Fonti di rinnovamento.
Monasteri in Egitto
di Luciano Ardesi
Già culla del monachesimo cristiano, negli ultimi 50 anni il deserto egiziano è stato testimone di un grande risveglio spirituale e materiale degli antichi monasteri copto-ortodossi che lo punteggiano. Restaurati, questi luoghi sono oggi resi vivi dalla presenza di numerosi monaci. Anche le agenzie di viaggio li inseriscono nei loro programmi.
La rinascita del monachesimo nella chiesa copto-ortodossa ha inizio dopo la Seconda guerra mondiale, grazie soprattutto all'impulso degli ultimi due patriarchi: Cirillo VI (1959-71) e Shenuda III, ambedue provenienti da intense esperienze monastiche.
La tradizione dei primi Padri del deserto si rifà sostanzialmente a due modelli; quello di Sant’Antonio (251-356), il più celebre anacoreta (eremita), e quello di San Pacomio, di poco posteriore, fondatore del modello cenobita (comunitario). Oggi i due modelli coesistono nella maggior parte delle esperienze in corso.
Centro di questo rinnovamento spirituale è il monastero di San Macario, dove vive Matta el-Meskin ("Matteo, il povero"), conosciuto anche all'estero grazie alla traduzione delle sue opere. La sua esperienza aiuta a comprendere quella della stragrande maggioranza degli odierni monaci egiziani.
Nel 1948, Iuseff ha28 anni. Ha una laurea in farmacologia e gestisce una farmacia, che gli garantisce una vita relativamente agiata. Come il ricco Antonio 16 secoli e mezzo prima, però, sente forte il richiamo di Cristo: «Va', vendi quello che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi» (Mc 10:21). Sceglie allora di ritirarsi nel deir Amba Samuel (monastero di San Samuele), il più povero e più isolato di tutto l'Egitto presso el-Fayum, da poco restaurato da Mena el-Motawahid ("l'eremita"), il futuro patriarca Cirillo VI. Il nome che si dà, Matta el-Meskin, è tutto un programma. Qui trascorre tre anni come padre spirituale del monastero, poi viene trasferito al deir el-Suryan (monastero dei Siriani), a Wadi el-Natrun, una zona conosciuta nella tradizione dei Padri dei primi secoli come deserto di Scete.
Nel 1959, in compagnia di alcuni compagni, Matta va a Wadi el-Rayan, dove vivono in grotte simili a quelle in cui erano vissuti i primi Padri del deserto. Vi rimane fino al 1969, quando Cirillo VI lo invita a raggiungere il monastero di San Macario (deir Abu Maqar), in procinto di essere chiuso. Qui, raggiunto da altri monaci, Matta diventa l'anima del rinnovamento spirituale e materiale del monastero, pur rifiutando di diventarne il superiore. In pochi anni, il cenobio moltiplica per sei la proprietà e giunge a ospitare un centinaio di monaci. Egli però continua a vivere in una grotta non lontana, visitando la comunità solo quando i monaci chiedono di lui come padre spirituale.
Ospitalità
Il deserto di Wadi el-Natrun è oggi raggiungibile con l'autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria. Delle decine di monasteri costruiti nel corso dei secoli ne rimangono solo quattro: deir Amba Bishoy, deir el-Suryan, deir el-Baramos e deir Abu Maqar. Quest'ultimo è il più noto e il più aperto ai cristiani di altre confessioni.
È abba Ireneo ad accompagnarmi nel corso della visita. Mi ha accolto con pane, olive e tè, a testimonianza della proverbiale ospitalità del luogo. Indossa l'abito tradizionale di lana nera, sormontato da un cappuccio ornato di croci ricamate. Mi dice che anche lui era stato un farmacista prima di farsi monaco. Aggiunge: «Quasi tutti in questo monastero siamo laureati nelle più diverse discipline, anche tecnologiche. Questo spiega perché siamo dotati di un computer e curiamo un nostro sito web. Molto visitato, del resto».
Il monastero oggi vanta 700 operai e vive dei prodotti della terra, che gli stessi monaci coltivano, dell'allevamento e delle pubblicazioni in proprio.
Molti, anche se non sollecitati, i doni e le offerte.
Anche se entrati nella modernità, i monaci non guardano la tivù né ascoltano la radio. La loro attività principale, oltre al lavoro manuale, è la preghiera. Due i momenti vissuti in comune: la recita delle lodi, dalle 4.00 alle 6.00 del mattino, e il pasto di mezzogiorno. La cena, sempre molto frugale, è consumata da ciascun monaco nella propria cella.
Poco lontano dal convento, vivono anche alcuni monaci anacoreti o eremiti, ai quali i monaci della comunità portano acqua e viveri una volta la settimana. «Hanno bisogno di molto poco» spiega abba Ireneo: «Pregano molto e non parlano con nessuno».
Come tutti i monasteri della regione, anche quello di San Macario ha subito nella sua lunga storia numerosi assalti e saccheggi. Conserva ancora le reliquie di 49 martiri, uccisi nel V secolo. Al centro del complesso c'è ancora lo qsar, la fortezza autosufficiente e isolata dal resto del complesso dove i monaci si rifugiavano in casi di aggressioni da parte dei nomadi.
