Ecumene

Venerdì, 28 Luglio 2006 23:03

Šarî‘a (Maria Domenica Ferrari)

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Šarî‘a
di Maria Domenica Ferrari



Se domandate a un musulmano che cos'è la šarî‘a vi dirà che l'insieme delle norme date da Dio per guidare il musulmano in ogni aspetto della sua vita; inoltre per l'Islam la differenza tra sacro e profano si colloca in campo giuridico e ciò determina l'importanza del diritto. Per molti la šarî‘a, anche occidentali, indica un blocco granitico, immutabile, di norme fissate una volta per tutte 14 secoli fa.

Dal punto di vista linguistico la parola šarî‘a ha come significato principale la religione e la legge religiosa. La radice da cui deriva š r ‘ da origine a parole che indicano l'inizio, l'avvio, il dirigersi. Nei lessici tradizionali troviamo che nelle aree pastorali e tra i Beduini il verbo šara‘a indicava l'abbeveraggio degli animali in pozze d'acqua permanenti. Un secondo campo sematico indicava lo stiramento, l'allungamento, šir‘a è una corda come quella dell'arco o del liuto. Šarî‘a è perciò la strada, la via, il cammino (che porta ad abbeverarsi) e il cammino per eccellenza è quello che porta alla salvezza eterna.

“Poi ti demmo una legge ( šarî‘a) per la Nostra Casa: seguila dunque" (1) questo è il solo passo coranico in cui viene usata come sostantivo.

Nelle parlate del Medio Oriente si usa per la totalità della religione šarî‘a al-Mûsâ, šarî‘a al-Masîh sono la religione/la legge di Mosè e del Messia. Nelle comunità ebraiche di lingua araba la parola più usata per tradurre Torah è šarî‘a; l'uso per tradurre norme, regole è evidente soprattutto per quanto riguarda alcuni versetti del Levitico, talvolta è impiegata anche per misvah. Un uso simile si trova negli scrittori cristiani, šarî‘a indica le norme apportate da un profeta.

La parola šarî‘a nella letteratura religiosa islamica designa le norme, la legge, un sistema di leggi o il messaggio di un profeta. Dio è il soggetto del verbo šara‘a , Muhammad è lo šâri‘ (legislatore) per eccellenza e la spiegazione della legge è uno degli attributi profetici.

La šarî‘a indica perciò le leggi, le normative derivate principalmente dal Corano e dagli hadîth che regolano la vita dei musulmani. Accanto alle due fonti tramandate, vi sono il consenso della comunità e il ragionamento del singolo che può essere limitato alla semplice deduzione, all'analogia o estendersi al ragionamento.

Su queste fonti interviene lo studioso di diritto (fuqahâ) per dare origine alla giurisprudenza musulmana il fiqh.

I versetti coranici che riguardano aspetti legali sono una minoranza e la maggior parte di questi versetti si occupano di diritto di famiglia e di eredità.

La šarî‘a che regola la vita di un musulmano è di conseguenza una elaborazione fortemente temporale e secolare. Già la seconda fonte, la Sunna, cioè i comportamenti, le parole di Muhammad nel corso della sua vita, è sprovvista di sacralità, Muhammad è un profeta, esempio da imitare, ma essere umano.

Questa legge rivelata da Dio per condurre gli uomini nel corso della loro vita alla ricompensa finale si divide in

ibâdât che regolano i rapporti tra Dio e gli uomini

mu‘ âmalât che regolano i rapporti tra gli uomini.

Le ‘ibâdât sono eterne ed immutabili e sono i cinque pilastri della religione: la testimonianza di fede, la preghiera, il digiuno, l'elemosina legale ed il pellegrinaggio.

Le mu‘ âmalât riguardano tutti i restanti aspetti della vita sociale, economica, politica e si possono adattare ai tempi e ai luoghi, naturalmente rispettando lo spirito della šarî‘a, sono perciò modificabili e hanno dato vita a varie esperienze storiche di Islam.

Nel primo periodo, dopo la morte di Muhammad, la Comunità Islamica di fronte all'emergere di nuove istanze e all'espansione territoriale constatò che il solo Corano era insufficente, e iniziò a far riferimento alla tradizione, non più quella degli antenati come era in uso in ambiente tribale, ma a quella del profeta. Anche la tradizione è nel suo insieme soggetta a cambiamenti rispetto ai tempi, ai luoghi, e talvolta può scavalcare il Corano come nel caso della lapidazione degli adulteri, voluta dal secondo califfo ‘Umar, rispetto alla fustigazione coranica.

Con al-Šâfi‘î (m. 820) il fondatore del diritto musulmano, si fissarono i requisiti per l'accettazione degli hadîth, questo perché gli hadîth assunsero autorità assoluta. Nel corso di poco più di due secoli dalla morte di Muhammad gli interpreti del diritto si erano raggruppati in scuole giuridiche, ognuna con una metodologia propria sui principi di applicazione della legge. Di queste scuole quattro assunsero il valore di scuole canoniche di diritto e sono gunte fino ad oggi: la malîkita, la šâfi‘îta, la hanâfita e la hanbalita. I sunniti che rappresentano circa il 90% dei musulmani seguono una di queste 4 scuole, gli sciiti seguono la scuola ja‘farita che si differenzia dalle altre 4 solo in alcuni punti di secondaria importanza.

I movimenti fondamentalisti contemporanei sono convinti che la soluzione dei problemi in cui si dibattano le società musulmane è l’applicazione della šarî‘a, considerata da loro fissata fin dagli inizi e immutabile nel corso del tempo e dei luoghi. Per questi islamismi che si rifanno alla scuola giuridica più rigorosa, quella hanbalita, la sola šarî‘a valida è quella seguita all’epoca di Muhammad e dei primi quattro califfi, e rifiutano tutti gli sviluppi dello status della persona e le legislazioni degli stati musulmani che si rifanno alle legislazioni occidentali nei settori del commercio, della proprietà, della procedura penale, ignorando che la šarî‘a non è mai stata applicata integralmente e che anche nelle epoche di maggior splendore ai tribunali religiosi si affiancavano quelli amministrativi che si occupavano appunto di transazioni commerciali, di codice penale, di polizia.

1) Corano, XLV, 18

Letto 3636 volte Ultima modifica il Venerdì, 01 Dicembre 2006 21:14
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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