che volle sentirlo, e poi lo tenne in custodia sperando di estorcergli dei soldi: invano. Sarà stato umiliante per Paolo essere chiamato da quella coppia molle e decadente a parlare della fede solo per far passare il tempo e discutere superficialmente… (succede anche oggi in certe catechesi…).

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Complotto e trasferimento a Cesarea (23,12-35)


Una quarantina di esaltati fa voto di sciopero della fame fino all’uccisione di Paolo, chiedono al sinedrio di richiamare Paolo, e loro lo avrebbero eliminato prima dell’ingresso nell’aula. Ma il nipote di Paolo viene a saperlo, e informa Paolo. Il tribuno, furbo, sceglie di togliersi dall’impiccio spedendo Paolo all’autorità superiore: il procuratore Felice. Fa preparare una numerosa scorta e ordina il trasferimento notturno. Il prigioniero viene accompagnato dall’elogium, la lettera di presentazione in cui il magistrato inferiore si affida alla competenza del magistrato superiore a riassume gli estremi del caso come gli sono noti (in realtà egli modifica un po’ i fatti, a suo favore ed omettendo di averlo trattato non da cittadino romano). Di notte la carovana scende ad Antipatride e l’indomani a Cesarea; Paolo viene incarcerato nel palazzo fatto costruire da Erode il Grande, poi adibito a sede abituale del procuratore. Antonio Felice fu uomo ignobile ("esercitò il suo potere con animo da schiavo, ricorrendo a sevizie e libidine", scrisse Tacito).

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Processo ebraico davanti al sinedrio (22,30-23,11)


Per scrupolo Cludio Lisia fa giudicare Paolo dal sinedrio. Dopo un scaramuccia con il sommo sacerdote Anania (uomo duro e violento, assassinato dai sicari nel 66 d.C.), escogita un trucco: approfittare delle divisioni interne al sinedrio tra farisei e sadducei. Il tribuno deve intervenire per riportare l’ordine e salvare di nuovo Paolo.

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Prigioniero nella Fortezza Antonia, si dichiara romano (22,22-29)


Il tribuno non aveva capito nulla, e ancora meno quando la folla si riscatena! Lo fa portare dentro per un interrogatorio con flagellazione. Ora che i giudei non sentono si proclama civis romanus davanti al centurione, che riferisce al tribuno. Questi (che per avere la cittadinanza romana aveva dovuto pagare: infatti il nome greco affiancato a quello romano rivela la sua origine: era infatti l’imperatore Claudio che aveva dato questa possibilità, che nei primi tempi era offerta a caro prezzo) si spaventa, per aver contravvenuto – pur senza saperlo – alla legge Porzia (come era successo a Filippi: At 17,37-39).

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


Sommossa al tempio, salvataggio e discorso di Paolo (21,27–22,21)


Pretesto e capo di accusa: aver introdotto Trofimo (che era un ex pagano di Efeso, non circonciso) dentro il Tempio. Il Tempio aveva un "atrio dei gentili", simile ad una "agorà", dove tutti potevano entrare, e che durante le feste era sotto stretta sorveglianza dei soldati romani, e un’area interna dove solo gli ebrei potevano entrare (i non circoncisi trasgressori erano puniti con la morte, come ha confermato una lapide trovata nel 1871). Gli ebrei di Asia (Asia proconsolare, quindi Efeso, quindi conoscenti di Trofimo) cercano di linciarlo. Il tribuno romano (Claudio Lisia: 23,26) interviene e lo salva facendolo portare a spalla dai soldati alla fortezza Antonia (si trovava lungo il muro nord del tempio).


Paolo sfrutta la sua conoscenza delle lingue: gli si rivolge in greco. Lisia capisce che non è l’egiziano autore della sommossa sedata alcuni mesi prima [cfr Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica II, 261-264] e lo fa parlare. Nasconde la sua cittadinanza romana (deve difendersi davanti ai compatrioti), e poi si rivolge al popolo in aramaico. Ciò sorprende la folla (pensavano che anche lui fosse un pagano!). Paolo fa la sua autodifesa: vanta la sua ebraicità (fariseo, allievo di Gamaliele, pieno di zelo per Yhwh). Racconta la sua vocazione, ma di nuovo si scatena la folla quando riferisce il messaggio di Gesù "va’ tra i pagani".

Sabato, 19 Giugno 2004 02:07

L’origine delle accuse (21,15-26)

Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi


L’origine delle accuse (21,15-26)


Paolo aveva giustamente timore di recarsi a Gerusalemme: doveva riferire al gruppo conservatore, resistente all’apertura fuori dei confini di Israele, i successi della sua missione presso i pagani. Chissà se avrebbero accettato la colletta e il suo stile di annuncio? Infatti il gruppo conservatore si preoccupa di chiedere a Paolo un segno di rispetto per le norme giudaiche: aiutare economicamente 4 giudeo-cristiani che avevano fatto voto di nazireato (il nazireo si impegnava a non bere alcolici e a non radersi per un certo periodo, di solito un mese, al termine del quale doveva offrire dei sacrifici costosi). Paolo aveva fatto lo stesso o qualcosa di simile a Corinto: era una facile occasione per mostrarsi rispettoso delle leggi di Mosè. Ciò era particolarmente importante in quei giorni, perché la festa di Pentecoste (festa delle settimane – shavuot) aveva richiamato molti ebrei convertiti al cristianesimo, ma ancora fedeli alla religiosità ebraica. [Al v. 26 termina la sezione "noi"].

Il terzo viaggio missionario di Paolo
di Don Filippo Morlacchi


Il passaggio attraverso la penisola Anatolica (18,23)

Un solo versetto ci descrive il lungo viaggio attraverso la Galazia e la Frigia. Luca sorvola su ciò che accade in luoghi già descritti in precedenza. Il fatto che il testo ometta la menzione della Pisidia e della Licaonia fa supporre che Paolo non sia ripassato per Antiochia, Iconio, Listra e Derbe (primo viaggio), ma abbia puntato subito sulla Galazia (evangelizzata nel secondo viaggio a causa della malattia). Questo passaggio in Galazia si argomenta anche dalla lettera ai Galati (4,13) "fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il vangelo": si può supporre una seconda volta, se ve ne fu una prima; e fu appunto in occasione di questo viaggio. Attraversando poi la Lidia, giunse ad Efeso, fedele alla promessa fatta agli Efesini (18,21), fermandosi forse da Aquila e Priscilla, rimasti ad Efeso dal viaggio precedente.

Intanto, si racconta di Apollo, un giudeo alessandrino colto, versato nelle Scritture (probabilmente alla scuola di Filone, fortemente allegorizzante), seguace del Battista e battezzato solo con il battesimo di Giovanni (1). Questi, abilissimo nell’argomentare, fu condotto alla pienezza della fede cristiana dai coniugi Aquila e Priscilla, i quali lo incoraggiarono nel suo desiderio di evangelizzare la Grecia e lo indirizzarono a Corinto. Qui riscosse grande successo "irrigando quello che Paolo aveva piantato" (cfr 1Cor 3,4-6).


NOTA

(1) Ciò significa che al di fuori della Palestina c'erano ancora discepoli del Battista che non avevano conosciuto (o riconosciuto) Gesù, e che rimanevano legati al loro maestro decapitato da Erode. E' quanto rimane dei «discepoli di Giovanni» (Mc 2,18; 6,29). Il Vangelo di Giovanni, scritto alla fine del secolo, vuole chiaramente indicare la subordinazione di Giovanni a Gesù, anche per invitare questo gruppo superstite alla piena fede.

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