Famiglia Giovani Anziani

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PSICOTERAPIA E MATRIMONI IN DIFFICOLTÀ

"I dubbi sollevati dalla Chiesa"


La Chiesa ha sempre ritenuto uno dei suoi
compiti primari la cura del matrimonio e della famiglia, anche, sia
pure non solo, per il loro valore religioso altamente simbolico. La
famiglia, infatti; è fondata sul sacramento del matrimonio, il quale
rimanda intrinsecamente al rapporto tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef
5,2l ss). Il matrimonio, in tutta la sua realtà anche umana, non è che
un simbolo, la cui verità è il rapporto tra Cristo e la sua Chiesa. In
questo rapporto archetipale tra Cristo e la Chiesa il cristiano trova
il modello di ogni amore matrimoniale. "mariti amate le vostre mogli,
come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per Lei" (Ef 5,25).

Inoltre, la Chiesa individua nel matrimonio e nella
famiglia uno dei luoghi principali della formazione umana e cristiana
nella persona, formazione che è diritto-dovere proprio di ogni famiglia
nei confronti dei suoi membri. Recentemente la ricchezza della dottrina
e della pastorale della Chiesa in questo ambito è stata ripresa, in
maniera piu organica di quanto non sia mai stato fatto nel passato
nell'esortazione apostolica Familiaris consortio (22 novembre 1981).

È interessante notare che nella parte pastorale dì
questo documento non viene mai fatto cenno al contributo che la
psicoterapia potrebbe dare alla famiglia, contributo che sarebbe molto
importante almeno di fronte alle tante difficoltà relazionali che oggi
si manifestano e alle crisi matrimoniali che segnano il mondo
occidentale. Ci appare sorprendente, dal momento che a un primo
approccio sembrerebbe di dover dire che sia la pastorale della Chiesa
sia la psicoterapia trovano un punto di incontro nell'aiuto alla coppia
in difficoltà nella ricerca di una buona riuscita umana del matrimonio
e della famiglia. Evidentemente si scontano anche in ambito pastorale
le problematiche generali di un rapporto tra la Chiesa e la psicologia
/ psicoterapia che non sempre è stato facile. Alcuni chiarimenti sono
avvenuti soprattutto nei confronti della psico1ogia ma qualche
difficoltà rimane per la psicoterapia.

c.b. (Famiglia Oggi n° 3/2002)

Domenica, 20 Febbraio 2005 17:08

I CONFLITTI DI LEALTÀ TRA LE GENERAZIONI

I CONFLITTI DI LEALTÀ TRA LE GENERAZIONI

Ogni famiglia riceve un lascito dalle famiglie
d'origine dei coniugi: ciascuno di noi è stato figlio a sua volta, e
non può non sentire una qualche forma di devozione verso i propri
genitori (e la loro linea di discendenza). Ognuno, allora, deve vivere
in un difficile equilibrio fra l'appartenenza alla famiglia d'origine e
quella al nuovo nucleo. Ovviamente, la lealtà verso la famiglia in
qualche modo contrasta l'individuazione dei singoli familiari,
intrecciandosi ai problemi di differenziazione. La fedeltà alla
famiglia d'origine può assumere molte forme, e arrivare a vertici
insospettabili. A ben vedere, la vita familiare nelle generazioni ha
sempre a che fare con obblighi che vanno ben oltre quelli fra le
persone fisicamente presenti. E quel che vale per gli obblighi e le
lealtà, vale anche per le ambivalenze e le recriminazioni, che possono
risalire nelle generazioni più di quanto si pensi.

I conflitti di lealtà, per farla breve, sono
pressoché inevitabili. Per tanti si risolvono senza postumi di rilievo;
ma per qualcuno possono avere conseguenze a lungo termine, facilitare
dissidi senza fine nelle coppie e trasformarsi, per i figli, in
drammatiche ambivalenze. D'altra parte, se si mantiene un senso molto
forte, incontrastato, di appartenenza alla famiglia d'origine, può
risultare difficile aderire pienamente a quella nuova.

Per questo, spesso il lavoro intergenerazionale può
essere una necessità per il terapeuta della famiglia. Prendere in esame
- e a volte invitare anche in sala di terapia - le generazioni offre
una serie di vantaggi: mostra le radici e il senso di eventi, intrecci
ed emozioni altrimenti inspiegabili; allo stesso tempo, rende certi
comportamenti "disfunzionali", meno patologici (una prospettiva storica
impedisce di patologizzare i comportamenti).

