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Domenica, 20 Maggio 2007 21:52

Fasi della cultura europea d'oltralpe. S. Kierkegaard e la teologia dialettica (Renzo Bertalot)

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Fasi della cultura europea d'oltralpe

S. KIERKEGAARD
E LA TEOLOGIA DIALETTICA (1813-1855)

di Renzo Bertalot




Premessa

Benché il tema che mi è stato assegnato ci impegna nel confronto con la teologia dialettica, si rende necessario richiamare alcuni punti noti ed essenziali di riferimento.

Sören Kierkegaard nacque il 15 maggio 1813 e morì nel 1855. L'Europa era allora in fase di restaurazione dopo la burrasca napoleonica.

La sua vita fu segnata sia dall'esperienza del padre, avvelenata da un complesso di colpa per aver maledetto la sua esistenza di miseria, sia dal suo euforico ed affrettato fidanzamento con Regina Olsen, legame che ritenne di dover rompere perché non si sentiva pronto al matrimonio.

La sua produzione letteraria risente del continuo di questi condizionamenti e si muove, non sempre coerentemente, tra l'angoscia e la disperazione.

La sua considerazione del cristianesimo lo porta a mettere a confronto Socrate e Cristo: due grandi maestri di religione. Socrate si ferma all'ironia e alla maieutica, mentre Cristo porta con sé la novità della trasformazione: una scuola di serie A e una di serie B.

Da un punto di vista filosofico Kierkegaard è soprattutto anti-hegeliano. Non accetta i sistemi chiusi. Non c'è sintesi tra ragione e fede. La vita si decide sulla base dell'esperienza personale. "Esistere" (ex-sistere) vuol dire trovarsi "fuori" e fare quotidianamente i conti soli con se stessi. Siamo nel puro soggettivismo: troppo puro per non leggervi una sublimazione del pietismo precedente e una ripulsa contro le sopravvivenze di una ortodossia protestante a carattere assolutistico.

Nella prospettiva kierkegardiana si rende necessario un triplice passaggio dall'esperienza "estetica" (la sua ammirazione per la natura, i gigli dei campi e gli uccelli del cielo; il suo primo viaggio entusiasmante a Berlino rivelatosi, in un secondo viaggio, un vissuto irripetibile se non addirittura deludente) alla fase "etica" del dovere (Che cosa devo fare?) e infine a quella del "salto" religioso, del "paradosso" e dell'"assurdo", della vera libertà che non è un modo di pensare, ma di vivere, che non è scienza, ma passione non reperibile nella politica delle chiese fatta di troppi compromessi e di impuri adattamenti terreni. Le chiese visibili sono repellenti perché promuovono una fede imposta.

A - La società borghese

Kierkegaard era morto troppo giovane per rendersi conto delle nuove idee che andavano maturando contrapponendo l'affermazione del proletariato alla solida società borghese europea. Il romanticismo e l'ottimismo, che avevano avvolto la società vittoriana e anche quella guglielmina, non lasciavano intravedere i venti di guerra che sarebbero diventati tempesta con la morte dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria e della sua consorte a Sarajevo.

In Inghilterra già si parlava della religione come "oppio dei popoli" con il canonico anglicano Charles Kingsley e solo in seguito con Carlo Marx. Negli Stati Uniti le chiese affiancavano l'insorgenza della classe operaia e sostenevano l'Evangelo Sociale contro l'espandersi di un capitalismo selvaggio, animato da una "concorrenza demoniaca". L'Europa era in ritardo e le chiese avevano spontaneamente fatto il nido accanto al potere: erano per lo più sospettose e contrarie alla sovversione di una società, dopo tutto, ritenuta sana. Il socialismo religioso era ai suoi primi passi, ma lo sconvolgimento della prima guerra mondiale allontanò i giovani e il proletariato dalle chiese favorendo più il secolarismo che la secolarizzazione.

