Famiglia Giovani Anziani

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Da cosa liberarsi e cosa recuperare dall’educazione ricevuta per entrare in rapporto con la diversità dell’altro e rispettarne l’alterità?

La costruzione di un rapporto di intimità adulto richiede non soltanto rispetto e complicità a livello coniugale, ma deve tenere necessariamente conto dei modelli evolutivi appresi da ciascun partner all’interno della propria famiglia d’origine.

La problematica relativa ai modelli educativi non riguarda soltanto quale indirizzo scolastico scegliere per un figlio e più tardi quale facoltà universitaria o a quale lavoro indirizzarlo; riguarda anche l’intera impalcatura relazionale e affettiva dei due coniugi, racchiude al suo interno un cocktail di elementi assai variegati, che possono diventare esplosivi se non sufficientemente compresi e condivisi dai due coniugi. Ha anche a che fare con la trasmissione dei miti familiari da una generazione alla successiva; ad esempio molte "vocazioni" lavorative o professionali vengono "imposte" ai figli in quanto discendono da un nonno importante che svolgeva in maniera del tutto straordinaria una determinata attività, oppure l’atteggiamento sacrificale trasmesso al genere femminile di una nonna che non aveva potuto soddisfare il suo desiderio di studio e di realizzazione personale per essere totalmente disponibile nei confronti del marito e dei figli.

In altri casi ci possono essere comportamenti alternativi e polemici con quelli che sembrano essere stati "assegnati" dalle famiglie d’origine. E’ indubbio che l’educazione ricevuta racchiude al suo interno quei valori culturali, religiosi e morali che hanno fondato la crescita di ciascun adulto fin dalla sua infanzia. Questo patrimonio educativo verrà portato "in dote" al momento di sposarsi e indubbiamente rappresenterà un arricchimento nella vita relazionale della coppia nella misura in cui entrambi saranno in grado di apprezzare e rispettare i valori dell’altro.

Per concludere bisogna cercare di liberarsi da quegli aspetti educativi che sono percepiti come coercitivi della propria libertà di espressione, ma allo stesso tempo utilizzare quegli aspetti che ci fanno sentire bene e che possiamo scambiare con piacere con l’altro.

Prof. Maurizio Andolfi 

 

La sincerità verso se stessi

E’ molto più facile riconoscere e accettare il tradimento verso un coniuge o verso un figlio che non tradire se stessi, ma perché è così difficile essere realmente sinceri nei confronti della propria coscienza personale? Innanzitutto perché stereotipi culturali e sociali tendono a farci pensare che bisogna sempre fare i conti con gli altri, trovando modi corretti di comunicare e interagire con il prossimo. Lo stesso concetto di "altruismo" spesso porta a pensare che bisogna fare di più per gli altri che nei confronti di se stessi, a volte si arriva persino a fare troppo per il coniuge, per i figli, per i propri familiari, per il proprio lavoro, per evitare di doversi confrontare con l’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso. Tra l’altro una persona svuotata del suo nutrimento interno come potrà nutrire il prossimo?

Il modo migliore per essere sinceri con se stessi è di imparare a conoscersi, a creare nelle diverse fasi del proprio sviluppo un dialogo interno in cui ci si possa chiedere, ad esempio, "chi sono io?", al di là della domanda "che cosa sto facendo?"

Winnicott, uno psicanalista anglosassone, ha descritto la costruzione di un falso Sé come l’elemento più dannoso nel difficile percorso di riuscire a conoscersi. Il falso Sé è come una sorta di immagine falsa e superficiale che serve a coprire le parti più vulnerabili e meno difese di ciascuno di noi. Essere sinceri verso se stessi significa riconoscere i propri limiti così come le proprie risorse in ogni momento della nostra vita di relazione.

Spesso nella stessa scelta del partner si può rischiare di andare alla ricerca di qualcuno che invece di aiutarci a scoprire i propri autoinganni finisca per coprirli anche con i suoi. Si uniscono così due personalità insincere per evitare di essere confrontati con il test più difficile della vita ovverosia con il giudizio nei confronti di se stessi.

Se invece, come per fortuna avviene spesso, una persona riesce ad avere un buon rapporto con se stessi, che non sia né troppo lasso né troppo intransigente e a poter guardare alla propria immagine di sé con simpatia e con un pizzico di umorismo è probabile che riesca a trovare un partner e a stabilire relazioni basate sulla stima reciproca e sulla crescita in comune.

Prof. Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:03

Un amore adulto (Prof. Maurizio Andolfi)

 

Un amore adulto

Sogno e realtà, dipendenza ed autonomia, intimità ed apertura agli altri, aspetti da integrare per passare da un amore infantile ad un amore adulto.