Rispetto alla semplice evocazione delle famiglie
d'origine, la convocazione diretta in seduta di nonni e nonne,
l'interazione diretta delle tre generazioni, ha il vantaggio di
confrontare ciascuno non soltanto con genitori o figli interiorizzati,
ma con quelli che sono i genitori e figli nel "qui e ora", favorendo un
riequilibrio dei rapporti intergenerazionali

p.b.

(Famiglia Oggi n° 3/2002)

Solitudine... in famiglia ... subita... ricercata per conoscersi meglio

Ci sono diversi modi di intendere e di
vivere la solitudine: essa può derivare da esperienze di emarginazione
familiare e sociale, o può essere ricercata e vissuta come momento di
riflessione e di crescita individuale. La solitudine, di per sé, non ha
quindi un’accezione positiva né negativa. Essere soli può però
costituire un peso qualora non derivi da una scelta personale. Sul
piano sociale, sono numerosi gli esempi di questa solitudine "subita",
che sempre più frequentemente si verifica anche all’interno della
famiglia.

Nella società attuale i bambini trascorrono spesso
troppo tempo da soli, privi della compagnia di fratellini e coetanei,
aspettando il rientro di genitori che, oberati dal troppo lavoro, a
volte non trovano neppure il tempo di parlare, di giocare con i propri
figli. Nel contempo gli anziani, pur vivendo in famiglia, possono
avvertire l’isolamento che deriva dal mancato riconoscimento della loro
funzione sociale, o da un bisogno di comunicazione che non sempre trova
soddisfazione negli altri membri della famiglia, producendo
emarginazione e frustrazione.

Ovviamente, sono i soggetti più deboli sul piano
socio-economico ad avvertire in maniera più incisiva il problema della
solitudine.

Se dunque è vero che questa tipologia di solitudine
va indagata perché ad essa si trovino delle risposte adeguate, è pur
vero che esistono altri modi di vivere la solitudine. L’isolamento può
essere infatti vissuto in maniera creativa, allorché è frutto di una
scelta che l’individuo persegue per ricavarsi uno spazio di riflessione
in cui ritrovare la propria soggettività al di fuori del caos
quotidiano. In questa accezione, la solitudine costituisce un momento
positivo, un fattore benefico di arricchimento che ci porta a
riappropriarci di una dimensione di tranquillità interiore che nel
mondo di oggi siamo indotti a trascurare con sempre maggiore facilità.

Prof. Maurizio Andolfi

Sabato, 05 Febbraio 2005 18:53

Un’informazione che non informa

Un’informazione che non informa

Ricordo di aver sentito dire una volta, in un Convegno, che il modo migliore per eliminare il problema immigrazione è evitare che se ne parli. Effettivamente, nella contemporanea Società dell’Informazione, la crescente accessibilità dell’informazione aumenta smisuratamente il potere che deriva dal controllo delle sue fonti. Ne è prova evidente il fatto che l’effettivo verificarsi di un evento può essere persino messo in dubbio se di esso non si dà traccia sui media.

Questa riflessione porta a chiedersi perché un certo tipo di informazione, che pure esiste ed è ben nota ai professionisti del settore, poi non emerge al di fuori di questi contesti “chiusi”.

Una probabile ragione si può rintracciare nel predominio di una logica economica che induce gli operatori di questo settore a porsi come obiettivo più che la diffusione di un’informazione “formativa”, l’ampliamento delle vendite che, nel tentativo di accaparrarsi un numero sempre crescente di nuovi lettori, porta i media ad adeguarsi a livelli sempre più bassi, perseguendo logiche commerciali, di “spettacolarizzazione”.

I temi sociali sono i primi ad essere sacrificati da questa logica. Prendiamo, ad esempio, l’immigrazione: dai media italiani questo argomento è stato sempre trattato, e lo è tuttora, quasi esclusivamente come un problema di sicurezza, senza che alcuna attenzione venisse posta al problema dell’integrazione, alle modificazioni, sia positive sia negative, che l’inserimento di queste persone introdurrà nella nostra società, ai problemi degli immigrati... Un simile approccio, più attento agli aspetti sociali del fenomeno, potrebbe promuovere una cultura più aperta e disponibile all’accoglienza e far passare il concetto che l’immigrato è una persona portatrice di valori diversi e non soltanto una fonte di manodopera, un numero, un nemico.