Fu allora che emerse una religiosità dal basso verso l'alto, caratteristica di una criptoteologia, di una ribellione alla grazia, di una malattia, di una disarmonia, di un vicolo cieco e di una catastrofe (Barth). Kant, con la sua Critica della Ragion Pura, aveva a suo tempo sbarrato definitivamente la strada a chi s'affacciava al "noumeno" partendo dal "fenomeno". Eppure Kant credeva nella sola grazia come salvezza dal mistero inspiegabile del male anche se restringeva la capacità e le possibilità della ragione al solo ambito del "fenomeno". Kant fu considerato il "filosofo del protestantesimo" da contrapporre, in area cattolica, al risorgente tomismo inteso come rimedio al dilagare del "modernismo" socialisteggiante nel mondo latino.

Nel contesto delle idee e degli eventi, accanto alla crisi della cultura europea, si affermò la forte e irreversibile affermazione della teologia dialettica, detta anche teologia della crisi. Karl Barth, Emil Brunner, Fiedrich Gogarten e Rudolf Bultmann ne furono i massimi animatori e gli ispiratori di nuove generazioni di teologi al di là delle Alpi.

Kierkegaard, dapprima quasi ignorato, ritrovava allora, a notevole distanza di tempo, il suo momento fortunato e il suo pensiero stimolava la ricerca di nuove prospettive capaci di riportare alla ribalta la passione per il Regno di Dio.

B – I punti di riferimento

La religiosità hegheliana della sintesi cadde in disuso. L'uomo non è riconciliato per quel che passa nella testa del filosofo. Nell'area dell'esistenza, del fenomeno, la riconciliazione non è avvenuta. Viviamo nell'alienazione, nell'angoscia e nella disperazione a causa della nostra finitezza. Di qui la necessità di un "salto" "non razionale", fatto con infinita passione oltre le indicazioni del grande maestro di religione, che fu Socrate, e i suoi metodi della ironia e della maieutica. L'uomo ha bisogno più di una levatrice per essere salvato; lo "scampo e in Cristo che ci è dato e che ci trasforma. La certezza oggettiva è impossibile nella religione. Il "salto ", invece, è necessario per superare la disperazione e il dubbio; si tratta di un "paradosso", di "un rischio" e di una scelta", ma non di un arbitrio. Il senso della vita è libertà e creatività; un abbandonarsi alla fede e al tocco della grazia vivificante.

La ragione procede dall'esistenza (non verso l'esistenza), mentre Dio è il "totalmente altro", il soggetto e non l'oggetto o il predicato. Le verità storiche non producono fede. Anche la Bibbia non produce fede se non è accompagnata dalla passione dello Spirito Santo. In questo senso il cristianesimo è soggettivo, "folle" e "assurdo" mentre l'oggettività (la filosofia speculativa) assume la caratteristica di un paganesimo.

C - Le radici

questi nuovi orientamenti se non si richiamano, a volo radente, alcuni antecedenti.

Con la fine della Scolastica vanno ricordati Guglielmo d'Occam e le vivaci discussioni del suo pensiero sia alla Sorbona di Parigi, sia nella falda sotterranea che doveva più tardi sfociare nel XVI secolo e nella Riforma protestante: si posset naturaliter probari fides non esset necessaria, (Se si può dimostrare naturalmente la fede è non necessaria).

Con l'Umanesimo s'impone l'apporto di Lorenzo Valla che dimostrò la falsità della donazione di Costantino che per un millennio aveva determinato la storia dell'occidente. A lui si deve la sostituzione della mediazione del magistero non solo con la storia, ma anche con la filologia. La traduzione della "Vulgata" era ritenuta inaffidabile; bisognava rivedere i termini di "sacramento", di "penitenza" e l'espressione "piena di grazia".

Con il Rinascimento va segnalata la caduta dell'incidenza di Aristotele. Sorge a Firenze l'Accademia Platonica; si rende necessario un forte ritorno "alle fonti" (ad fontes) che al di là delle Alpi significa innanzi tutto ritorno alla Sacra Scrittura.