= Sognare a occhi aperti è un'attività esclusiva dell'adolescenza o può esistere anche in età adulta? = Un amore può essere romantico e rimanere tale quando si supera la fase dell'innamoramento e si costruisce una relazione stabile e duratura nel tempo? = Un amore adulto esclude o include relazione e apertura agli altri?

Non è facile rispondere a questi quesiti, anche perché non esiste una ricetta universale. Tuttavia quello che frequentemente constatiamo nell'ascoltare coppie che hanno vissuto a lungo insieme è che al sognare a occhi aperti e ai gesti romantici si sono via via venuti a sostituire l'abitudine e la noia. Su tratta allora di un destino inevitabile legato all'usura della coppia, oppure il tempo non ha permesso il passaggio da una forma ideale, fusionale, adolescenziale di un amore a una forma di intimità vera? Quest'ultima però sembra realizzabile soprattutto se il rapporto riuscirà ad alimentarsi con ingredienti speciali come la creatività, l'inventiva, la condivisione dei progetti comuni (figli, lavoro, tempo libero, ecc.) che finiscono per dare il sentimento dell'essere sempre in due nelle diverse esperienze di vita.

Spesso si sottovaluta anche l'importanza delle cosiddette situazioni negative che si presentano nella storia dello sviluppo di una coppia. Di fatti non è sempre attraverso situazioni piacevoli (viaggi, vacanze, feste, ecc.), pur se necessarie, ma è soprattutto la condivisione di momenti difficili (come malattie, perdite, lutti, difficoltà economiche, ecc.) che cementa l'intimità di una coppia.

Maurizio Andolfi

 

Ricerca nell’altro di ciò che non esiste: perfezione, soluzione dei problemi, eterna luna di miele, rifugio ideale. Perché?

Conosci te stesso: la celebre frase scritta sull’oracolo di Delphi è sempre stata considerata da molti una delle più belle sintesi alla quale è giunto il pensiero occidentale. L’autore è Socrate, che, nella sua vita e nei suoi pensieri, ha dimostrato di essere arrivato ad una notevole semplicità e profondità nella conoscenza della spiritualità dell’uomo.

Che fine ha fatto nella nostra società odierna questo motto così profondo? Sembra che, soprattutto nella relazione di coppia si ricerchi nell’altro quello che ci si è dimenticati di ricercare al nostro interno.

L’altro viene investito di una serie di responsabilità morali e operative, deve diventare così un modello di perfezione per coprire tutte le nostre incertezze e deve risolvere i problemi per aiutarci a non scegliere il nostro percorso individuale.

Un autore americano L. Wynne parla di pseudo mutualità di coppia proprio per indicare una sorta di reciprocità falsata, dove non si scambia quello che uno ha e quello che uno è, ma si aspetta che dall’esterno vengano sempre le risposte. Questo è il motivo per cui quando e se arriva il momento della verità, l’incastro di coppia non funziona più e ciascuno dei due partner si ritrova solo con un quesito irrisolto: "Chi sono io?"

In un momento come quello attuale, così tragico per l’umanità, si ripetono su larga scala, a livello di macrosistemi, quello che in piccolo avviene spesso nel microcosmo della famiglia: esiste una verità ufficiale come "salviamo il debole", ma al contempo ne esiste un’altra assai più cruda e implicita (anche se spesso taciuta): "voglio fare i miei interessi". Realtà falsate e contraddittorie esistono sia nei momenti drammatici delle guerre ingiuste, come nei momenti altrettanto drammatici, ma più privati, delle guerre di coppia all’interno della famiglia, quando il sopraffare l’altro diventa più importante che trovare dei punti di intesa.

E’ importante conoscere se stessi, apprezzare i propri valori, ma al contempo conoscere e accettare i propri limiti fatti di debolezze, di contraddizioni e di tante paure non completamente risolte. Se si conosce se stessi si riesce ad avere un atteggiamento benevolo e accettante verso gli stessi "doni" che porta l’altro nel rapporto.

Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 13:58

Rumori di guerra (Prof. Maurizio Andolfi)

 

Rumori di guerra

Spesso ci chiediamo perché sia aumentata la violenza nella nostra società, spesso ci chiediamo perché tante relazioni coniugali iniziano con l’amore e terminano con la guerra, spesso ci chiediamo perché ci siano tante forme gravi di abuso all’infanzia o nei confronti della donna, spesso ci chiediamo perché in tanti paesi gli studenti vadano a scuola armati.