Maurizio Andolfi

 

 

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:36

Claudio e Margherita (Prof. Maurizio Andolfi)

 
Claudio e Margherita 11.01.02
Siamo Claudio e Margherita, sposati da … tempo, dei nostri due figli Alberto è andato a vivere da solo, Elisabetta si è sposata ed ha la sua famiglia. Tutto questo è avvenuto da poco tempo ed ora abbiamo l’impressione che questa nuova realtà stia toccando l’equilibrio della nostra coppia. Come affrontare questo nuovo momento?
Siamo Claudio e Margherita, sposati da … tempo, dei nostri due figli Alberto è andato a vivere da solo, Elisabetta si è sposata ed ha la sua famiglia. Tutto questo è avvenuto da poco tempo ed ora abbiamo l’impressione che questa nuova realtà stia toccando l’equilibrio della nostra coppia. Come affrontare questo nuovo momento?

La situazione presentata da Claudio e Margherita è molto frequente e spesso viene chiamata "sindrome del nido vuoto", per indicare l’uscita dei figli dalla casa dei genitori.

Indubbiamente se una coppia deve modificare profondamente il proprio legame affettivo per dare uno spazio all’arrivo di un figlio, è altrettanto vero che a distanza di molti anni, quando i figli, adolescenti o giovani adulti, escono di casa, deve essere capace di ritrovare un’intimità a due e una rinnovata curiosità nel coltivare il rapporto con l’altro per molti anni "condizionate" dalle esigenze e dai bisogni di cura e di accudimento nei confronti dei figli.

Quindi, i figli rappresentano un indicatore assai potente delle capacità di mantenere un’intesa a livello profondo dei due coniugi. Non è infrequente che crisi e conflitti di coppia possano insorgere e svilupparsi in entrambe queste fasi evolutive.

In particolare è necessario che Claudio e Margherita accettino di perdere la continuità di un rapporto affettivo sia con Alberto che con Elisabetta. L’arte di un genitore è di saper essere presente con i figli al momento opportuno e di sapersi separare da questi quando è necessario.

Inoltre sia Alberto che Elisabetta si sentiranno più forti e avranno la sensazione di aver avuto il "permesso" dai propri genitori nel distaccarsi da casa e nell’iniziare il proprio percorso da adulti, sia sperimentandosi in una vita da soli che con l’arrivo di una nuova famiglia.

Una coppia ormai matura può gioire anche dei risultati educativi e affettivi conseguiti, liberando i propri figli da vincoli di dipendenza.

Nello steso tempo se conoscersi nella prima fase del matrimonio è una parte importante nella costruzione dell’intimità di una coppia, è ancor più vero che ritrovarsi da soli in due può rappresentare un momento assai importante di trasformazione, sia sul piano individuale che su quello duale. E’ un po’ come andare a raccogliere insieme i frutti di ciò che si è seminato.

Se poi dovessero emergere delle difficoltà o delle incomprensioni nel ritrovarsi in due, sarà molto utile utilizzare le risorse disponibili nel proprio contesto sociale: sistema di amici, colleghi di lavoro, attività parrocchiali o altri interessi che facilitino la ripresa di un entusiasmo non più proiettato nella vita dei figli, ma più centrato sulla propria.

Nel caso in cui queste difficoltà dovessero accentuarsi, perché non ricorrere ad una terapia familiare, così da trovare un terzo competente neutrale in grado di riindirizzare le energie e le risorse di una coppia?
 
 

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:35

IL CASO DI MARIO (Prof. Maurizio Andolfi)

IL CASO DI MARIO

Sono, Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.

Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.

La situazione di Mario è assai emblematica nella nostra società moderna. Negli ultimi vent’anni, sicuramente, il ruolo della donna si è trasformato alla radice. La donna ha conquistato uno spazio sempre più autorevole e distinto in ambito lavorativo e comunque in generale nelle attività extradomestiche, ma, soprattutto, ha acquistato una maggiore coscienza di sé come persona autonoma e non più come "la dolce metà" del marito.
E’ fuor di dubbio che, nel momento in cui è venuta ad occupare spazi maggiori nel mondo esterno, è cambiato anche il suo ruolo all’interno della famiglia. Un prezzo assai alto pagato dalla donna è sicuramente l’impossibilità o la maggiore difficoltà ad avere più di due figli (sebbene la media nazionale sia decisamente inferiore di questo numero) e ad accudirli per il tempo che vorrebbe.

Non c’è dubbio che l’uomo, un po’ costretto dalla situazione, un po’ per sua scelta, sia cambiato, in particolare rispetto al diventare una figura significativa per i figli, anche piccoli, attraverso il gioco, la tenerezza e una sua maggiore presenza. Non altrettanta sicurezza e disinvoltura ha acquisito nei confronti delle mogli maggiormente emancipate e più autonome ed è questo che, probabilmente, ha prodotto questo diffuso senso di smarrimento negli uomini di cui Mario parla.