Con il XVI secolo riaffiorano i tre "solismi" precedenti: sola gratia, sola Scriptura, sola fides. La giustificazione per fede si trova al centro dell'interesse teologico fino al riaffermarsi dell'inquisizione nel 1542con Paolo III.

fino ad arrivare recentemente a Karl Raimund Popper (1902-1994) e alla sua teoria della "falsificazione”.

D - La teologia dialettica

Con il dilagare della crisi della società borghese, il pensiero di Kierkegaard ritrovò il suo punto di forza. Fu maestro" apprezzato e influente tra i teologi del XX secolo che stavano ricostruendo la teologia su nuove basi (eppure antiche: ecclesia semper reformanda): nessun ritorno ad Hegel, ai sistemi chiusi, alla dottrina, alle certezze e alle prove antropologiche lasciateci in eredità dai secoli precedenti. L'angoscia, la disperazione, la mancanza di riconciliazione, la non razionalità, l'incertezza e il dubbio erano tutti concetti che travagliavano i ripensamenti e intessevano la crisi con fattori ineliminabili. Il paradosso, il salto, il totalmente altro e il rischio riprendevano il sopravvento. Kierkegaard è oggi considerato il padre della filosofia esistenziale, della teologia dialettica e della psicologia del profondo. E il ceppo solido, capace di una nuova vitalità intorno agli anni della prima guerra mondiale, al momento del crollo della società borghese e della crisi della teologia liberale. I teologi, che a lui si sono ispirati, ne hanno condiviso le prospettive e l'impegno contro lo storicismo, lo psicologismo, il moralismo e il razionalismo, pur assumendo di volta in volta caratteristiche proprie di notevole portata nel rimanente del millennio. Ne ricorderemo alcune.

a) Emil Brunner (1889-1966) riprende da Kierkegaard l'idea della "contemporaneità" della fede. La rivelazione ci porta a confessare la fede cristiana "insieme" agli autori del Nuovo Testamento, non certo per l'azione del predicatore, ma per l'azione stessa dello Spirito Santo. Tra la ragione e la rivelazione v'è un'antitesi in quanto la ragione accecata dal peccato non è in grado di produrre prove oltre se stessa. Tuttavia l'uomo naturale non è svincolato da Dio anzi gli è sottomesso: esistono "punti di contatto" tra la linea verticale e quella orizzontale, tra il "totalmente altro", l'infinito, e il finito. Si tratta quindi di un "terreno comune" che si presta alla domanda esistenziale, all'apologetica come preparazione alla grazia. A questo punto sorse la polemica interminabile (forse mai spenta) con Karl Barth che rispose con un secco "NO" ad ogni "punto di contatto": lo Spirito Santo non ha bisogno di "punti di contatto" perché se li crea. Tuttavia per Brunner il protestante, che si occupa di filosofia, rispetta l'evento (esistenziale) della rivelazione senza attingervi e sa pure che la sua elaborazione dogmatica è un'opera filosofica e non l'atto stesso di Dio che si rivela. In questo senso nessuna filosofia potrà mai dirsi cristiana.

b) Rudolf Bultmann (1884-1951). Anche per il teologo di Marburgo la teologia liberale del secolo precedente non aveva parlato di Dio, ma dell'uomo, anche se ancora oggi non va sottovalutata la sua importanza per la serietà critica nel descrivere (kantianamente) il fenomeno. Una filosofia neutra, come quella di Heidegger, può aiutarci a "dialogare" con la storia nell'indagare la "precomprensione" che tutti ci portiamo dietro. Ma Dio, fuori della fede, non è riconoscibile perché la rivelazione è "un fatto di Dio".