Troppo poco colleghiamo queste vicende domestiche, familiari o scolastiche alla cornice ampia di violenza tra intere popolazioni e di guerre che tendono a ristabilire l’ordine con l’antica legge del singolo, dove il più grande divora il più piccolo. Non soltanto, oggi, abbiamo le guerre in diretta, dove l’ascolto s’innalza quanto più crude e violente sono le immagini che vengono mostrate attraverso i canali televisivi, ma ancor più grave della guerra è il senso di smarrimento di ogni presupposto etico. Oggi il concetto del patriota o del partigiano, ovvero di qualcuno che rischia la propria vita per difendere il proprio paese o la propria causa, è sostituito da un’idea molto più mercenaria e basata su altri presupposti, ad esempio si inviano 1.500 ragazzi del Guatemala a rischiare la pelle in una guerra di invasione con la prospettiva di dar loro la cittadinanza negli Stati Uniti, oppure si baratta con il rischio della pelle l’accesso gratuito in un’università americana per chi non ha mezzi economici per iscriversi.

Oggi assistiamo ad una nuova e più sofisticata forma di legge straniera, pronta a seguire ordini per un tornaconto più privato e a difendere pozzi e a disinteressarsi alla difesa dei musei e delle biblioteche; insomma assistiamo a un mondo in cui, attraverso le guerre, il benessere di alcuni paesi si moltiplica e la povertà della stragrande maggioranza di altri si ingigantisce al punto che si muore per l’acqua che non c’è o per la carestia.

Dov’è finita l’idea di solidarietà umana e di una crescita armonica dei popoli che vivono su questo pianeta? Quando riusciremo a non farci globalizzare il cervello e a rifiutare la legge del più forte?

Maurizio Andolfi

 

L'inefficienza del sistema scolastico

Ho curato, un anno fa, un volume sull’adolescenza (M. Andolfi, P. Forghieri Manicardi (a cura di) Adolescenti tra scuola e famiglia, Cortina ed., Milano, 2002) tra scuola e famiglia, all’interno di questo volume ho anche scritto un contributo dal titolo "S’io fossi foco…la scuola prigione della creatività". Sarebbe molto utile per i lettori di questa rubrica poter leggere questo testo, che è scritto con un linguaggio accessibile a tutti. Brevemente, in questo lavoro metto in luce le gravi carenze del nostro sistema scolastico e non mi riferisco tanto al materiale didattico, ai luoghi o alle forme di insegnamento, ma piuttosto al modo assolutamente inadeguato in cui lo studente, fin dalla scuola materna, fin dalla scuola elementare, fin dall’università viene sollecitato a pensare in modo critico e autonomo. In questo senso non mi riferisco tanto a riflettere sulle materie di studio quanto piuttosto alla possibilità di sollecitare la creatività, che è un patrimonio presente in ogni bambino e in ogni minore in età evolutiva.

La scuola andrebbe ripensata, chiedendosi in che cosa realmente consiste un processo educativo. Se uno studente è un recipiente passivo di contenuti che gli arrivano sempre dall’alto e dal di fuori, il massimo risultato può essere soltanto un’acquisizione più o meno organizzata o "appiccicata" di nozioni, se il processo educativo fosse realmente circolare e basato sulla relazione alunno-docente, ben diverso sarebbe il percorso.

Non va inoltre dimenticato il contesto del gruppo classe, che rappresenta l’elemento sostanziale su cui si forgia l’apprendimento e la crescita, sia quella mentale che quella sociale.

Per rifare la scuola non basta una riforma di questo o quel ministro, ma va piuttosto ridata voce ai bambini e agli adolescenti, una voce che esprima i loro bisogni, i loro pareri sul mondo dei grandi, le loro aspettative, nonché le loro passioni.

S’io fossi foco ... brucerei l’impianto burocratico del nostro sistema scolastico, che purtroppo non è soltanto presente nelle carte, ma anche e soprattutto nella testa dei nostri politici, degli insegnanti e spesso anche delle famiglie.

... brucerei l’impianto burocratico del nostro sistema scolastico, che purtroppo non è soltanto presente nelle carte, ma anche e soprattutto nella testa dei nostri politici, degli insegnanti e spesso anche delle famiglie.

Prof. Maurizio Andolfi

 

Autoritarismo

permissivismo inopportuno

genitori ... fraterni

Se è vero che la generazione dei cinquantenni porta su di sé i segni di un’educazione paterna di tipo autoritario o spesso decisamente abusiva, è altrettanto vero che la rinuncia a una funzione paterna autorevole nelle nuove generazioni sembra produrre anch’essa notevoli danni nei confronti dei figli.

Il passaggio da una figura paterna distante, che non era mai fisicamente disponibile e che ha rappresentato lo spauracchio serale per molti figli ("lo dico a papà stasera quando torna", frase frequentemente proferita dalle madri), al genitore amico dei figli o al "mammo" ci sembrano risposte piuttosto insoddisfacenti.

La scommessa del ruolo paterno è ancora legata a ricercare un’autorevolezza che non cade nei due estremi sopradetti; quello del "niente è permesso" e quello del "tutto è permesso".