Se è vero che da molto tempo è obsoleta la metafora di chi "porta i pantaloni" in casa, ma non è ancora chiaro come si possano condividere le vicende familiari e i ruoli professionali in modo armonico. Se l’uomo oggi si sente il "sesso debole", si produrranno nelle famiglia le stesse incertezze che avevano i figli quando tale prerogativa era della parte femminile; con l’aggravante che la società non sembra sostenere con empatia uomini che si presentano, oggi, inspiegabilmente deboli. La soluzione non è facile e non è generalizzabile, ma la condivisione dovrebbe nascere dal sentimento reciproco di rispetto e di accettazione dei bisogni l’uno dell’altra.

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:34

Sulle famiglie ricostituite (Prof. Maurizio Andolfi)

 

Sulle famiglie ricostituite

Nella società odierna si assiste a un crescente numero di rotture familiari sia in una fase precocissima di costituzione della coppia (tra il primo e il terzo anno di matrimonio), che in una successiva (dopo il quindicesimo anno).

Questo fenomeno di disgregazione familiare si può spiegare da un punto di vista evolutivo. Purtroppo la nascita di un figlio non è sempre un elemento di unione coniugale, soprattutto laddove i due coniugi sono totalmente impreparati ad assumersi la responsabilità di una famiglia o immaturi sul piano della propria crescita personale.

Fenomeno altrettanto critico è "l’uscita di casa" dei figli o quantomeno la condizione di convivenza con figli adolescenti. In questa situazione evolutiva la coppia deve fare di nuovo i conti con se stessa e con la propria capacità di trasformarsi e ritrovare un interesse autentico di coppia senza più terzi da accudire.

Le famiglie ricostituite si fondano proprio sullo scioglimento del nucleo familiare originario, in particolar modo in queste due situazioni; prevalentemente si tratta di madri giovani con figli piccoli, che si legano a un nuovo compagno oppure di famiglie più complesse con la presenza in casa di adolescenti provenienti dal precedente matrimonio di uno o dell’altra o di entrambi.

Spesso vengono richiesti interventi di psicoterapia per i problemi insorti in un figlio; generalmente lo spunto può essere un disturbo psicosomatico, comportamentale o scolastico di un bambino piccolo nel primo caso, mentre nel secondo si può trattare di un problema più serio e strutturato in un adolescente (ad esempio, comportamento violento a casa o a scuola, uso di droga, dipendenze alimentari, ecc.).

Sarà compito del terapeuta aiutare le famiglie ricostituite a ritrovare il "bandolo della matassa", ovverosia comprendere e lavorare attivamente su tensioni familiari attuali, su quelle che possono invece scaturire da separazioni coniugali precedenti non sufficientemente concluse, sulle difficoltà che possono insorgere tra le famiglie d’origine o tra i figli dell’uno o dell’altro coniuge.

Se si affronta il problema familiare a monte sarà più facile risolvere le difficoltà presentate da un figlio.

Chi ha esperienze di lavoro terapeutico con famiglie ricostituite sa bene quanto i sintomi di un bambino o di un adolescente riflettano le difficoltà della coppia di nuova costituzione, spesso confuse o sovraccaricate dalle vicende coniugali precedenti e dal modo in cui ci si è riusciti a separare.

Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:33

TERESA E L'ARTE DEL DIALOGO (Prof. Maurizio Andolfi)

TERESA E L'ARTE DEL DIALOGO

"Sono madre di famiglia e nonna, ciò che scrivo è condiviso anche da mio marito.

Abbiamo avuto tre figli, una femmina e due maschi.

Sono tutti sposati ed hanno dei bambini.

Non credo nelle situazioni ideali ma credo nelle situazioni vivibili e perciò abbastanza soddisfacenti.

Nel caso di queste tre coppie nutro delle perplessità, non mi sembra che sappiano comunicare, non credo che parlino mai "per sentimenti", indubbiamente non si riservano degli spazi per loro-coppia.

Sono pessimista? Realista?

Esiste l’arte del dialogo? La si può apprendere? "

Teresa G.

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Uno dei problemi più difficili per la generazione di adulti maturi (genitori o nonni) è quella di accettare che il costruirsi e l’evolversi delle nuove coppie (quelle dei figli) parta dai presupposti affettivi, organizzativi e sociali assai differenti.

Noi adulti maturi siamo cresciuti nell’ideale che parlare dei sentimenti sia un modo per conoscersi e per approfondire un rapporto di intimità. Oggi si parla molto di meno, ma si riescono a comunicare sentimenti e sensazioni attraverso canali indiretti: attraverso le cose, programmi concreti, internet, ecc. Molte persone hanno più facilità a farsi conoscere senza guardarsi negli occhi o tenersi per mano, come invece è accaduto per molti di noi delle generazioni precedenti.

