Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 66

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Visualizza articoli per tag: Aspetti Psicologici della Famiglia

 

Il linguaggio dell'amore: il contatto fisico - comprensione dei bisogni - saper vedere insieme

La coppia è senza dubbio l’area più fondamentale e nevralgica dell’intera costruzione familiare, perché è in essa che si concentrano responsabilità affettive, collusioni intergenerazionali e processi parziali o incompleti di separazione dalle rispettive famiglie di origine.

Per raggiungere una posizione armonica di coppia è quindi necessario riuscire a tutelare l’area dell’intimità a due da "invasioni intergenerazionali" provenienti sia dal piano dei genitori e della famiglia estesa in senso lato che da quello dei figli. Allo stesso tempo ci sembra necessario che ciascun partner della coppia sia in grado di condividere e di sentire i bisogni affettivi dell'altro senza rinunciare all'espressione dei propri; se si riesce a conservare un buon livello di reciprocità relazionale sarà possibile mantenere integra la propria identità di genere senza sopraffare o prevaricare l'altro, e questo sarà il linguaggio più autentico dell’amore maturo.

Il maschile e il femminile sono proprietà di genere che ciascun individuo esprime con modalità e tempi differenti a seconda dell’età, della cultura, del contesto sociale, politico e religioso di appartenenza. Sarà pertanto necessario osservare e comprendere quelle regole di relazione e quei segnali emozionali che potremmo chiamare 'universali', distinguendoli da quelle regole di rapporto specifiche e peculiari di una particolare cultura. Sarà pertanto importante apprendere il linguaggio non verbale degli occhi, del corpo, dei gesti ed attraverso di esso sentire come in famiglie e culture diverse viene rappresentato l’essere uomo e l’essere donna.

Al giorno d’oggi i tempi di stanchezza di una coppia sono molto accelerati, come se quella passione che in genere scatta nella costruzione di un rapporto sentimentale sia frenata da tanti ostacoli, alcuni interni al rapporto stesso, altri che vengono più dal mondo esterno. Tra i primi ci sembra che uno sia legato alla competizione che spesso serpeggia tra due adulti coetanei, che mina la maturazione di quell’intesa profonda e di quel senso di complicità che sono ingredienti fondamentali per una vera intimità. Il problema è sentirsi capaci di prendere e dare nel rapporto sentimentale a livello profondo, aiutarsi a entrare in un rapporto più autentico basato sulla collaborazione e sulla accettazione l’uno dell’altra. Per quanto riguarda gli ostacoli esterni è fuor di dubbio che è difficile ricercare rapporti profondi e sinceri, che richiedono un rischio personale, in una società che premia sempre di più l’immagine, la prestazione di successo e le relazioni ‘usa e getta’.

Prof. Maurizio Andolfi


Vedi anche:  la rassicurazione - i momenti speciali - la collaborazione

Giovedì, 18 Novembre 2004 13:50

La crisi economica (Prof. Maurizio Andolfi)

 

La crisi economica

In questi giorni si parla spesso di crisi economica come di un fattore che solleva importanti ripercussioni anche sulle relazioni all’interno del contesto familiare, nonché sulla vita dei singoli. Secondo recenti statistiche, gli italiani figurano infatti ancora una volta come i più "mammoni" tra gli europei; in ambito nostrano, cioè, si è, ora come allora, ancora molto restii ad allontanarsi dal nido parentale.

Tuttavia, aldilà degli stereotipi cultural-comportamentali, oggi sembra che, in gran parte, simile tendenza sia frutto della crisi economica e del conseguente caro-vita, che impedisce ai giovani di affrancarsi dal legame familiare. La permanenza nella famiglia d’origine, che, un tempo, costituiva una scelta di comodo, si starebbe così tramutando in una scelta obbligata. In un contesto in cui per i giovani è sempre più difficile perseguire l’indipendenza economica, ed in cui la laurea vale quanto un diploma, la famiglia finisce dunque con lo svolgere la funzione di "salvagente" e col farsi carico del mantenimento dei figli ben oltre il completamento degli studi universitari, fino alla specializzazione e, talvolta, persino fino al conseguimento dell’autonomia economica. Come si può immaginare, simile situazione non è del tutto scevra di conseguenze, poiché questo prolungamento della "protezione" familiare presuppone la tacita sottoscrizione di un patto che vincola i figli, un domani, a ricambiare il favore ai genitori anziani, creando così un guinzaglio affettivo che soffoca proprio la carriera che vorrebbe favorire.

In questo contesto, se la condivisione di un appartamento con colleghi o coetanei non per tutti rappresenta una soluzione ottimale, per alcuni il rimedio reale consiste, ancora una volta, nel tentare la fortuna all’estero, magari in America, come i nostri "antenati" del Bronx.

Prof. Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 13:49

L'omologazione (Prof. Maurizio Andolfi)

 

L'omologazione

La diversità è l’elemento più costitutivo delle relazioni umane ed è proprio attraverso le differenze che possiamo accrescere la nostra conoscenza della realtà che ci circonda. Ci si può accostare all’estraneo, a chi cioè non si conosce ancora, con modalità profondamente diverse: la diversità è come un "oggetto misterioso" che può suscitare le più svariate emozioni: ci si può connettere ad essa con diffidenza, con indifferenza, con paura, oppure si può entrarvi in contatto con curiosità e interesse, con la consapevolezza che, nella misura in cui non è già parte del nostro patrimonio conoscitivo, la diversità può, proprio per questa ragione, arricchirlo.

