Ecumene

Sabato, 26 Novembre 2005 19:41

Russia: il problema delle diocesi cattoliche (Vladimir Zelinskij)

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Russia:
il problema delle diocesi cattoliche
di
Vladimir Zelinskij



Per capire la sostanza del conflitto attuale cattolico-ortodosso in Russia prima di tutto non bisogna diminuirlo. Non si tratta del litigio di famiglia fra i grandi capi delle due Chiese ex-sorelle, ma di cose più serie, più profonde. Basta fare una passeggiata per le parrocchie ortodosse di Mosca o di Pietroburgo; fra le centinaia sarà difficile trovarne almeno una decina dove non siano esposti gli opuscoli polemici, non direi solo contro la nuova “Ostpolitik” del Vaticano, ma contro la fede cattolica come tale. Il filioque, le eresie, il papismo, ma soprattutto il papa in persona. “Questo vecchio che non è neanche più capace di piegarsi per baciare un pezzo di terra, pretende di prendere tutta la terra russa, oggetto della bramosia dei papi di Roma” – leggiamo sulla rivista ‘nazional-religiosa’ La casa russa. Nello stesso tempo la mano secolare dello Stato, che non legge le riviste, ma che ha bisogno di una nuova ideologia dell’unità nazionale, toglie dai passaporti dei sacerdoti cattolici i visti d’ingresso permanente in Russia.

L’ecumenismo, già nato molto debole, è come svenuto in Russia e la notizia dell’istituzione in loco di alcune diocesi cattoliche fu, in pratica, la constatazione del suo coma. E tutto questo si poteva prevedere facilmente. Perché ciò che sembrava essere una cosa normalissima per la Chiesa Cattolica, che da secoli coabita senza problemi con le altre religioni e confessioni e che si organizza in modo suo su tutto il pianeta, è diventata una ferita aperta nella sensibilità, nella fede e nell’ecclesiologia della Chiesa Ortodossa, che vive secondo il principio antico ed apostolico: la Chiesa locale sul territorio di un popolo. San Paolo scrisse “alla Chiesa di Dio che è in Corinto” (1 Cor.1,2), che vuol dire che tutta la pienezza dei doni di Dio sia data al suo popolo che abita in Corinto e si trova in comunione con le altre Chiese locali. La comunione fra di loro nelle preghiere e nei sacramenti, nella Tradizione e nei riti, nel passato apostolico vissuto insieme e nei santi comuni, fa il principio della cattolicità ecclesiale dal punto di vista ortodosso. Un vescovo che presiede la Chiesa locale non può interferire nella vita di un’altra Chiesa e l’Ortodossia rigetta il principio della “giurisdizione immediata” del primo vescovo (sia di Roma, sia di Costantinopoli sia di qualsiasi altro vescovo) sui fedeli delle altre diocesi. La Chiesa Cattolica si è comportata come se la Chiesa Ortodossa locale (nel nostro caso: Russa) non ci fosse.

Nella storia, tutti i dogmi che dividono oggi l’Oriente cristiano dall’Occidente furono adottati come “il polmone orientale” che non respira più. Anche oggi nessun dialogo sull’argomento delle diocesi, nessuna consultazione con la Chiesa locale prima della decisione presa: per la Chiesa Cattolica è chiaro che si tratta del suo problema interno.

Invece per la Chiesa Ortodossa non è così. Per questo motivo, quando sente dire da parte della sua “Grande Sorella” dell’Occidente: “siamo amiche, siamo sorelle (o quasi), cerchiamo la comunione e la testimonianza comune davanti al mondo secolarizzato”, la Chiesa Ortodossa dice: “no”. Sembra strano, ma questo “no” in fondo può essere più ecumenico dell’appello permanente e sorridente al dialogo. Perché il “no” ortodosso, da la sua testimonianza anche se negativa della visione della Chiesa unita, della riconoscenza della Chiesa Cattolica come la “Chiesa locale dell’Occidente”. Nel nostro caso, una Chiesa locale fa l’interferenza nel “territorio canonico” di un’altra Chiesa locale e questo atto suscita la sua protesta.

Si pone la domanda: perché la Chiesa Ortodossa non protesta in modo così forte contro la presenza sul suo territorio delle altre “chiesette” che vengono dall’estero o dall’interno? Protesta, ma in modo diverso, perché non vede alcun elemento di ecclesialità in questi movimenti. Loro sono fuori “dall’ovile”, fuori dalla Tradizione apostolica (dal punto di vista ortodosso) e con loro non c’è un vero e proprio dialogo ecclesiale, dunque non c’è neanche il senso doloroso di offesa e di rammarico. Paradossalmente, in fondo a questo senso di offesa nei confronti dei cattolici, si può trovare una traccia di memoria della Chiesa indivisa. Certo, nella reazione così violenta da parte della Chiesa Russa e del suo gregge, vi sono tanti fattori che hanno poco in comune con la vita ecclesiale. Lo shock della libertà che è caduta addosso senza nessuna preparazione, l’ondata della secolarizzazione che tanti credono sia stata inviata dall’Occidente, (ma, in realtà, l’Occidente ha semplicemente portato la merce che la Russia stessa ha ordinato), la ricerca dell’anima nazionale come difesa contro questa ondata di porcheria (che a l’Est dell’Europa è più caotica e disordinata che all’Ovest), ma soprattutto la sensibilità tipicamente russa a qualsiasi invasione dall’estero, sia puramente culturale che “spirituale”.

L’argomento comune: che voi, ortodossi, avete aperto o state per aprire tante vostre chiese qui, da noi, in Occidente, non funziona nel nostro caso. Il discorso logico e giuridico cede il terreno alla sensazione della minaccia e del complotto.

La soluzione? Prima di tutto ascoltare e capire. Capire il ragionamento di un altro e sentire il suo cuore. Ciò che l’Ortodossia non può capire è che il vescovo di Roma per i cattolici è molto di più di un vescovo. Infallibile o meno, il Papa viene percepito come un canale della Rivelazione che continua nella Chiesa, come un’icona vivente e parlante. Anche i cattolici devono sforzarsi di capire che la terra per i popoli ortodossi può divenire un’icona, silenziosa e piena di mistero, come tutte le altre icone, che raccolgono in sé la luce del regno e la memoria sacra. Non guardare gli abusi, le debolezze e gli errori di un altro (ce ne sono abbastanza da ambedue le parti), ma contemplare le icone di ciascuno, entrare nella sostanza della sua fede e cercare la corrispondenza del suo agire con questa sostanza.

Sul piano pratico: perché non cerchiamo di riunire i vescovi locali, ortodossi e cattolici, per risolvere alcuni problemi insieme? È chiaro che l’inizio non sarà facile. Perché non cercare di avviare alcune iniziative comuni in campo umanitario o altro? Senza dubbio, subito non andrà tutto liscio. Perché senza imporre il dialogo, non chiedere, cosa abbiamo in comune nella sostanza, nel mistero di Cristo incarnato e risorto? Forse non si potrà evitare la polemica, o peggio, il silenzio dell’indifferenza o della poca fiducia. Però bisogna insistere, non perdere la speranza. “Bussate e vi sarà aperto” (Mt.7, 7).



Letto 1647 volte Ultima modifica il Venerdì, 10 Marzo 2006 00:53
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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