Bultmann sarà ricordato per il suo programma di "demitologizzazione": il tentativo di separare il messaggio biblico dai suoi miti con lo scopo di evidenziarne la portata "contemporanea" (come Kierkegaard e Brunner). Tuttavia la fede rimane un "paradosso" senza garanzie. La sicurezza è solo nella grazia che ci "giustifica". L'autocomprensione e l'autorealizzazione rimangono un'illusione se Dio non ci "afferra", non opera il miracolo dell'"incontro" e non raddrizza (extra nos) dall'esterno i nostri desideri e la nostra natura donandoci la vera libertà (quella del "salto" kierkegaardiano) possibile solo nella fede.

c) Karl Barth (1886-1968). Il teologo di Basilea è stato l'alfiere della rivoluzione teologica che andava compiendosi riportando alla ribalta Sören Kierkegaard. "Dio è in cielo e l'uomo è in terra", il "totalmente altro", la religione (nel mondo latino sarebbe preferibile dire religiosità) come ribellione alla grazia, l'uomo che cerca se stesso non troverà nulla, ma l'uomo trovato da Dio troverà se stesso:

sono tutte espressioni classiche ricorrenti ogni volta che s'indaga sul pensiero di Barth dalle assonanze kierkegaardiane. Barth è rimasto fedele per tutta la vita al "maestro" di Copenaghen. Tuttavia qualche differenziazione va pure notata specialmente con l'andare del tempo. Il "totalmente altro" di Dio in quanto "altro" non richiamava forse l'uomo come unità di misura o di confronto? Quindi un nuovo paganesimo? È l'uomo capace di scegliere e di credere? L'Evangelo non ci ricorda forse che Cristo sceglie per noi altrimenti cadiamo nell'eresia del terzo articolo del credo apostolico: "Credo nello Spirito Santo…"?

Che il SI di Dio venga dall'alto e debba essere proclamato dalla comunità imponeva a Barth un prolungamento della liberazione annunciata all'umanità da Kierkegaard contro ogni criptoteologia dal basso o criptofilosofia originaria dall'alto.

d) Paul Tillich (1886-1965). Il teologo tedesco-americano ha condiviso con Barth la rivoluzione kantiana contro la metafisica e ogni tentativo di sintesi tra filosofia e teologia. Una filosofia “cristiana" è "una "disonestà filosofica". Tillich più di Barth si ferma a riflettere sulla nostra "alienazione", capace sì di formulare domande, ma non di offrire risposte. L'impatto con il "non-essere" porta all'angoscia e alla disperazione e poi si spegne in una serie di interrogativi a carattere ultimo e definitivo. Sono concetti che richiamano Kierkegaard e il "salto" della fede. La medicina non è in grado di guarire l'angoscia esistenziale (dovuta al senso di colpa e alla mancanza di significato); solo l'Evangelo ci garantisce contro il crollo delle nostre attese. La risposta "adeguata" viene dalla salvezza cioè dalla continua vittoria di Dio su di noi. Il mondo, infatti, non è abbandonato a se stesso perché se lo fosse a nulla servirebbe il governo di Dio.

Kierkegaard lascia al terzo millennio l'eco del suo grido di libertà che risuona forte attraverso i suoi discepoli ora esistenzialisti ora teologi. Il suo appello vuol essere determinante (contro l'assolutismo, contro il relativismo e contro il potere) nel nome della grazia "paradossale" che sola può illuminare e ispirare il formarsi di una nuova cultura laica ed europea.


* Il testo è stato presentato in occasione della riunione veneziana (2000) della Società Italiana per gli Studi Kierkegaardiani e si richiama all'incidenza del pensiero di Kierkegaard sulla riflessione teologica d'oltralpe. Oggi il teologo danese torna ad essere di notevole interesse per molti settori della nuova cultura europea, in via di unificazione.

Cf. Leggere oggi Kierkegaard, a cura di Isabella Adinolfi, Città Nuova Ed., Roma, 2000.

Letto 2889 volte Ultima modifica il Mercoledì, 22 Agosto 2007 17:33
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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