Caricature e insulti
di Giuseppe Scattolin
«Mi hanno impressionato gli echi suscitati dalla proiezione del cortometraggio Submission, di Theo Van Gogh, alla televisione olandese. Il filmato, di 11 minuti denuncia la condizione di inumana schiavitù in cui è tenuta la donna nell'islam. Submission si basa sulla vera storia di una donna somala, Ayaan Hirsi Ali, la sceneggiatrice del filmato. Venduta in matrimonio in giovanissima età, subì mille atrocità (fra cui 100 colpi di frusta per adulterio). Oggi gode della liberta nella secolare Olanda, dove è anche membro del parlamento, e si definisce "ex musulmana". Il 2 novembre 2005, il regista è stato "giustiziato" da un fanatico musulmano, "per aver offeso la vera religione, l'islam". A metà maggio, se ne è parlato anche su Rai Uno. Sembra che molti non vogliano vedere queste realtà, o cerchino di ignorarle. Non è, invece, giunto il momento di denunciare apertamente tali atrocità e mostrare il vero volto dell'islam, una religione che calpesta i diritti fondamentali della persona umana, e della donna in particolare?»
Maria Pia Siviglio - Palermo
Il cortometraggio Submission ha suscitato accesi dibattiti e reazioni estreme. Al punto che la sua visione è oggi ristretta per misure di sicurezza. Certe reazioni - fanatiche, a dir poco -vanno condannate.
Un serio interrogativo, però, s'impone: questo documentario e altre opere del genere aiutano davvero a superate gli steccati che esistono tra le differenti mentalità e culture del mondo, oppure non fanno che acuirle, soprattutto per il modo caricaturale e insultante con cui presentano i problemi?
A proposito di caricature e insulti, qualunque italiano si sentirebbe insultato, se, visitando un paese straniero, fosse accolto da apprezzamenti come: «Italiano? Ah, mafioso!». Che la mafia sia un problema di una minoranza della società italiana non c'è dubbio. Qualificare ogni italiano come "mafioso" è, invece, un abuso e un insulto. Ogni cattolico serio si è sentito oltraggiato dal thriller Il codice da Vinci (il best seller dell'anno!) di Dan Brown, in cui la chiesa cattolica è presentata come un'organizzazione criminale, basata sulla menzogna e la violenza. Qualunque storico serio, degno di questo nome, sa che il libro è costruito sulla falsificazione intenzionale e interessata (i grandi incassi dovrebbero dirci qualcosa!) della storia.
Si ha l'impressione che per molti non esista il dovere di rispettare la verità dei fatti e le convinzioni altrui, soprattutto quando s'intende insultare una religione. Le conseguenze sono drammatiche e le reazioni esasperate, da parte di chi si ritiene offeso, ne sono un segno inquietante. Ci si dimentica, insomma, che due delle condizioni fondamentali per la convivenza umana sono il rispetto della verità e delle persone e un sano atteggiamento di critica, dapprima verso se stessi e poi anche verso gli altri.
La domanda che ci si deve porre davanti al filmato in questione è la seguente: rappresenta veramente la realtà della condizione della donna islamica, oppure è una caricatura insultante, che provoca (si potrebbe dire, intenzionalmente) reazioni violente?
Che esista violenza tra le pareti domestiche delle famiglie islamiche è un dato di fatto, come è innegabile che sia presente in altre società. Ma dire che la religione islamica inciti all'abuso delle donne e del loro corpo, fino al punto di tatuare versi coranici sulla loro pelle e seviziarle in tutti i modi, come afferma questo film, è una generalizzazione di particolari comportamenti sado-masochisti. È logico, quindi, che questo modo di presentare le cose sia percepito dai musulmani come un insulto "intenzionale" alla loro religione e alla loro civiltà, le quali contengono, invece, molti elementi positivi in questo campo.
Occorre, poi, individuare le cause di questa violenza. Affonda essa le sue radici nella religione in quanto tale, oppure è dovuta ad altri motivi - culturali, locali e personali - che non hanno nulla a che vedere con quel credo religioso? Ignobili atteggiamenti sado-masochisti, tipici di un certo machismo selvaggio, sono presenti anche in individui appartenenti ad altre culture e religioni.
Affermare che non esistano seri problemi in termini di diritti fondamentali della persona umana (in particolare delle donne e dei non musulmani) all'interno delle società islamiche, soprattutto in quelle che intendono aderire alla legge islamica alla lettera (Arabia Saudita, Pakistan, Sudan e altre), significa negare la realtà e ingannare sé stessi e gli altri. Questo, purtroppo, è l'atteggiamento di molti musulmani che non hanno il coraggio di prendere atto della vera situazione in cui versano le loro società e proporre serie riforme. Pensano che presentare una faccia irenica e innocente dell'islam sia il modo migliore per farlo accettare dalle altre società.
Credo, invece, che l'islam sarà percepito in modo positivo, solo quando numerosi pensatori musulmani avranno il coraggio di fare un serio esame critico della propria storia e del proprio presente, senza più incolpare gli altri (l'Occidente) dei propri guai, e oseranno proporre profonde riforme della tradizione islamica e delle loro società, aprendole ai valori fondamentali dei diritti umani di libertà e democrazia, ignorati in passato. Solo allora saranno credibili e si potrà prestare fede alle loro garanzie che anche l'islam saprà convivere pacificamente con le altre culture e religioni.
Se vogliamo creare la base per una globalizzazione umana di convivenza fra culture e religioni diverse, dobbiamo tutti impegnarci seriamente in un ingente - e costante - lavoro di coraggiosa autocritica e di rispettosa critica. Ma, appunto per questo, vanno evitate espressioni che sembrano avere il solo scopo di insultare l'altro, provocandolo a reazioni estreme e negative. «Fare la verità nell'amore» (San Paolo) rimane l'unico fondamento di un autentico dialogo fra culture e religioni in vista di una vera convivenza umana.
(da Nigrizia, luglio-agosto 2005)