Questa realtà sembra però messa a dura prova nella società attuale, in cui il procedere della globalizzazione porta ad una crescente omologazione dei modelli e degli stili di vita. In questo contesto, in cui al "diverso" si associano connotazioni sempre più spesso negative, l’omologazione diviene invece una facile via d’accesso all’accettazione e al riconoscimento sociale.

Ciò rischia tuttavia di privarci di quelle molteplici risorse che sono insite nelle diversità, risorse che andrebbero invece coltivate stimolando, in tutti gli ambiti del sociale, lo sviluppo di una cultura che sappia apprezzare l’"altro", ponendolo in condizione di rivelare ed adoperare al meglio le sue peculiarità a beneficio dell’intera comunità, in un rapporto di scambio reciproco.

Avvicinarsi all’altro con curiosità, sgombrando la mente dal pre-giudizio e disponendosi ad un’esperienza di incontro e di arricchimento è un atteggiamento che va quindi sicuramente sviluppato, soprattutto in una società come la nostra, che sta rapidamente trasformandosi in società di immigrazione, ospite di altre culture con le quali dovremo imparare presto a convivere.

Prof. Maurizio Andolfi

Ci sono diversi modi di intendere e di vivere la solitudine: essa può derivare da esperienze di emarginazione familiare e sociale, o può essere ricercata e vissuta come momento di riflessione e di crescita individuale. La solitudine, di per sé, non ha quindi un’accezione positiva né negativa.

Aspetti psicologici

Sconfitta e fallimento in famiglia, oggi.

Strategie di superamento

di

Paolo Tolomelli

Reggio Emilia

- Alcuni quadri di difficoltà, tratti dall’esperienza quotidiana.

- È possibile trovare un filo conduttore, per tentare di ridurre il danno?

- Una prima valutazione: la stanchezza.

- Dedicare più tempo all’educazione della persona.

- Allenarsi all’autocritica costruttiva.

- Cercare il senso della nostra esistenza e aprire, a noi e agli altri, nuovi orizzonti.

Alcune scene realmente avvenute :

- Durante una cerimonia nuziale, in una chiesa sovraffollata di luci e deliziosamente ornata di fiori. La madre della sposa, mentre i due protagonisti, commossi si scambiano sguardi affettuosi, sussurra sconsolata: "Perché non può durare così per sempre?"; è una donna provata da tante delusioni. Fa pensare al desiderio di Pietro sul monte della trasfigurazione di Gesù (cf Mt 17,4).

- In consultorio. Alla domanda: "Risposerebbe il coniuge attuale?", la risposta è spesso negativa o comunque – se discretamente disponibile – condizionata da preventivi drastici cambiamenti da parte dell’altro. Traspare il convincimento di non aver incontrato la "persona veramente giusta…l’anima gemella".

Non si rifiuta – di solito – il matrimonio in sé.

- Nello svolgersi di consulenze di coppia. Parecchi lamentano: "Mio marito/mia moglie non mi capisce…non si rende conto di quel che sopporto…pensa soprattutto/solo a sé".

Il coniuge si difende; a volte ribalta sul partner le stesse lagnanze/accuse; adduce spesso come legittime giustificazioni esigenze di lavoro obbiettivamente pesanti, sostenute e faticosamente portate avanti "per la famiglia". Pochi sono sfiorati dal dubbio che tale situazione di incomprensione e di sofferenza reciproca sia stata facilitata o determinata da una sostanziale impreparazione alla vita coniugale e familiare, impreparazione che può essere seriamente peggiorata dal narcisismo.

- In incontri occasionali, su mezzi pubblici, durante abituali attività quotidiane…Ci si sente dire: "Non ce la faccio più!". È un’esclamazione desolata e tristissima di tante persone persuase di essere coinvolte in una sconfitta esistenziale irreversibile, senza rimedio, la cui causa è solitamente attribuita alla carenza di tempo e di spazio necessari per far fronte alle numerosissime aspettative degli altri (coniuge, figli, genitori e suoceri, istituzioni sociali…). Assai raramente ci si interroga in modo sereno e obbiettivo sullo stato d’animo e sul metodo coi quali ci si accosta a tali compiti.

UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE,

PER AIUTARE A RECUPERARE LA PIENEZZA DI VITA

Esiste un filo conduttore, un denominatore comune per interpretare i quadri descritti e risolverli , almeno parzialmente? Di certo abbiamo in noi il desiderio profondo di vivere in pienezza; abbiamo l’attesa che la nostra vita sia gratificante; desideriamo amare ed essere amati; non di rado però rimaniamo sommersi dall’onda montante delle delusioni.