Grande apertura
Oggi, l'aggressione esterna è di tutt'altra natura ed è rappresentata da migliaia di pellegrini e curiosi che vengono a visitare il luogo. I monaci mostrano di saper amministrare con equilibrio il loro desiderio di isolamento e il sano interesse che molti mostrano nei confronti del loro stile di vita.
Nei monasteri del deserto di Scete non esiste - né è mai esistita - una “Regola”. Ogni cosa viene governata dalla direzione spirituale del monaco più anziano, cui i discepoli devono obbedienza. A San Macario libertà spirituale e semplicità senza artifizi sembrano regnare più che altrove. Ed è proprio questa atmosfera a facilitare la grande apertura e l'intenso scambio spirituale tra il monastero e il resto della grande famiglia cristiana.
Dal punto di vista storico, fu la parte orientale del deserto, non distante dalla costa del Mar Rosso, a essere il primo centro d'irradiamento dei Padri del deserto. Qui si trova il monastero di San Paolo. Eretto forse nel VI secolo da Giustiniano e, secondo la tradizione, attorno alla cella-grotta di Paolo di Tebe, il primo anacoreta in assoluto, fu fatto bersaglio di ripetuti attacchi e quindi abbandonato per lungo tempo. Oggi, nonostante i restauri - alcuni anche recenti-, l'insieme degli edifici conserva un aspetto più tradizionale e arcaico degli altri. Esiste ancora, ad esempio, una porta con l'antico sistema usato per far entrare i monaci o gli approvvigionamenti, sollevandoli con corde attraverso un sistema di carrucole.
Il monastero di Sant'Antonio è situato ai piedi della montagna dove il grande eremita ebbe la sua ultima dimora. Costruito dai discepoli nel IV secolo ospita in una delle sue chiese la tomba del santo, tuttora meta di un continuo e affollate pellegrinaggio. Di recente, il patriarca Shenuda III l'ha voluto restaurare per farne un centro di impulso spirituale. Le sue alte mura racchiudono ben 10 ettari di terreno, facendone il più vasto dei monasteri copti. Dietro il complesso si snoda la lunga scalinata – un’ora di fatica! - che porta alla caverna di sant'Antonio, oggi trasformata in cappella.
Forse il monastero copto più noto agli occidentali e quello di Santa Caterina, nella penisola del Sinai. Per arrivarci, si deve attraversare il Canale di Suez e scendere lungo il Mar Rosso, le cui coste settentrionali si stanno ricoprendo di nuovi centri turistici che contrastano con la struggente bellezza del deserto. Incassato in una vallata ai piedi del Monte Sinai (Gebel Musa), meta anch'esso del turismo di massa, il monastero ha l'aspetto di una fortezza. Anche
qui, lungo i secoli, i monaci hanno dovuto difendersi da molti attacchi.
Oggi, invece, questo luogo spirituale è letteralmente "aggredito" dai turisti, di gran lunga più numerosi dei pellegrini veri e propri. È stato costruito un ostello per i visitatori, che assomiglia più a un vero e proprio hotel. Dall'altra parte della vallata, di rimpetto al monastero, una impressionante colata di cemento è venuta a rafforzare la capacità ricettiva della zona.
Fedeltà
Questo essere presi d'assalto proprio da quel mondo da cui si è cercato di allontanarsi non è una novità nella vita dei conventi egiziani. Basta leggere le storie degli antichi Padri del deserto per rendersi conto di quanta gente corresse da loro in cerca di consigli o con richieste di preghiera. Oggi come allora, comunque, i monaci sono maestri nell'arte di adattarsi e di rinnovarsi, pur riuscendo a rimanere del tutto fedeli alla tradizione, grazie soprattutto alla direzione spirituale di figure eccezionali.
La tradizione della chiesa copto-ortodossa vuole che i patriarchi e i vescovi siano scelti tra i monaci. Non sorprende quindi, che il monachesimo abbia mantenuto una centralità che invece, ha perso nella chiesa cattolica o comunque occidentale.
Non va dimenticata la dimensione femminile dell'odierno risveglio spirituale operato dal monachesimo. Oggi sono diversi i monasteri femminili riabilitati e ripopolati da monache. È però vero che, come le Madri del deserto (il primo monastero femminile fu diretto da Maria, sorella di Pacomio) furono oscurate dai Padri ieri, le comunità monastiche femminili sono surclassate da quelle maschili oggi.
Tra le varie ragioni del rinnovamento del monachesimo egiziano alcuni citano la reazione alle molte discriminazioni cui i copti sono oggi sottoposti nel paese, soprattutto con l'avanzare del fondamentalismo islamico. C'è chi si spinge oltre e parlerebbe addirittura di una sorta di “nazionalismo copto”
Dagli anni Ottanta, le vocazioni monastiche sono notevolmente aumentate e il loro rifiorire contrasta vistosamente con il languire di molti monasteri in Europa. Non sorprende, pertanto, che alcuni monaci occidentali vengano proprio qui ad attingere alla sorgente della vita monastica, dando così vita a una nuova interessante esperienza di spiritualità e di conoscenza. Consapevoli di questo nuovo ruolo e delle loro attuali potenzialità, i monaci copti hanno intrapreso l'attività missionaria, anche per assumersi la cura pastorale della diaspora copta nel mondo. Un monastero è stato fondato anche nel deserto della California, e porta naturalmente il nome di Sant'Antonio.
(da Nigrizia, dicembre 2004)