Ecumene

Lunedì, 15 Agosto 2005 02:24

Zohar (Il libro dello splendore) - Passi scelti (3)

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ZOHAR
(IL LIBRO DELLO SPLENDORE)

(Passi scelti)

LA PRESENZA DIVINA (SHEKHINÀ)

(I - la)

Rabbi Chizkiya inizio a dire: “Come rosa tra le spine, così è la mia amica tra le fanciulle” (Cant. II, 2). Chi è la rosa? E' la comunità di Israele. Come la rosa, che si trova tra le spine, ha in sé i colori rosso e bianco, così la comunità di Israele ha in sé il giudizio e la pietà. Come la rosa ha tredici petali, così la comunità di Israele ha tredici attributi di pietà, che la circondano da ogni parte. Anche Dio dal momento che fu ricordato per la prima volta fece scaturire tredici parole che ricordassero le comunità di Israele e la proteggessero: poi fu ricordato per la seconda volta. Perché il nome di Dio fu ricordato per la seconda volta? Per far scaturire le cinque foglie forti che circondano la rosa, che sono chiamate salvezze e costituiscono cinque porte. Di tale mistero è scritto: “Solleverò il calice delle salvezze”(Sal. CXVI, 13). Questo è il calice della benedizione, che deve essere poggiato sulle cinque dita, e non di più, come la rosa che si trova sulle cinque foglie forti, paragonate alle cinque dita. La rosa è dunque il calice della benedizione.

(I - 221a)

Rabbi Shim'on iniziò a dire: “Io sono il giglio dello Sharon, la rosa delle valli profonde” (Cant. II, 1). Come è cara la comunità di Israele al Santo, che benedetto egli sia, perché egli sempre la loda ed essa loda lui. Beato il possesso di Israele, che essi tengono in lui, nello speciale santo retaggio, come è scritto: “Poiché possesso del Signore è il suo popolo, Giacobbe è il suo speciale retaggio” (Deut. XXXII, 9).

“Io sono il giglio dello Sharon”. Questa è la comunità di Israele che sta come bellezza ed ornamento nel giardino dell'Eden. “Dello Sharon”, perché canta e loda il re eccelso.

Un'altra interpretazione dell'espressione “Io sono il giglio dello Sharon”. La comunità di Israele è il giglio che vuole abbeverarsi alle acque del torrente profondo, sorgente dei torrenti, come è scritto: “Ed il luogo arido diverrà un lago” (Is. XXXV, 7), “La rosa delle valli profonde”, perché si trova nel luogo più profondo di tutti. Cosa sono i luoghi profondi? E ciò che è detto a proposito del verso: “Dalle profondità io ti invoco, o Signore” (Sal. CXXX, 1). “Il giglio dello Sharon” è il giglio di quel luogo irrigato, dal quale sgorgano i torrenti che non interrompono mai il loro flusso. “La rosa delle valli profonde” è la rosa di quel luogo che è chiamato il luogo più profondo di tutti ed è chiuso da ogni lato.

Considera dunque. All'inizio essa è verde come il giglio, che ha le foglie verdi. Poi è “rosa”, cioè rossa con tonalità bianche; è “rosa” con sei foglie; è “rosa” che si trasforma di colore in colore e muta i propri colori. “Rosa” - all'inizio è giglio, cioè quando desidera unirsi al re; quando poi si è unita al re, mediante il bacio, si chiama rosa, secondo ciò che è scritto: “le sue labbra sono rose” (Cant. V, 13). “Rosa delle valli profonde”, perché muta i propri colori, talvolta per il bene, talvolta per il male; talvolta per la pietà, talvolta per il giudizio.

(I - 103b)

Rabbi Shim'on disse: “Considerato nelle porte della città è suo marito” (Prov. XXXI, 23). Cosa sono le porte? E quel che è scritto: “Sollevate i vostri stipiti, o porte, e sollevatevi voi stesse, o porte eterne, in modo che il Re glorioso possa entrare”(Sal. XXIV, 7). Attraverso quelle porte, che sono gli attributi superiori, il Santo, che benedetto egli sia, si fa conoscere. Altrimenti non si può raggiungere l'adesione a Dio (debequth).

Considera dunque. L'anima dell'uomo non c'è chi possa conoscerla, se non attraverso le membra del corpo, che costituiscono gli strumenti che compiono il lavoro dell'anima. Perciò l'anima si conosce e non si conosce. Così anche il Santo, che benedetto egli sia, si conosce e non si conosce; egli è infatti l'anima dell'anima, lo spirito dello spirito, nascosto e segreto a tutti. Però attraverso quelle porte, che sono le porte dell'anima, egli si fa conoscere. Considera dunque. Esiste una porta della porta ed un attributo dell'attributo ed attraverso di essi si conosce la gloria del Santo, che benedetto egli sia. “L’ingresso della tenda” (Gen. XVIII, 10) - questa è la porta della giustizia; secondo quanto è detto: “Apritemi le porte della giustizia, entrerò per esse, celebrerò il Signore. Questa è la porta del Signore, per cui entrano i giusti” (Sal. XVIII, 19-20).