Per distaccarci dalla palude in cui esse stagnano e proliferano, sarà opportuno iniziare da una valutazione – prima personale e di coppia, poi con gli altri: figli ecc. – della nostra "stanchezza", oggi ben comprensibile con tanti doveri e aspettative incombenti. Può trattarsi di psicoastenia, di uno stato fisico non ottimale, di un calo delle motivazioni che prima ci avevano attivato e sostenuto ; a volte ci sono cause relazionali, morali, spirituali…

È ovvio che i provvedimenti da prendere sono specifici; mi limito ad osservare, quale esempio per le cause fisiche, che non si è ammalati soltanto quando si ha la febbre: a volte un po’ di vacanza è indispensabile, necessaria più di un antipiretico, di un antibiotico…Si tratta comunque di fenomeni che dimostrano come la scelta del matrimonio non è una risposta ad una vocazione di mediocrità, improvvisata e di semplice realizzazione. Per questo il tempo del fidanzamento è prezioso ( "di grazia" ), in quanto tempo di verifica e di preparazione: verifica della maturità psico-affettiva propria e del partner, della capacità di integrare il principio del piacere con il principio di realtà con il discernimento fra l’io ideale e l’io reale accettando – non solo nelle intenzioni e nei buoni propositi – le nostre inadeguatezze; tempo di preparazione alla capacità di donarsi con una fortezza d’animo ed una pazienza attiva e fedele che non sono innate né facili da conseguire, bensì sono il frutto di un lungo e quotidiano esercizio.

È certo che le sconfitte (da non catalogare mai definitive o irreparabili!) si possono imputare a svariate cause; tra esse è sicuramente importante la mancanza di una costante e metodica educazione della persona fin dalla nascita da parte della famiglia e della società, con carenze di aiuti adeguati. Forse – per quanto concerne il rapporto genitori-figli – la distinzione e l’utilizzo del nostro tempo è proprio da rivedere, se è attendibile la conclusione di una recente ricerca secondo la quale i genitori (soprattutto i papà) dedicano al dialogo – non sempre affettivo – coi figli soltanto otto miseri minuti al giorno.

Ma non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi, in prima persona, deve allenarsi all’autocritica costruttiva, non banalizzando i numerosi e complessi problemi contemporanei né autosvalutandosi (l’umiltà è un’altra cosa: è una virtù), ma adoperandosi ad attuare un’ equilibrata correzione dei propri limiti ed una fiduciosa attivazione delle proprie doti positive. Tutto ciò con autenticità e, nei rapporti con gli altri, con empatia e spirito di condivisione. Avendo ben chiaro che l’autenticità consiste nel saper esprimere le proprie emozioni (che non sono segno di debolezza o di cattiveria) con obbiettività, rimanendo noi stessi, in armonia con i propri desideri e con le proprie convinzioni; è appena il caso ricordare che l’autenticità non va confusa con la maleducazione o col movimento di un elefante in un negozio di cristalleria. Analogamente l’empatia consiste nella capacità di percepire lo stato emozionale ed i pensieri – oltre che le parole – dell’altro senza perdere la propria identità. A sua volta, condividere non vuol dire approvare, ma comprendere, immedesimarsi nell’istanza.

RICERCARE IL SENSO DELL’ESISTENZA

Il desiderio dell’autorealizzazione – in sé buono e legittimo, oggi però sovente enfatizzato dai bisogni soggettivi – reso più arduo da una stressante competizione nel lavoro e da molteplici impegni nella società, sta determinando profonde frustrazioni intrapsichiche ed inoltre forti lacerazioni nell’ambito delle relazioni interpersonali; ciò alimenta i disturbi comportamentali e di personalità, in preoccupante aumento specialmente fra i giovani, nonché una esasperazione dei conflitti in ambito familiare e comunitario.

Credo che il rimedio debba partire dalla diagnosi accurata della situazione, senza perdersi in recriminazioni inutili né in accuse sterili, ma sforzandoci di distinguere la realtà oggettiva dalle elaborazioni soggettive. È opportuno ricordare che nessuno di noi è immune dal naufragio, altrimenti albergheremmo una presunzione nascosta: la sconfitta e il fallimento appartengono infatti alla condizione umana.

K.Jaspers parlò di "naufragio esistenziale" e affermò che il nostro essere è l’ "essere qui", l’ "esistere con altri".

È necessario quindi cercare il senso della nostra esistenza; bisogna scoprirlo, - non fantasticarlo – anche all’interno di noi stessi con creatività costruttiva, attivando le nostre potenzialità; bisogna capire le circostanze e le interrogazioni della vita…e rispondere, crescendo a livello interiore, attraversando momenti di crisi: sono momenti produttivi, perché c’è una maggiore maturità ed armonia da conquistare, perché in quelle circostanze, in quei frangenti si deve scegliere, cercando di aprire a noi e agli altri nuovi orizzonti, in modo ipotetico, non moralizzante, rispettando le diverse visioni e utilizzandole per un arricchimento reciproco.

È questo, in fondo, il quotidiano cammino – progressivo e paziente – che ci esorta a fare la fede cristiana.

                                                                                                                                                                    Paolo Tolomelli

                                                                                                                                                                   da "Famiglia domani" Aprile-Giugno n°2/2000

Pagina 9 di 9

Search