E’ indubbio che una funzione siffatta richiede il massimo del consenso da parte di tutti i componenti della famiglia, in primis della madre, che deve credere in una competenza paterna giocata nel seguire un processo educativo e di crescita dei propri figli e che richiede la costruzione di un’area di condivisione totale nel territorio della prole.

Ma pur cambiando i ruoli intrafamiliari questa nuova dimensione paterna rimarrà asfittica, se non cambiano i dettami sociali sull’essere uomo e l’essere donna nella società moderna.

L’autorevolezza paterna, perché arrivi, richiede che venga sancita non solo in famiglia, ma a livello istituzionale.

Prof. Maurizio Andolfi

 

Famiglia e disturbi ...dell'anoressia, del comportamento e della personalità, dell'identità

In queste ultime decadi stiamo assistendo ad un aumento della patologia della dipendenza all’interno delle famiglie italiane. Da un lato, soprattutto per ciò che riguarda l’adolescenza maschile, abbiamo assistito ad un aumento di comportamenti violenti sia verso se stessi (vedi la tossicodipendenza, alcoolismo, ecc.), sia verso gli altri (si pensi in questo senso alla violenza negli stadi e ad altre forme trasgressive di gruppo), per ciò che concerne invece il genere femminile ci troviamo di fronte ad una vera e propria epidemia sociale di disordini alimentari, dall’anoressia mentale alla bulimia, a forme estreme di obesità. Che c’entra la dipendenza in tutte queste forme di malessere giovanile? Purtroppo quei legami di dipendenza nei confronti delle figure genitoriali, così essenziali per la crescita, sono stati recisi con grave danno per l’adolescente e sono stati sostituiti da una dipendenza compulsiva nei confronti di sostanze, di alcool o di cibo.

Bisognerebbe allora comprendere meglio i segnali inviati dai minori per modificare le fondamenta e le modalità relazionali tra la generazione degli adulti e quella dei figli. Guardare un disturbo anoressico o una tossicodipendenza esclusivamente come forma di patologia individuale non ci porta molto lontano e invece sarebbe assai più utile considerare comportamenti a rischio come segnali privilegiati per modificare ciò che non funziona all’interno della famiglia. Nella nostra pratica clinica abbiamo potuto osservare che un adolescente può interrompere un comportamento distruttivo se è in grado di trovare altre risorse, sia dentro di sé che nel contesto familiare e sociale.

Allora bisognerebbe rinsaldare quei legami di appartenenza tra le generazioni attraverso il dialogo, la presenza l’accettazione di opinioni diverse, il contatto fisico. Se l’adolescente riesce a riscoprire il valore e il calore dei suoi legami familiari può rassicurarsi sulla sua stessa identità e fare scelte più costruttive.

Prof. Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 13:53

RIDEFINIZIONE DEI RUOLI: essere uomo, essere donna

Lo smarrimento maschile. Chi è mio padre? Il ruolo paterno svolto da un sconosciuto che abita in casa.

 

La famiglia come risorsa nell’approccio ai problemi dell’infanzia

La famiglia come realtà affettiva riceve una considerazione marginale nella società, è ritenuta spesso scomoda, talora pericolosa come una bomba a orologeria: tutti ne abbiamo una eppure non parliamo apertamente, perché nessuno è soddisfatto della famiglia che ha avuto, tant’è che nei discorsi sul bambino il richiamo alla parola "famiglia" va affievolendosi - anche perché non si sa più di che famiglia parlare. L’assenza di una cultura familiare comporta che le persone che si dedicano all’infanzia siano talmente concentrate sull’infanzia da percepirla come separata da tutto il resto e da non vedere, invece, che l’infanzia è relazionale e che il bambino cresce sulle relazioni.

Al bambino non servono soltanto nutrimento e protezione. La crescita abbisogna di quel nutrimento affettivo che determina la capacità di formare l’identità individuale. Ma chi favorisce la costruzione dell’identità del bambino? Oggi osserviamo i danni provocati da famiglie incapaci di favorire la costruzione dell’identità dei propri figli, danni tanto gravi che si parla spesso di adolescenza come se fosse una malattia e non la si considera più una fase del ciclo di sviluppo della persona ma quasi una forma di psicopatologia. In realtà l’adolescente "spara" i problemi che gli abbiamo dato noi, l’adolescente è il braccio armato della nostra impotenza nel farlo crescere.

Per fortuna, anche nelle famiglie più disintegrate o abusanti, il bambino mantiene una capacità di sviluppo che trova dentro i suoi geni, ovvero il sentimento di appartenere alla sua cultura familiare. Il problema, pertanto, non è quello di sottrarre i genitori al bambino, eliminando quelle figure negative o comunque immature con cui vive ma è, piuttosto, quello di trovare operatori, strutture pubbliche o private, che restituiscano alla famiglia il suo valore di risorsa.

Prof. Maurizio Andolfi

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