Il dialogo non esisteva poi tanto neppure nelle famiglie cosiddette "più unite", che spesso, lo erano più per mostrare una bella facciata che nella realtà.

Il dialogo con i figli, poi, esisteva pochissimo ed era spesso sostituito da una serie di regole e di "consigli di vita" da dare ai figli, così da farli crescere sani e ben protetti.

Oggi tutto ciò è saltato e quindi il dialogo, se deve realizzarsi, deve partire da situazioni di ascolto reciproco, in cui non solo gli adulti chiedono ai figli e i figli devono parlare di sé con i genitori, ma, ad esempio, anche i genitori possono far conoscere ai figli le loro debolezze, idiosincrasie, ambivalenze, ecc., cose su cui si preferisce tenere il più ampio riserbo, anziché vedere tutto ciò come una forma di scambio affettivo.

Il dialogo è quindi senz’altro l’arte di incontrarsi in un territorio intermedio, dove si apprende gli uni dagli altri.

Prof. Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:31

L'intimità della coppia (prof. Maurizio Andolfi)

 

L'intimità della coppia

Un cammino di conoscenza, accettazione di sé, accettazione dell’altro, dialogo profondo, intimo

Perché si realizzi una vera intimità di coppia è necessario che si superi l'antico detto "sei la mia metà" e si ragioni piuttosto in termini di "due interi" che si incontrano.

Abbiamo spesso lavorato con coppie dove la scarsa differenziazione dell'uno era complementare a quella del partner. Quindi il primo problema non è a livello di coppia, ma riguarda ogni singolo adulto e la sua modalità di essere se stesso all'interno del suo mondo di affetti e di relazioni sociali.

La vera palestra di realizzazione della propria individualità è la famiglia in cui si nasce e la capacità di separarsi bene e in modo relativamente completo dalle proprie famiglie di origine.

Se si rimane in condizioni di dipendenza, di intimidazione nei confronti dei propri genitori e non si acquisisce un Io adulto, è molto difficile poter stabilire rapporti di intimità a livello coniugale. Se invece si riesce a fare il salto e a portare con sé i propri valori familiari (tradizioni, miti, valori religiosi, ecc.) come una vera e propria dote è più facile che ci siano le premesse per un cammino autentico di conoscenza

Costruire e mantenere una relazione intima è difficile ed entusiasmante allo stesso tempo: è necessario però nutrire il rapporto e rinnovarlo continuamente per evitare che subentri l'abitudine e la routine.

I figli, se non usati male, sono una risorsa inesauribile di creatività e di gioco con cui alimentare la propria conoscenza di coppia.

Prof. Maurizio Andolfi

 

Il piacere come forza creativa

Raggiungere il piacere richiede che ciascun partner sia capace di liberarsi di ogni forma di compiacimento di se stesso (piacere narcisistico) per incontrare l’altro in un territorio adulto condiviso che potremmo chiamare il terzo pianeta. Condividere un’esperienza di intimità è un atto creativo che scaturisce dalla capacità di mettersi a nudo con se stesso e con l’altro, senza ricorrere al meccanismo assai comune della mutua protettività (il cosiddetto rischio calcolato che per altro perde ogni carattere di reale ricerca dell’altro).

Molti partner vivono insieme per anni senza conoscersi perché hanno sostituito allo scambio autentico una modalità di rispetto formale, basato sul non dirsi mai quello che si pensa dell’altro e quello che si sente nel rapporto: il tutto nascosto dietro una "facciata di coppia" ben funzionante e socialmente integrata, salvo poi a scoppiare improvvisamente in modo apparentemente imprevedibile. Questo forse è il motivo per cui spesso all’esterno si sente dire: era una gran bella coppia, proprio non riusciamo a capire cosa sia successo!

Due sono i meccanismi più comuni che impediscono la costruzione di un rapporto autentico basato sulla curiosità reciproca e sulla condivisione della creatività di ciascuno : da un lato la routine con tutto il suo corredo rassicurante e ripetitivo di riti di coppia: orari , visite programmate alle famiglie, impegni fissi ecc.; dall’altro l’aspettativa magica che la coppia sia un dispositivo perfetto capace di rispondere e di contenere tutti i problemi del mondo e le reciproche contraddizioni.

Se si riusciranno a fare errori e a condividerli si potrà anche sognare di essere una coppia meravigliosa perché la grandiosità di tale progetto sarà costantemente guidata e ridimensionata dal principio di realtà e dalla accettazione delle proprie debolezze, che una volta riconosciute diventeranno risorse creative e arricchenti.

Prof. Maurizio Andolfi

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