Questa è la prima porta per la quale si entra ed in essa appaiono tutte le altre porte superiori. Chi riesce a giungere ad essa, ottiene di conoscerla insieme alle altre porte, che tutte dipendono da questa. Ma adesso, che questa porta non si fa più conoscere, perché il popolo di Israele è in esilio, tutte le altre porte si sono allontanate da essa. L'uomo non può più conoscerla né raggiungere l'adesione a Dio (debequth). Però, quando il popolo di Israele ritornerà dall'esilio, tutti gli attributi superiori torneranno a dipendere da essa, come si conviene. Allora la gente del mondo conoscerà la sapienza eccelsa e sommamente valida, che non conoscevano precedentemente, come è scritto: “Si poserà su di lui lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di discernimento, spirito di consiglio e di potenza, spirito di conoscenza e di timor di Dio” (Is. XI, 2). Tutte quelle porte allora dipenderanno da quella prima porta inferiore, che costituisce “l'ingresso della tenda”. Infine esse sono destinate a dipendere dal re, il messia, affinché giudichi il mondo, secondo quanto è scritto: “Egli giudicherà con giustizia z mtseri, e deciderà con dirittura a favore degli umili della terra, colpirà la terra con la verga della sua bocca e con il soffio delle sue labbra farà morire l'empio. Sarà la giustizia cintura dei suoi lombi e la rettitudine cintura dei suoi fianchi” (Is. XI, 4-5).

(I - 210a - 210b)

Rabbi Chiyà cominciò a dire: “Rallegratevi con Gerusalemme e giubilate in essa, o voi tutti che per essa avete fatto lutto” (Is. LXVI, 10). Considera dunque. Quando fu distrutto il Tempio di Gerusalemme a causa dei peccati ed il popolo di Israele se ne andò in esilio, il Santo, che benedetto egli sia, si allontanò sempre più in alto e non volle guardare la rovina del Tempio ed il suo popolo che se ne andava in esilio. Allora la presenza di Dio (Shekhinà) andò in esilio insieme ad esso. Quando il Santo, che benedetto egli sia, ridiscese, guardò il suo Santuario ed era stato incendiato; andò in cerca del suo popolo ed era andato in esilio; ricercò la Shekhinà ed era anch'essa andata in esilio. Allora subito: “Chiamò il Signore Dio delle schiere in quel giorno al pianto ed al lutto, alla rasatura ed a cingere il sacco” (Is. XXII, 12). E quanto ad essa, cos'è scritto 16? “Gemi come vergine, vestita di sacco, per la morte del marito della sua giovinezza” (Gioel. I, 8), come è detto: “poiché egli non c'è più” (Ger. XXXI, 14). Egli infatti si è allontanato da lei e si è prodotta una separazione. Anche il cielo e la terra, insieme fecero lutto come è scritto: “Rivesto i cieli di bruno e dò loro per vestito il sacco” (Is. L, III). Gli angeli superiori fecero tutti lutto per lei, come è scritto: “Ecco i loro prodi gridano fuori, i messaggeri di pace amaramente piangono” (Is. XXXIII, 7). Il sole e la luna fecero lutto e si oscurò la loro luce, secondo quanto è scritto: “Si oscurò il sole nel suo sorgere e la luna non fece risplendere il proprio chiarore”(Is. XIII, 7). I mondi superiori e quelli inferiori piansero per essa e fecero lutto. E tutto questo perché? Perché su di essa, sulla terra santa, dominava adesso il male.

(III - 42a - 42b)

Rabbi Eliezer prese a dire: “Sopra il mio letto, durante la notte, cercai colui che l'anima mia ama, lo cercai e non lo trovai” (Cant. III; 1). “Sopra il mio letto”? Avrebbe dovuto invece dire “nel mio letto”. Allora “sopra il mio letto” che vuol dire? Invero la comunità di Israele parlò dinanzi al Santo, che benedetto egli sia, chiedendogli dall'esilio, perché essa se ne stava con i suoi figli presso altri popoli e giaceva nella polvere. Proprio perché giaceva in terra straniera e impura, così disse: “Sopra il mio letto” io cerco, perché io giaccio in esilio. Perciò, “cercai colui che l'anima mia ama affinché mi traesse dall'esilio”. “Lo cercai e non lo trovai”, perché egli non è solito unirsi a me, se non nel suo Santuario. “Lo chiamai ma non mi rispose” (Cant. V, 6), perché io me ne sto in mezzo ad altri popoli, mentre la sua voce non si fa udire se non ai suoi figli, come è scritto: “ha mai sentito un popolo la voce di Dio che parlava in mezzo al fuoco, come hai sentito tu?”(Deut. IV, 33).

Rabbi Izchaq disse: “Sopra il mio letto, durante la notte”. Disse la comunità di Israele: Sul mio letto gemevo dinanzi a lui, affinché si unisse a me per farmi gioire e per benedirmi con completa allegrezza. Infatti abbiamo appreso che quando il re si unisce alla comunità di Israele, i giusti ricevono in eredità il santo retaggio e le benedizioni si realizzano nel mondo.

(I - 202b - 203a)

Rabbi Chizkiyà prese a dire: “Profezia sulla valle della visione. Che cosa hai dunque, che sei salita tutta sui tetti” (Is. XXII, 1). Considera dunque. Hanno interpretato questo verso riferendolo al tempo in cui fu distrutto il Tempio di Gerusalemme e venne arso nel fuoco. Allora tutti i sacerdoti salirono sui tetti del santuario con le chiavi del Tempio nelle loro mani e dissero: Fino a questo momento noi siamo stati i tuoi tesorieri ma d'ora in poi prendi ciò che è tuo.

Considera dunque. La “valle della visione” è la presenza divina (Shekhinà), che si trovava nel Tempio di Gerusalemme e dalla quale tutta la gente del mondo suggeva il succo della profezia. Infatti nonostante che tutti i profeti profetizzassero da un altro luogo, era dall'interno di essa che suggevano la loro profezia. Perciò la Shekhinà è chiamata “valle della visione”. “Visione”. Abbiamo già spiegato che si tratta della visione delle immagini superiori.

“Che cosa hai dunque che sei salita tutta sui tetti”. Infatti quando fu distrutto il Tempio, la Shekhinà risalì a quei luoghi dove aveva soggiornato all'inizio, piangendo sulla sua dimora, sul popolo di Israele che se ne andava in esilio e su tutti quei giusti e quei pii che si erano trovati laggiù e che erano periti. Da dove lo sappiamo? Dal verso: “Così dice il Signore: s'ode una voce da Ramà, un lamento, un pianto amaro: Rachele piange per i suoi figli”(Ger. XXXI, 14). Allora il Santo, che benedetto egli sia, chiese alla Shekhinà: “Che cosa hai dunque, che sei salita tutta sui tetti?”. Che significa “tutta”? Una volta che ha detto “che sei salita” che senso ha il termine “tutta”? Per accomunare ad essa tutte le schiere celesti e gli altri carri divini che piansero insieme per la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Perciò: “Che cosa hai dunque”. La Shekhinà disse al Signore: i miei figli sono andati in esilio ed il Santuario è stato incendiato, ed io che rimango a fare qui? Infatti tu hai detto: “O piena di grida città allegra; i tuoi caduti non son caduti per la spada, né morti per la guerra” (Is. XXII, 2); “perciò io ho detto: distogliete lo sguardo da me, mi amareggerò nel pianto, non insistete a consolarmi, per la cattura della figlia del mio popolo” (Is. XXII, 4). Allora il Santo, che benedetto egli sia, così le rispose: “Così dice il Signore: Trattieni la tua voce dal pianto ed i tuoi occhi dal versar lagrime, perché le tue pene saranno ricompensate, dice il Signore, essi torneranno dalla terra del nemico” (Ger. XXXI, 15).

Considera dunque. Dal giorno in cui fu distrutto il Tempio di Gerusalemme non vi fu giorno, senza che si verificassero delle maledizioni. Infatti quando il Tempio di Gerusalemme era in piedi i figli di Israele vi prestavano il loro culto e sacrificavano olocausti ed altri sacrifici, la Shekhinà aleggiava su di essi nel Tempio, come una madre coricata presso i suoi figli. Tutti i volti erano illuminati, sicché la benedizione si trovava in alto ed in basso e non passava giorno, senza che in esso non si verificassero benedizioni e gioie. I figli di Israele risiedevano in pace nella loro terra e tutto il mondo riceveva alimento in grazia loro. Ora invece che il Tempio è stato distrutto e la Shekhinà è andata in esilio insieme ai figli di Israele, non c'è giorno in cui non si verifichino maledizioni, il mondo viene maledetto, e la gioia non si trova in alto ed in basso. Ma in futuro il Santo, che benedetto egli sia, risolleverà dalla polvere la comunità di Israele e rallegrerà il mondo di ogni bene, come è detto: “Io li farò venire al monte a me consacrato, li rallegrerò nella casa in cui mi rivolgono le preghiere” (Is. XLVI, 7).

E scritto: “Verranno piangendo ed io li condurrò consolandoli” (Ger. XXXI, 8). Come, riguardo alla situazione precedente, è scritto: “La notte non fa che piangere e le lagrime scorrono sulle sue guance” (Tr. I, 2), così anche successivamente, ritorneranno piangendo, come è scritto: “Verranno piangendo ed io li condurrò consolandoli”.

Letto 2850 volte Ultima modifica il Venerdì, 30 Dicembre 2005 20:24
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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